Finanza

Arca e il blitz di un vecchio volpone della finanza sul risparmio italiano

6 Novembre 2015

L’Italia è ormai tornata sugli schermi della finanza internazionale. L’ennesima conferma è il fatto che dalle nostre parti fa capolino persino un vecchio volpone come Bob Diamond, ex amministratore delegato del gruppo Barclays. “The unacceptable face of banking” (la definizione è di Peter Mandelson, ex ministro del governo Blair) ha appena confezionato un simpatico specchietto per allodole per mettere le mani su un importante pezzo del risparmio gestito italiano. Un gioco da ragazzo per uno che nel 2008 evitò per un soffio l’abbraccio mortale con una Lehman a un passo dal tracollo e che nei sei anni più acuti della crisi (2007-2012) guadagnò 120 milioni di sterline, ma poi Diamond fu costretto a dimettersi per via dello scandalo Libor , che alla sua banca costò 60 milioni di sterline in Gran Bretagna, e ulteriori sanzioni per 360 milioni di dollari negli Stati Uniti.

Con una luccicante offerta da “un miliardo di euro” il banchiere americano, che ora esercita in proprio attraverso la merchant bank Atlas, ha appena tentato un blitz su Arca Sgr, la storica società di gestione del risparmio controllata dalle banche popolari – che gestisce circa 30 miliardi di euro di risparmi per conto di oltre 600mila risparmiatori cliente di banche popolari.

Bob Diamond
Il banchiere americano Bod Diamond, ex a.d. di Barclays

La proposta pare stia molto a cuore all’attuale dirigenza di Arca, guidata da Ugo Loser, che ha indubbiamente il merito di aver ridato una rilucidata alla società, dopo anni in cui era diventata una sorta di cimitero degli elefanti. Ma Loser e i suoi forse si sono esposti troppo nel caldeggiare la proposta di Diamond alle banche azioniste, suggerendo di accettare una trattativa in esclusiva e chiudere entro dicembre, mentre fuori dalla porta non mancano altri fondi interessati o concorrenti in pole position come Anima, che si propone come punto di riferimento per il consolidamento dell’asset management italiano.

La valutazione proposta da Atlas lascerebbe ben poco spazio per rilanci, se fosse da intendere come prezzo offerto sull’unghia per avere il 100% di Arca Sgr. Verrebbe per esempio tagliata fuori Anima Sgr (partecipata da Bpm, Clessidra, Creval, Poste), e il suo progetto di diventare un polo aggregante nel settore della gestione del risparmio (insieme le due Sgr sfiorerebbero 100 miliardi di masse gestite). Gli analisti di Mediobanca hanno calcolato che equivale a 38 volte gli utili 2014 di Arca, contro un multiplo di 23 applicato dalla Borsa a Anima, e un rapporto prezzo-masse gestite del 3,5% (di recente, operazioni simili sono girate intorno al 2%). «Anche le sinergie potenziali realizzabili con un partner industriale come Anima sono significativamente più elevate di quelle ottenibili con un fondo di private equity», riconoscono gli analisti, non c’è partita dunque. In realtà, Atlas non punta al 100% ma al più al 60% (con un minimo del 51%) di un nuovo veicolo che controllerebbe Arca e nel quale le banche azioniste della sgr dovrebbero reinvestire a condizioni molto stringenti.

 Ugo Loser
Ugo Loser, amministratore delegato di Arca Sgr, intervistato da Class Cnbc

 

A ben guardare l’offerta di Atlas vale molto meno di quel che luccica. Il miliardo di euro, infatti, si riduce a una più realistica somma di 740-750 milioni di euro, essendo 260 milioni il valore massimo della clausola di earn out, ovvero un eventuale extra guadagno massimo che verrebbe riconosciuto solo al verificarsi di determinate performance della società.

Ma anche sul “prezzo base”, per così dire, di 740 milioni ci sarebbe da dire. La valutazione della società nella situazione attuale si aggira in realtà, intorno, a 500 milioni di euro, cioè la metà del prezzo sbandierato in questi giorni. Che poi non è così distante dai 480 milioni, la valutazione espressa da Ernst&Young quando alcuni mesi fa il Banco Popolare si è tirato fuori dalla compagine, esercitando il diritto di recesso. La differenza fra 740 e 500 milioni è il prezzo che Atlas riconoscerebbe in cambio della completa riscrittura degli accordi commerciali esistenti con nuovi contratti ventennali.

Sulla base degli accordi esistenti, Arca paga alle banche collocatrici un certo ammontare commissioni come è d’uso nel settore, più un compenso ulteriore sulla base di accordi di partecipazione con alcuni degli azionisti. L’anno scorso, per esempio, su un totale di 253 milioni di ricavi Arca ne ha riversati ben 167 milioni ai collocatori (tolta una minuscola parte per gestioni affidate ad altri asset manager). Gli accordi di partecipazione hanno fruttato alle banche 12,9 milioni complessivi (rispetto a un utile della Sgr di 26,2 milioni nel 2014 e di 31,5 milioni nel 2013). I 240 milioni, in sostanza, sono il valore attualizzato della differenza fra gli attuali accordi e quelli che verrebbero sottoscritti se l’operazione andasse in porto. Considerando che si parla di un impegno ventennale, appaiono anche pochi.

A rifare i conti, dunque, la proposta di Diamond entusiasma più Loser che i soci principali di Arca (Bper, Veneto Banca, BpVi, Popolare di Sondrio). Fra i quali c’è pure chi non esclude l’ipotesi di un collocamento in Borsa da gestire in proprio, così da cogliere direttamente i vantaggi dell’attuale abbondanza sui mercati di capitali, anziché demandarla al private equity di turno. Ma a questo punto la nomina di un advisor indipendente è un passaggio opportuno, evitando scorciatoie quali premature trattative in esclusiva.

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In copertina, un manifesto di protesta contro Bob Diamond, allora a.d. di Barclays, al tempo dello scandalo Libor (2012), CC, Flickr

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