Finanza
Banche: prove virtuose di “Terzo Polo”? Un settore bancario in trasformazione tra pubblico e privato
Banche: prove virtuose di “Terzo Polo”?
Un settore bancario in trasformazione tra interessi privatistici e collettivi.
Il valore dell’indipendenza delle banche e della separazione dalla politica.
1 – Complessità e integrazione degli intrecci e delle scalate bancarie: per quale efficienza sistemica?
La catena bancaria, che è ormai un corpo istituzionale di tipo sistemico (nazionale e internazionale), è in movimento. Un battito d’ali a Milano (Unicredit) rischia di diventare una valanga a Francoforte (Commerzbank), mentre un MPS proiettato verso Milano (Mediobanca) fa fibrillare i confessionali delle chiese tra Parigi e Trieste (Generali). Stiamo assistendo alle scosse di un ecosistema integrato che cerca di riposizionarsi sul piano continentale tra crescita, diversificazione e (anche) “scalate ostili”, a volte inefficienti (e/o inopportune), specie se troppo in contrasto con i Governi.
Dopo l’aumento robusto di quote di Unicredit su Commerzbank in attesa delle reazioni di questa (che prova a “snellirsi”) e poi l’OPS su Banco BPM e di quest’ultima su Anima nell’asset management (respingendo un attacco ritenuto “ostile” per offerta irrealistica e incongrua), BPM aveva messo gli occhi su MPS (di cui detiene una partecipazione del 5%) per provare a valutare il perimetro di un “Terzo Polo” italico dopo quelli di Intesa e Unicredit. Ma MPS (banca commerciale) dopo il “risanamento” pubblico è uscito improvvisamente dall’angolo e ha mosso le truppe su quel monumento (ora un po’ marmoreo) del sistema bancario italiano che è Mediobanca, la storica banca d’affari diventata di fatto holding di partecipazione con in pancia una quota importante di Generali (con il 13% oltre a Delfin con il 19,39% e Caltagirone con 10,17%, Banca Mediolanum al 3,52%, Unipol Ass. Al 2,08% e altre minori). Quella banca che fu regno incontrastato del “fine manovratore” Enrico Cuccia che ha influenzato le grandi operazioni del capitalismo italiano – con riservato rigore – fino a quando è rimasto in vita, scomparso nel 2000 a 93 anni.
La vexata quaestio è che MPS, controllata dal Tesoro all’11 %, è più piccola di Mediobanca (di circa un 35% ma con più del triplo dei dipendenti pari a 16.500); viene pertanto da chiedersi come può avere l’ardire di “mangiarsi un pesce più grosso in termini di valore“; ma poiché la questione può essere superata con un aumento di capitale, la conquista potrebbe anche andare in porto, per di più se sotto le “ali governative benedicenti” della formazione appunto di un “Terzo Polo”.
I detrattori stanno cercando di mettere i bastoni tra le ruote di MPS sostenendo che è difficile ipotizzare che ci sia una logica industriale dietro a questa mossa; ma l’ad di MPS, Lovaglio, offre argomenti non irragionevoli quando afferma che nel merger vengono a mettersi assieme “competenze, ricavi e reti” e le forze di due entità che si possono completare a vicenda. Da un lato MPS con la sua anima di banca commerciale tradizionale, dall’altro una banca d’investimento come Mediobanca che si occupa di patrimoni ma anche di asset management e credito al consumo nelle sue recenti trasformazioni. Sul piano concreto, effettivamente la combinazione/integrazione di questi due modelli di business può creare valore aggiunto come dimostrano casi simili a livello internazionale. Nei deal non ci sono solo le sinergie da costo (economie di scala) ma anche i vantaggi della diversificazione dell’assistenza finanziaria alle imprese anche quale fattore competitivo, che certamente è di crescente importanza.
2 – L’ integrazione culturale è fattore da non sottovalutare
Questa possibile integrazione finanziaria richiede però un’integrazione organizzativa non facile date le differenze profonde tra le due culture aziendali. La maggiore “imprenditorialità” di Mediobanca dovrebbe prevalere sull’”anima burocratica” di un MPS che si troverebbe al comando se l’operazione di concentrazione andasse in porto. In effetti sta qui il maggior rischio del successo del deal. Quindi, checché ne dicano gli oppositori, tra MPS e Mediobanca le sinergie ci sono e forti. Insieme, potrebbero sviluppare un innovativo modello di business, potenziarsi sul piano organizzativo, e rafforzare il gruppo bancario nascente con i mezzi derivanti dalla cessione di parte delle rilevanti partecipazioni detenute da Mediobanca a favore dell’innovazione tecnologica di MPS coprendo così i ritardi che ne hanno accentuato la debolezza competitiva negli anni e appesantito l’organizzazione burocratica funzionale.
La formazione di un “nucleo duro” di Terzo Polo potrebbe attrarre anche Banco BPM che, grazie alle sue specificità operative nei territori ricchi del centro nord, darebbe un ulteriore importante contributo al potenziale di sviluppo del nuovo gruppo bancario, che si presenta in grado di insidiare le posizioni attualmente di testa di Banca Intesa e Unicredit iniettando nell’eco-sistema italiano maggiore concorrenza, robustezza e adattamento, dunque rendendolo più resiliente. Un “Terzo Polo”, quindi, robusto e indipendente, ossia non influenzabile dalla politica, e con un Governo che può liberarsi, con vantaggio, della partecipazione “pesante” in un MPS privatizzato e rimesso con successo sul mercato. Vi è pertanto da chiedersi, in questa prospettiva, perché, se tutta questa operazione presenta aspetti di ragionevolezza e sensatezza dal lato dei benefici strategici superiori ai costi per il sistema Italia, si siano configurate operazioni avviate come “ostili” (sia questa ultima di MPS su Mediobanca che quella precedente di Unicredit su Commerzbank e poi su BPM).
Trascurando il fatto che nelle concentrazioni c’è sempre chi guadagna e chi perde, va considerato che il Governo italiano è favorevole al caso MPS-Mediobanca, nonostante l’opposizione (per ora) di Mediobanca (che potrebbe essere superata negozialmente in termini di scambio equilibrato tra i due azionariati viste le complementarità di business), mentre si è mostrato contrario al caso Unicredit-BPM per la ragione opposta, dato che, guardando a un Terzo polo indipendente, ha pesato meglio un accasamento di BPM con MPS rispetto a quello con Unicredit; ma data l’OPS su Mediobanca non va esclusa una triangolazione MPS-Mediobanca-BPM. E non va pure trascurata l’eventualità di un Unicredit meno contrastato dal Governo nel tentativo di integrazione (second best?) con Banco-BPM.
3 – Capacità manageriali di MPS alla prova dei fatti
Quanto alle richiamate difficoltà di un’integrazione organizzativa/culturale, riconducibili all’”incompatibilità” manageriale, di stili di gestione delle due o tre banche coinvolte e innervate in storie e tradizioni fortemente differenziate – MPS “senese da secoli” (con tutti i suoi caveat identitari anche distorsivi fino al collasso e poi risanata dallo Stato), Mediobanca (con la sua storia milanese di banca d’affari e d’investimento nelle “shadow room” e ora cassaforte di partecipazioni strategiche ma “immobile” (forse anche per processi di de-industrializzazione e de-globalizzazione?) e BPM (“padana” con la sua aderenza ai territori del nord e a specializzate politiche di servizio a supporto di PMI e filiere di una rete-di-reti complessa) – non si può pensare che siano insuperabili. In questi casi, il nuovo soggetto emergente deve fare tesoro dei punti di forza delle sue componenti; dunque, nel complesso una virtuosa varietà di capacità manageriali e professionali da mobilitare per generare valore sia in una scala nazionale che internazionale.
È pertanto auspicabile che la maggiore imprenditorialità di Mediobanca sia messa al servizio del superamento delle fragilità di MPS (e di BPM qualora anche questa si aggregasse al deal). Si tratta certamente di una sfida impegnativa che va però affrontata al pari degli aspetti finanziari. Devono essere pertanto respinte le obiezioni sul fatto che MPS non sarebbe in grado di gestire il cambiamento perché viene da una storia (recente) di dissesti, da poco risanata, e le sue performance – si dice – derivano da margini di interesse gonfiati dall’aumento dei tassi della Bce; non ci sarebbe pertanto una vera e propria conferma della sua capacità di generare performance soddisfacenti e sostenibili. L’attenzione si è concentrata per questi motivi sui punti di debolezza di un MPS “audace ma forse un po’ troppo ottimistico” con le sue velleità di conquista mentre per Mediobanca si sono avute levate di scudi e voci di difesa della sua autonomia e indipendenza non solo per il suo rango elitario e di alta competenza, ma anche perché sarebbe rimasta l’unica banca di investimento al servizio dell’economia del Paese.
4 – L’unione fa la forza?
Ma se vogliamo andare al sodo con valutazioni di una ritenuta consolidata reputation da mettere al vaglio, va preso atto che anche in questo caso non è sempre “tutto oro quel che luccica”. Negli ultimi anni questa “banca di investimento” si è barcamenata finendo anche a fare il credito al consumo e il retail banking con l’effetto di offuscare la sua storica identità di banca di affari, alla ricerca di qualsiasi nuova fonte di ricavo per sopravvivere e accrescere redditività. Una banca quindi senza una ben definita strategia, che ha in pancia partecipazioni di rilievo in importanti società che potrebbero essere in parte liquidate per fare investimenti nel Paese a favore dello sviluppo e di una crescita condivisa. In effetti, la Mediobanca di Cuccia è finita e forse è tempo di esplorare nuove vie di valorizzazione visti gli enormi potenziali.
Il suo management difende ora la propria autonomia di fronte alle scalate ostili come è giusto che sia, ma queste si verificano proprio quando cala l’efficienza dei soggetti-target e ci sono i presupposti per aumentarla. Questa è del resto la logica dei mercati e della concorrenza. La concentrazione tra MPS e Mediobanca si può anche discutere ma sarebbe utile cominciare anche a discutere il ruolo di specifiche istituzioni creditizie e finanziarie guardando ai loro potenziali inespressi. Mediobanca non è l’unica istituzione a operare in Italia nell’investment banking. C’è da tempo anche la CDP-Cassa Depositi e Prestiti, e avevamo un tempo l’IMI e il Crediop, quest’ultimo lasciato andare alla deriva nel disinteresse – purtroppo – anche di una “politica distratta”. Dunque, una integrazione tra MPS e Mediobanca non è né irrealistica né irrealizzabile perché potrebbe essere utile all’interesse generale del paese contribuendo a ridare slancio strategico a entrambe queste istituzioni attraverso una riorganizzazione complessiva.
Del resto, l’evoluzione dei business model vede sempre più lo sviluppo dell’investment banking nell’ambito di grandi gruppi diversificati (sia Banca Intesa che Unicredit hanno divisioni di corporate e investment banking) in grado di competere rispondendo alle esigenze delle imprese con una offerta integrata di servizi creditizi e finanziari fuori dalla portata degli intermediari specializzati. Quanto alle critiche sulla commistione tra commercial banking e investment banking, fatte ora a proposito di MPS-Mediobanca, vanno distinte le attività di investimento al servizio dello sviluppo delle imprese da quelle meramente speculative tenuto conto, peraltro, della attuale regolamentazione europea che pone regole e vincoli stringenti a tutela della stabilità. Quanto poi a casi analoghi, andrebbe richiamata alla memoria il Sanpaolo IMI nato nel 1998 dalla fusione tra l’Istituto bancario San Paolo di Torino e l’Istituto Mobiliare Italiano, che ebbe un grande ruolo nel finanziamento dell’industria italiana nell’immediato secondo dopoguerra e negli anni successivi.
5 – “Terzo Polo”, vigilanza su intrecci azionari e interessi privatistici e collettivi: verso resilienza e fiducia
Per chiudere queste nostre considerazioni sulle “prove virtuose” di Terzo Polo, è del tutto evidente che dovranno essere evitati “distorsioni e vizi antichi di interferenza politica” ma va messo anche in rilevo come il riassetto del sistema bancario italiano nell’interesse dell’economia del nostro Paese, ma anche dell’Europa, pur ispirato alla logica di mercato, sembra troppo influenzato da questioni affaristiche spesso più personali che aziendali connesse a complicati intrecci azionari che andrebbero probabilmente meglio disciplinati. Ci riferiamo al fatto che le “prove virtuose” (come le abbiamo chiamate) di Terzo Polo così tanto virtuose non sono alla luce di vicende legate a interessi personali più che a quelli aziendali, in grado comunque di movimentare la catena bancaria sistemica di cui stiamo parlando.
Infatti, si osserva come le mosse di MPS su Mediobanca deriverebbero dall’obiettivo dei due soci più importanti di Mediobanca ma anche di MPS (gruppo Delfin e gruppo Caltagirone) di contrastare l’affaire in cui è coinvolta Generali (di cui Mediobanca è pure azionista) riguardante l’intesa tra Generali e BPCE, banca francese proprietaria di Natixis, per la creazione di una joint venture nel settore dei servizi di asset management che si collocherebbe tra le più grandi società di investimento a livello europeo e internazionale.
Mentre il management di Mediobanca è favorevole all’affaire, i due azionisti di riferimento (che hanno un peso significativo anche in MPS e che quindi lo avrebbero indotto alla scalata di Mediobanca) sono contrari avendo interessi propri da difendere sempre nell’ambito del risparmio gestito in Italia. Ma la scalata di MPS a Mediobanca avrebbe anche l’effetto di aumentare il potere di controllo di Delfin e Caltagirone sul nuovo gruppo emergente. Tra le motivazioni (di facciata) si sostiene che il risparmio italiano è a rischio potendo finire nelle mani dei francesi; e da qui si è invocato l’intervento del Governo che per il momento ha assunto una posizione defilata dietro al principio che a decidere deve essere il mercato.
Si richiederebbe allora alla vigilanza europea una maggiore attenzione alle dinamiche opache degli incroci sulle partecipazioni (tra intermediari bancari/non bancari, imprese e società assicurative) con regole certe di trasparenza, comunicazione e correttezza volte a salvaguardare l’efficienza dei mercati; dunque, capace di “allineare” gli interessi particolari di azionisti privati con quelli più generali tutelando in questo modo la stabilità del sistema evitando conflitti di interesse corrosivi di concorrenza e corporate democracy e gli investitori con una più corretta divulgazione delle informazioni. Rinforzando in questo modo una sana concorrenza e la fiducia nel sistema finanziario. Accendendo la grande questione europea del presente e del futuro: chi rappresenta il mercato e quali le misure più appropriate per mantenerne l’efficienza e la trasparenza?
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