Borsa

Grecia, materie prime e Cina: i rischi continui dell’era della non-crescita

16 Luglio 2015

Alla fine di giorni da tregenda si è arrivati a un accordo sul terzo bailout greco, 82-86 miliardi di euro a carico del Meccanismo europeo di stabilità (il fondo salva-Stati), a cui vanno aggiunti 35 per investimenti provenienti da varie fonti. L’accordo è vincolato a un’approvazione rapidissima, entro domani per alcune riforme ed entro il 22 per altre, di una serie di misure draconiane, in precedenza rigettate dal Governo ellenico. Da questo pacchetto di aiuti le banche greche dovrebbero ricevere 10 miliardi per la ricapitalizzazione delle banche, allo stesso scopo dovrebbero poi nel corso degli anni aggiungersene 25 provenienti dal fondo che gestirà le privatizzazioni. Vista la situazione del sistema finanziario ellenico appare probabile la necessità di iniettare ulteriori fondi negli istituti di credito nazionali. Spostiamoci adesso dalle parti di Shanghai e Shenzhen, sede dei due imponenti mercati borsistici del Dragone: no non siamo impazziti né questo è uno degli articoli minestrone che mettono insieme una lista di catastrofi. Se pazientate a leggere capirete come i vari problemi di questi ultimi giorni siano legati in un paradigma unico.

L’ultima settimana ha visto una volatilità selvaggia, risolta con una crescita di circa il 10% dello Shanghai Composite, dopo giorni di perdite disastrose. È ancora presto per stabilire se le varie misure di sostegno messe a punto dalle Autorità cinesi si riveleranno solo un palliativo a quello che rischia di diventare un crash pesantissimo o se invece si ritornerà ai giorni ruggenti della Bolla.

All’apice della correzione i due listini cinesi hanno bruciato circa 3 trilioni di euro di capitalizzazione. Come si è arrivati a un simile enorme valore? In Cina, che in gran parte è ancora un Paese in via di sviluppo, si è creata una base di investitori retail, privati con piccole somme, enorme: oltre 90 milioni di persone. Queste persone, invece che investire in veicoli come i fondi comuni con un orizzonte a lungo termine, preferiscono il possesso diretto di azioni, spesso a margine e per operazioni veloci.

Il risultato è che mediamente sulle borse cinesi vi è un controvalore nominale giornaliero delle transazioni sui due trilioni di yuan (un euro vale poco meno meno di 7 yuan). In pratica in Cina una massa imponente di liquidità, accumulata grazie all’elevato risparmio nazionale si muove continuamente per inseguire la bolla del giorno: un decennio fa la Borsa, poi gli immobili, poi i vari prodotti di investimento offerti dalle banche per tornare al casinò dell’azionario.

Spostiamoci ancora un altro po’ per arrivare in Medio Oriente: abbiamo scelto questa travagliata area come simbolo del mercato del petrolio, le cui quotazioni hanno ripreso a scendere, insieme a quelle di tante altre risorse naturali. Questo nonostante l’Isis, l’Ucraina, la strisciante guerra mondiale fra sciiti e sunniti etc. Per il momento il mercato sta scegliendo di concentrarsi sul disgelo fra usa e Iran. Inutile dire che il permanere della depressione sulle commodity rende a dir poco difficile la situazione di diversi paesi, ex-star del mondo emergente.

Cosa hanno in comune la Grecia, le materie prime e il mercato azionario cinese? Sono tutti e tre segmenti dell’economia mondiale che hanno attratto nell’ultimo decennio una montagna di quattrini, con alterne fortune.

La crisi in questi ambiti è la spia di quello che a Pimco, uno dei maggiori gestori di patrimoni obbligazionari al mondo, hanno definito prima new normal e poi new new normal: un’economia globale destinata a crescere sempre meno rapidamente con cicli dei tassi di politica monetaria sempre più lunghi e sempre più orientati al permanere dei tassi bassi.

La realtà è che oggi generare crescita economica, definibile rozzamente come il processo con cui si crea delle attività in grado di remunerare il capitale preso a prestito e di lasciare qualche fetta di torta da spartirsi, è sempre più difficile. Di fronte a questo rallentare sistemico del pianeta, le cui ragioni sono vaste ed enormemente difficili da quantificare, il sistema finanziario mondiale ha deciso di correre ai ripari gettando sempre più soldi, gonfiando bolle qua e là, sperando che si autoalimentino sufficientemente a lungo e che qualcuna di esse alla fine generi innovazione e ricchezza reale.

In questo senso appare interessante il caso cinese dove a farla da padrone sono stati i titoli internet: tale comparto è in assoluto il più moderno e competitivo della Cina, che solo ora sta compiendo degli sforzi titanici per arrivare alla manifattura avanzata. Mancando altre opportunità una mole enorme di liquidità si è riversata su un ristretto numero di società.

A questo punto, torniamo alla Grecia, dove la battaglia oggi è fra chi vorrebbe continuare a tenere in vita, seppure in stato comatoso, la ex bolla greca e chi vorrebbe invece chiuderla lì. L’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis aveva chiaramente scommesso sulla paura atavica degli operatori finanziari di innescare una crisi globale degli asset finanziari. Scommessa peraltro non giustificata dalle dimensioni del debito greco.

In questo contesto, una chiave fondamentale è nelle mani della Federal Reserve, che parrebbe intenzionata ad alzare i tassi quest’anno: ma il rischio di sbagliare a valutare la solidità della ripresa economica in atto non appare irrilevante. Questo per via di un piccolo effetto secondario di quelle attività che davvero generano innovazione, ossia la deflazione, l’altro enorme rischio sistemico del capitalismo di questi anni. Come si usa dire in questi casi però, questa è un’altra storia.

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