Filosofia
“Nello sciame” di Byung-Chul Han: apocalisse o realtà?
“Nel 1964, in riferimento alla rapidissima ascesa del medium elettrico, il teorico dei media Marshall McLuhan aveva osservato: ‘La tecnica dell’elettricità è però in mezzo a noi, e noi siamo storditi, sordi, ciechi e muti di fronte alla sua collisione con la tecnica di Gutenberg’. Lo stesso accade oggi con il medium digitale. Attraverso tale nuovo medium noi siamo riprogrammati, senza comprendere pienamente questo radicale cambiamento di paradigma. Arranchiamo dietro al medium digitale che, agendo sotto il livello di decisione cosciente, modifica in modo decisivo il nostro comportamento, la nostra percezione, la nostra sensibilità, il nostro pensiero, il nostro vivere insieme. Oggi ci inebriamo del medium digitale, senza essere in grado di valutare del tutto le conseguenze di una simile ebbrezza. Questa cecità e il simultaneo stordimento rappresentano la crisi dei nostri giorni”.
Byung-Chul Han, “Nello sciame. Visioni del digitale”, nottetempo edizioni, Roma, 2015.
Questa la premessa che apre il pamphlet – si tratta di un saggio di 98 pagine – del filosofo coreano Han, docente di Filosofia e Studi culturali a Berlino. Un pamphlet di una densità e lucidità illuminanti e chiarificatori, soprattutto agli occhi di un lettore “generalista” come il sottoscritto. Unitamente a “Psicopolitica” e all”ultimo “L’espulsione dell’altro”, Han con questo testo – che è il primo dei tre – ha messo in fila dei pensieri assertivi e netti, capaci di chiarire una serie di codici interpretativi della società – perlopiù occidentale – contemporanea e della sua crisi. O del suo svuotamento.
È un testo semplice, scritto con un ritmo sincopato e senza un’apparente struttura preordinata, ma sviluppato seguendo un susseguirsi di affermazioni che costruiscono un discorso disvelante sulla mutata natura dell’uomo digitale. Ma la semplicità di una prima lettura non deve ingannare: questo testo è, a mio avviso, una sorta di atlante interpretativo che fissa, con rapida ed erudita spietatezza, una serie di tic degenerativi profondi che stanno intaccando l’antropologia stessa delle nostre società. Partendo da una critica radicale alla ideologia neoliberista che si cela nel sottostante alla presunta rivoluzione libertaria e “comunitaria” arrivata con il “digitale”.
Han spiega, infatti, che “L’era digitale non è l’epoca dell’ozio, ma della prestazione” e che “l’imperativo neoliberista della prestazione trasforma il tempo in tempo di lavoro, totalizza il tempo di lavoro. La pausa ne è solo una fase. Oggi non abbiamo altro tempo all’infuori di quello lavorativo: ce lo portiamo dietro, non solo in vacanza ma anche nel sonno. Per questo si dorme agitati; i soggetti di prestazione spossati si addormentano com si addormenta una gamba. […] La libertà della mobilità si rovescia nel fatale obbligo di dover lavorare ovunque. Nell’epoca delle macchine, già soltanto per via dell’immobilità di queste ultime, il lavoro era circoscritto rispetto al non-lavoro”.
A causa di questa spinta più o meno inconscia alla prestazione, in cui il soggetto diventa agente autoperformante, scompare la folla, la “massa”. La nuova folla, scrive Han, si chiama “sciame digitale e ha caratteristiche che la differenziano radicalmente dal classico schieramento dei molti, vale a dire dalla folla”, perché allo sciame digitale manca lo “spirito della folla: gli individui che si uniscono in uno sciame non sviluppano un Noi”.
E qui sta una delle chiavi interpretative dell’oggi che più mi ha affascinato, ossia quando Han spiega come l’homo digitalis non sia un Nessuno, bensì un “Qualcuno anonimo”, che non si riunisce come faceva la folla, perché è un soggetto senza spirito, a cui “manca la spiritualità del riunirsi – che produrrebbe un Noi, ma da vita a un particolare assembramento senza riunione, a una massa senza spiritualità”. Ed ecco emergere la differenza con la massa classica, che era provvista di un’anima cementata da una ideologia e che, in forza di ciò, marciava in una precisa direzione. E in questo cammino unito e indirizzato generava potere. “Massa è potere. Questa decisione manca agli sciami digitali: essi non marciano. Si dissolvono con la stessa rapidità con cui si sono formati. A causa della loro fugacità non sviluppano energie politiche.”
Quale l’effetto di tale processo? Il fatto che oggi si concreti uno “sfruttamento senza dominio”, in cui il “socius cede il passo al solus; non la moltitudine, quanto piuttosto la solitudine contraddistingue la forma sociale odierna, sopraffatta dalla generale disgregazione del comune e del collettivo. La solidarietà scompare: la privatizzazione si estende fino all’anima”.
Altro passo importante, che dovrebbero leggere molti sedicenti “politici” è quello che analizza gli effetti sopra tratteggiati rispetto al tramonto della rappresentazione, favorito dai new media, in favore della “presenza o alla co- presentazione”, ritenendo che il crescente obbligo di “presenza prodotto dal medium digitale, minacci universalmente il principio di rappresentanza”, con la scomparsa del futuro come tempo del politico.
Ma questa dittatura del presente ha, per l’autore un altro effetto, poiché fa emergere il dominio della “trasparenza”. Ed ecco che Han arriva a demolire, con grande disincanto, un altro dei totem su cui si è prodotta una classe dirigente che non è capace di pensare il futuro, ossia il mito immanente della “trasparenza per la trasparenza”. Dopo aver elogiato la riservatezza come valore per una politica di ampio respiro, Han dimostra che “sotto il diktat della trasparenza non si arrivano a discutere neppure opinioni divergenti o idee non convenzionali: difficilmente si rischia qualcosa. L’imperativo della trasparenza genera una potente costrizione al conformismo”.
Per evitare di fare una trascrizione del testo tralascio qui i passaggi sulla società senza rispetto che diventa una società sensazionalistica e dell’indignazione , altri tratti disvelanti di questo sciame che è l’umanità odierna. Mi fermo qui, consigliando vivamente la lettura di questo grande pensatore contemporaneo.
In questi giorni di ozio vacanziero però, guardandomi attorno e vedendo persone fisse sui monitor dei loro telefoni – uno per ogni componente familiare, bambini compresi – inebetiti da questo medium così pervasivo, continuo a pensare a questo libro e alle analisi del suo geniale autore. E se prima, leggendo il finale in cui Han dice che “La società della sorveglianza digitale, che ha accesso all’inconscio collettivo, sviluppa tratti autoritari e ci consegna alla programmazione psicopolitica e al controllo”, pensavo a una visione apocalittica, ho dovuto ricredermi. Siamo, probabilmente, già nel Reale più tangibile. Sul “che fare”, perché tale profezia non si avveri non si intravvedono però ancora strade.
Oggi urge, quanto meno, una presa di coscienza. Collettiva(?)
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