Finanza
C’è del marcio nel capitale delle banche italiane: CONSOB ci dica quant’è
Se il dito indica la luna, l’idiota guarda il dito. Nella vicenda del salvataggio delle quattro banche, il dito (medio) è quello rivolto dai banchieri della filibusta ai contribuenti e al bail-in, che dovrebbe mettere i conti pubblici al riparo dal salvataggio delle banche. La luna (nera) è quella della qualità del capitale di tutte le nostre banche e la latitanza delle nostre autorità di vigilanza. La luna, la domanda che nessuno solleva è: quanto altro capitale delle banche italiane è nelle mani di casalinghe, capifamiglia e piccole imprese? Perché se la vicenda delle quattro banche non fosse l’eccezione, ma la regola, il sistema italiano sarebbe il primo a sollevare il problema della qualità, più che della quantità, del capitale regolamentare delle nostre banche, e la questione di una revisione della regolamentazione di trasparenza e stabilità. Altro che scagliarsi contro il bail-in, come fanno le associazioni di consumatori e i politici: il bail-in è una vittima, insieme ai nostri conti pubblici, di una supervisione insufficiente. Piuttosto, sarebbe il caso di chiedersi se non sia il caso di attribuire a una sola autorità la supervisione della trasparenza e della stabilità, almeno in un campo delicato come il sistema bancario.
Il “capitale marcio” è quello a cui il consiglio dei ministri questa domenica dovrà trovare una modalità di rimborso, a carico dei contribuenti o di altri risparmiatori. E’ il capitale sottoscritto da quella figura che abbiamo visto comparire sui giornali di questi giorni, “l’azionista incapiente”, questo ossimoro in carne e ossa che non ci saremmo aspettati.
Sono ormai troppi i casi di “capitale marcio”, perché si tratti solo di casi isolati. Abbiamo pensato a un caso isolato di fronte alla vicenda della Popolare di Vicenza, in cui il capitale veniva emesso con il ricatto per la concessione dei servizi. C’è anche un’ombra di ironia nella vicenda. Nelle capitali della finanza si discute animatamente della questione del KVA (capital-valuation-adjustment), cioè se sia lecito addebitare il costo del capitale ai clienti, che già pagano per il loro rischio di credito negli interessi. La Popolare di Vicenza era già avanti da anni, imponendo il contributo di capitale addirittura “in natura”. Se vuoi il prestito, comprati il capitale. Questa stessa storia abbiamo sentito filtrare qua e là nel caso delle quattro banche salvate. Su una rete locale della mia regione, un risparmiatore di Popolare dell’Etruria raccontava proprio che “se ci volevi lavorare” dovevi sottoscrivere un po’ di debito subordinato: anche questo è capitale, sebbene di secondo livello (Tier II).
Se questa storia di raccogliere capitale “in natura” da quelli stessi che ti portano il rischio per il quale devi raccogliere capitale è un fiore all’occhiello della genialità criminale finanziaria italiana, il problema dei piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto azioni e debito subordinato perché considerati sicuri, e considerati sicuri perché erano emessi da una banca, ci riporta all’ennesima tipica vicenda di “risparmio tradito”. “Noi siamo la nuova Parmalat”, ha dichiarato alla stampa qualcuno dei malcapitati. E ha ragione: proprio come ai tempi della Parmalat quando i risparmiatori erano stupiti dal default perché ritenevano di essere al sicuro, avendo sottoscritto titoli di credito e non di capitale, oggi i risparmiatori rivendicano di essersi sentiti al sicuro perché i titoli erano emessi da banche.
La domanda ovvia sollevata da queste vicende è: perché il capitale delle banche (azioni e debito subordinato) era sottoscritto da risparmiatori che non sanno neppure cosa significa “subordinato”? E la domanda ancora più rilevante è: quante azioni e debito subordinato sono ancora in mano alle famiglie italiane, invece che agli investitori istituzionali? La rilevanza di questa domanda è evidente. Possiamo riformularla in questo modo: su quanto capitale genuino possiamo contare in caso di crisi di un gruppo bancario, senza dover intervenire con i soldi dei contribuenti?
Notate che la domanda è addirittura a monte della questione del “bail-in”. Qui la questione non è se pagano prima gli azionisti, poi i creditori subordinati e dopo il resto dei creditori, e infine il fondo di garanzia dei depositi, lasciando intatti i conti pubblici. Qui la questione è se azionisti e creditori della banca in crisi debbano essere salvati dal contribuente perché raggirati e inconsapevoli dei rischi. Se questo è il principio che si sta affermando nell’applicazione italiana dei salvataggi bancari, la domanda che segue è quanto sia il conto dei salvataggi di una delle altre banche che potrebbero entrare in crisi domani. Chi ha il debito subordinato di MPS, del Banco Popolare, di BPM, del Credem e così via?
E questo ci porta alla fine alla solita questione. Ma la vigilanza italiana sul risparmio è all’altezza? Pare che la CONSOB si muova solo ora, e solo sui casi scoppiati. E la posizione che filtra dai giornali è sconcertante, per non dire ridicola. La stampa riporta che secondo la CONSOB i prospetti erano regolari. E’ come se i medici si mettessero a riempire a tappeto i pazienti di anfetamine e l’autorità di regolamentazione del farmaco dicesse che il bugiardino dei farmaci era corretto. Il problema non è il sbugiardino: il problema è il comportamento dei medici. E dove sono finiti i super-poteri di investigazione che la CONSOB vanta da anni? Quante ispezioni sono state fatte sulla politica di vendita di titoli propri da parte delle banche? Sono state fatte ricerche e analisi su chi detiene il debito subordinato delle banche italiane? Su questo dovrebbe informarci la CONSOB. Qui il tema è più rilevante di Parmalat, perché questi titoli riguardano il capitale regolamentare del nostro sistema bancario, e la sua stabilità. Se la CONSOB si limita a leggere i prospetti, forse è il caso che abdichi, almeno a proposito del sistema bancario, a favore dell’istituzione che sorveglia la stabilità. CONSOB o Banca d’Italia: qualcuno vada a fare ispezione nei borsini, invece che limitare la visita ai quartieri generali delle banche. Se questa verifica non verrà fatta, il sistema rischia un “contagio da informazione”, come lo definiva un mio collega tedesco. La traduzione è semplice: se queste banche hanno tradito la tua fiducia, perché mai non dovrebbero farlo le altre?
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