Finanza
Gli stress test europei e quell’assurda voglia di nascondere i pericoli
Il 4 novembre per l’Italia è la data di un armistizio, e la data di grandi catastrofi naturali. Per l’Europa, d’ora in poi sarà anche la data dell’inizio della supervisione bancaria unica europea. Forse si sarebbe potuto scegliere una data di migliore auspicio. O forse è giusto così. La data dell’armistizio ne presuppone una precedente, che ricorda Caporetto. E la Caporetto della nuova supervisione europea si è già celebrata. E’ stata domenica 26 ottobre, con la pubblicazione degli stress test sulle maggiori 130 banche europee. E’ stata una Caporetto per la mancanza di trasparenza della procedura stessa e perché la procedura non ha riconosciuto che la trasparenza stessa è la maggiore fonte di rischio del sistema bancario di questo secolo.
In molti hanno già commentato. E il tono dei commenti spazia dall’irredentista all’interlocutorio, fino all’autocolpevolista. Marcello Esposito su Linkiesta ha puntato il dito contro Banca d’Italia, particolarmente per il comportamento nel caso MPS, e forse con qualche ragione, se ricordiamo anche le polemiche che hanno coinvolto Banca d’Italia in tutta la storia di discesa agli inferi della più antica banca del mondo. Angelo Baglioni su Lavoce dice che qualche cosa di cui preoccuparsi c’è di sicuro: o fa schifo il sistema bancario italiano, o fa schifo la supervisione europea. Silvia Merler su Bruegel fornisce argomenti a carico del sistema bancario italiano: il famoso “home bias”, cioè sovraesposizione a titoli pubblici italiani, e la scarsa competitività nel mercato bancario, particolarmente dal lato del finanziamento. Luigi Zingales, infine, su Il Sole 24 Ore getta la croce sui regolatori locali: banche centrali che hanno permesso sopravvalutazioni delle voci in bilancio. Tra queste, anche Banca d’Italia, perché il Monte dei Paschi farebbe registrare la stessa sopravvalutazione della banca media greca.
Noi qui sugli Stati Generali, o almeno il sottoscritto, ci sentiamo di sparare sugli stress test e contribuiamo al dibattito inanellando considerazioni che motivano un pessimismo profondo sul nuovo sistema di vigilanza europeo.
Il primo argomento è la trasparenza dell’operazione. Trasparenza zero sugli scenari e sui risultati dell’esercizio. In caso di crisi MPS andrebbe sotto di più di 2 miliardi di euro, mentre Deutsche Bank resisterebbe. Perché? Da dove deriverebbero le perdite? Dalla caduta del reddito, dall’aumento delle insolvenze, dal crollo dei prezzi? Da rischi operativi? Spese legali? Non lo sappiamo. Invece, assistiamo addirittura a un siparietto in cui la nostra banca centrale pare abbia avanzato dubbi sulla probabilità dello scenario di stress, dicendo che era pari a zero. In un esercizio di stress test credibile vi sareste aspettati una risposta immediata del tipo: lo scenario è stato scelto in modo da rappresentare l’1% dei più sfigati (tra gli scenari). E invece, non fornendo una risposta motivata e dettagliata, si alimenta il dubbio che sfigata non sia la creatura, gli stress test, ma il suo creatore, la vigilanza europea.
Quindi, se l’Europa delle banche è un collegio, lo stress test è un esame su una materia che qualcuno del collegio dei professori dice che non esiste, e quando siete bocciati non sapete se è in storia o in matematica. Non una bella reputazione per l’università europea degli stress test. Eppure la vigilanza delle banche vive solo di reputazione, anche più delle banche stesse.
La brutta figura è poi rafforzata da due fattori. Il primo è che la botta e risposta sulla probabilità degli scenari che abbiamo descritto di fatto sta al tema vero degli stress test come una chiacchierata da bar sta a un convegno di fisica nucleare. Gli stress test sono materia di scienza. Nel secolo scorso, ad esempio, se ne è occupato Paul Kupiec, anima quantitativa della Federal Riserve di New York, e me ne sono occupato anch’io, insieme a un co-autore che oggi lavora, indovinate dove? A MPS. Per intimidirvi con un po’ di termini in stile “latinorum”, si tratta di maneggiare statistica bayesiana, tecniche di “condizionamento delle matrici di correlazione”, e così via. La reputazione sul grado di probabilità degli stress test, e quindi sulla loro credibilità, non si conquista quindi con una dichiarazione a un giornale, ma sottoponendo ai “peer”, cioè alla comunità scientifica, la macchina con cui sono stati fatti gli stress test. Il fatto che la macchina non sia stata fornita, e non lo sarà mai, induce il sospetto (per me certezza) che la macchina sia solo carrozzeria e non abbia dentro nessun motore.
Il secondo fattore che aggrava il danno reputazionale è il modo in cui i risultati degli stress test sono stati commentati, dalle stesse autorità di supervisione. Tutto bene, madama la marchesa. “Ho visto 9 banche italiane non passare i test. Ah, beh! Sì beh! Ah beh! Si beh!” E invece se 9 banche italiane non passano il test (su 15 italiane che in totale hanno fatto il test e su 25 che in tutta l’area euro non lo hanno passato), non va bene per niente. E se non si dice che non va bene, si affossa la reputazione dell’esame e si dice implicitamente che l’esame non serve a niente.
Invece, 9 banche italiane che non passano il test significa che c’è un rischio sistemico in Europa, ed il focolaio è l’Italia. O meglio, è la fotografia di un focolaio di epidemia di quasi un anno fa. Che epidemia non ci è dato sapere, ma forse ci possiamo arrivare da soli. E’ l’esposizione delle banche italiane al debito pubblico italiano, come dice Silvia Merler su Bruegel, e che io e Angelo Baglioni abbiamo documentato in un lavoro scientifico? E se è solo questo, per documentare questa verità c’era bisogno di tutto questo stress test europeo?
Pur ammettendo, quindi, di non sapere di quale rischio sistemico si tratti, è fuori discussione che gli stress test abbiano rintracciato rischio sistemico. Ma il rischio sistemico è per definizione un evento esterno, e non controllabile da chi lo subisce. La caduta di un aereo è il rischio sistemico che pone fine alla vita dei passeggeri. Non ha molto senso farli anche pagare per il rischio che sopportano. E’ forse più sensato che sia la compagnia aerea a pagare per ridurre i rischi.
In termini più generali, il rischio sistemico è una catastrofe naturale, e l’assicurazione contro le catastrofi naturali deve naturalmente essere a carico delle collettività. Per essere ancora più espliciti, se il rischio sistemico in oggetto è il default della Repubblica italiana, il pagamento dell’assicurazione si chiama “spending review” (vera) e patrimoniale (vera anch’essa).
Ma mentre gli stress test hanno oggettivamente rintracciato rischio sistemico, pur senza riconoscerlo, almeno pubblicamente, è veramente curioso che non sia stato rintracciato contagio. Contagio è un aereo in cui un passeggero ha una bomba in tasca: la sua morte coincide con l’esplosione dell’aereo e la morte degli altri passeggeri. Lehman Brothers, come molte altre banche nel 2008, era un passeggero con una bomba in tasca. Ci sono eredi di Lehman Brothers tra le 130 banche degli stress test europei? A scorrere i nomi dei pesci rimasti nella rete degli stress test, pare di no. Pare piuttosto che la nuova vigilanza, alla ricerca degli squali e dei grandi predatori, abbia tirato a bordo una rete di pesci boccheggianti nelle acque del mediterraneo. Ed è un vero peccato, perché sono i portatori di contagio cui deve essere chiesto di mettere da parte capitale per garantire la neutralizzazione della loro forza distruttiva.
Non ci sono banche contagiose, o troppo grandi per fallire, quindi, nella rete degli stress test. Vuol dire che non ce ne sono in Europa? Ogni giorno che apriamo un giornale, viene da dubitarne. Oggi, ad esempio, leggiamo la notizia di accantonamenti fino a 3,1 miliardi di euro da parte di Deutsche Bank per spese legali: spese per fare fronte a responsabilità eventuali di atti di contagio immani. Manipolazioni di mercati che fino ad oggi ritenevamo liquidi, puri e liberi come gli oceani: il mercato dei tassi e dei cambi. E possiamo anche ricordare che Deutsche Bank compare tra le 16 banche su cui un paio di anni fa l’antitrust europeo ha aperto un’indagine per il mercato dei derivati di credito, chiamati CDS (Credit Default Swap).
Il fatto che gli stress test non abbiano spremuto fuori il contagio è un sintomo anche di un modo vecchio di concepire il rischio, e la supervisione cosiddetta macro-prudenziale. Le fonti e le reti di propagazione di contagio non sono emerse perché non sono state cercate, o meglio: non sono state cercate le reti di contagio delle crisi bancarie di questo secolo. Nel sistema bancario le crisi non si propagano per contrazioni dei crediti, o per riduzione del prodotto interno lordo.
Le crisi bancarie moderne si trasferiscono per carta, ed è la carta che ha strangolato gran parte delle banche. Conservo ancora una slide, presentata a Singapore da Eli Remolona, economista della Banca dei Regolamenti Internazionali, che racchiude questo concetto in due dati. Al 2010, le perdite dei “subprime”, cioè quelle da fallimenti di mutui, erano 500 miliardi, mentre le perdite di valore dei titoli erano 4000 miliardi. “Grandi banche fallite senza un penny di default”, commentava poi testualmente.
Questa carta c’è, ha anche un nome nella disciplina contabile: sono i titoli di “livello 3”, quelli per i quali non si dispone di informazioni sufficienti per la valutazione. E di questa carta ce n’è abbastanza. A fine luglio 2014 Bloomberg riportava che le 10 maggiori banche europee avevano in pancia 109 miliardi di questi titoli. Di questi 29 erano dentro Deutsche Bank e 25 miliardi dentro BNP. E una riduzione del 10% del valore di queste attività finanziarie avrebbe mangiato il 5% di valore del capitale di Deutsche Bank. Seguivano, secondo Bloomberg, nell’elenco dei grandi infettandi di Europa, Natixis, BNP, la nostra Mediobanca e la belga KBC. Il contagio di carta è quindi sempre attivo, a dispetto degli stress test.
In conclusione, il libro dello “stress test” si riassume in due personaggi: MPS e Deutsche Bank. E’ curioso, e pieno di simbolismo, che siano venuti in contatto tra di loro recentemente, nel caso Santorini, più o meno come Pinocchio venne a contto con il Gatto e la Volpe. Gli esiti dello stress test della BCE hanno quindi lo stesso contenuto morale che avrebbe avuto Collodi se avesse chiamato il suo capolavoro “Il Gatto e la Volpe”, invece di “Pinocchio”.
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