Finanza

Banche in allarme, il taglio Ires di Renzi è una polpetta avvelenata da 4 mld

28 Ottobre 2015

La manovra finanziaria per il 2016 varata dal governo Renzi contiene una polpetta avvelenata che sta togliendo il sonno ai banchieri italiani. È l’effetto paradossale del “taglio Ires”, la riduzione di tre punti percentuali dell’imposta sui profitti delle società, sgravio che è peraltro subordinato alla concessione di ulteriore flessibilità sui conti da parte della Commissione europea.

Mentre per la generalità delle imprese la riduzione dell’Ires dall’attuale 27,5% al 24,5% nel 2016 e al 24% nel 2017 comporterà un risparmio di 1,2 miliardi per ogni punto percentuale di aliquota, le banche italiane subiranno infatti un contraccolpo per un ammontare, ancora in via di definizione, di circa 4 miliardi di euro. È questa la stima preliminare circolata in sede Abi, la lobby delle banche, sull’impatto che il taglio avrebbe sulle cosiddette imposte differite attive (DTA, deferred tax assets, nel gergo degli analisti finanziari). I tecnici dell’Abi stanno lavorando in stretto contatto con quelli delle banche per quantificare con esattezza il “boomerang Ires”. Ma per ora, nonostante ormai il testo del ddl Stabilità 2016 sia depositato al Senato, l’ordine di scuderia è di tenere basso il profilo per non spaventare gli investitori.

Ma qualche ragionamento, comunque, si può già fare oggi, sulla base di dati pubblici. Sui conti degli istituti di credito italiani, le “imposte differite attive” pesano complessivamente 31 miliardi di euro, secondo gli analisti di Rbs. Questa voce di bilancio è formata per lo più da imposte che le banche hanno pagato in anticipo negli anni passati, in gran parte a causa di una norma fiscale che le obbligava a spalmare su 18 anni il costo sostenuto per svalutare i crediti in difficoltà. A fronte di questo rinvio, le banche hanno iscritto in bilancio un credito verso l’erario (pari al 27,5%, cioè l’aliquota Ires, del costo rinviato nei bilanci futuri), credito che viene poi “speso” anno dopo anno, via via che la quota di svalutazione matura a livello fiscale.

Nel momento in cui si riduce l’aliquota dell’imposta societaria applicabile agli esercizi futuri, si riduce anche il beneficio che il “piano di ammortamento” della svalutazioni dei credito (come anche dell’avviamento) determina per il contribuente-banca. Tre punti percentuali di Ires in meno (che diventano 3,5% dal 2017) si tradurrebbero perciò in un calo dell’aggregato imposte differite di almeno 4 miliardi di euro, secondo una stima preliminare circolata in sede Abi,  dove se ne è parlato nel corso di una riunione giovedì scorso. Non meno della metà di questa cifra, riferiscono fonti vicine alla vicenda, sarebbe imputabile alle due banche maggiori, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Ma si capisce che sul tema tutti gli interessati non abbiano voglia di rilasciare commenti, anche perché si spera di convincere il governo a introdurre un correttivo che faccia salvo il passato. Alla peggio faranno il tifo contro, “gufando” che la Commissione Europea non conceda quel margine di flessibilità sui conti, derivante dalla cosiddetta “clausola migranti”, a cui è subordinata tutta l’operazione Ires.

Data l’entità delle cifre in ballo, la questione sta tenendo banco ai vertici delle banche, con gli amministratori delegati in pressing sul ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che forse non aveva stimato l’effetto imprevisto del taglio Ires. O forse sì, suggeriscono alcuni osservatori. Quei 4 miliardi di aggravio fiscale stimato che si produrrebbe sulle banche si confrontano con i 7,45 miliardi sul biennio 2017-2018 che il governo Renzi stima essere il costo del taglio Ires (fonte Relazione tecnica al ddl Stabilità).

La questione è della massima importanza soprattutto per i suoi effetti immediati sugli esercizi in via di chiusura, in quanto implica un allarme-utili sul 2015 e un possibile taglio sul dividendo programmato, un po’ meno in termini di patrimonio di vigilanza e capitalizzazione, salvo forse per istituti come Mps e Banco Popolare. Secondo i calcoli degli analisti di Equita sim, a fronte di un indice patrimoniale primario (Cet 1 ratio) compreso tra il 9 e il 13%, i Dta su crediti bancari valgono circa 1,4-1,6% per singola banca.

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Ultimo aggiornamento alle 21:40

 

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