Famiglia
perchè gesù bambino può dare una speranza a credenti e non credenti
Natale è uno degli appuntamenti più sentiti dalle società occidentali.
Non solo il motore commerciale, quello delle compere, dei regali, dei pranzi e delle cene, dei viaggi e dei soggiorni, dei mercatini, delle manifestazioni.
Le luci, gli addobbi, i festoni, contribuiscono ad apprestare le località più amene e le location più caratteristiche, arrivano a suscitare una vera e propria “gara” che coinvolge tutti, dalle autorità comunali ai negozi, dalle strade agli edifici pubblici, fino ad ogni sito domestico e privato, colorando ed accendendo muri, balconi, finestre e cornicioni.
In ogni casa e in ogni ambiente, pubblico e privato, non mancano, insieme alle luci, almeno i simboli del presepio o dell’albero natalizio.
Questa atmosfera, questa magia, coinvolge la nostra società, i nostri ambienti, le nostre famiglie.
Tutti sappiamo che la fonte di queste manifestazioni e di queste celebrazioni sta in un evento che caratterizza il messaggio legato ad una delle religioni che ha fatto la storia del globo negli ultimi due millenni, quella del Cristianesimo, con la natività del suo ispiratore, Gesù, detto “Il Cristo” (“l’unto del Signore”).
Per i cristiani il Natale è la celebrazione di un evento senza pari: un Dio che “si fa uomo”, decidendo di nascere, di incarnarsi, di “prendere carne” da una giovane fanciulla ebrea che viveva in Palestina.
Per chi non crede questo può essere un mito, una bella favola, o comunque il racconto, teologizzato, della venuta al mondo di un uomo realmente esistito che ha segnato il pensiero e i destini di innumerevoli persone a lui ispiratesi nel corso dei secoli successivi.
Degno di nota è ricordare che il calendario più diffuso sulla faccia della Terra è quello che conta il tempo cronologico separandolo con un ante Christum natum / post Christum natum.
Senza riprendere triti discorsi sul fatto che tanti festeggino senza ricordare il festeggiato, la mia riflessione vorrebbe porre una domanda: può la vicenda di questo bambino dire qualcosa non solo ai credenti ma anche a coloro che non credono? E se sì, in che maniera?
Io partirei da una considerazione: non esiste nella storia di ogni essere umano, di ogni famiglia, di ogni organizzazione sociale e di ogni Civiltà, un momento più significativo quale quello della propagazione della vita e della celebrazione per l’evento di una nuova nascita.
Ovunque, la nascita di un bambino costituisce un motivo di gioia, di rinnovata speranza, di determinazione di senso legata alla possibilità di un futuro attraverso la propagazione della vita.
Al tempo stesso, nell’era della globalizzazione, della società liquida (1), della informazione digitale, sono sotto gli occhi di tutti e del mondo intero – nonostante gli impedimenti legati a volte ad informazioni canalizzate in maniera distorta secondo le leggi dettate dai poteri occulti di sempre – le vicende e le situazioni che ci presentano il dramma dell’infanzia negata in giro per il mondo: dalla pedopornografia alla pedofilia, dallo sfruttamento della prostituzione minorile al commercio e al turismo sessuale dedicato, dal lavoro minorile nelle fabbriche, nelle miniere ed in ogni settore lavorativo possibile ed immaginabile alla dispersione scolastica, dal mancato accesso all’istruzione alle discriminazioni verso il mondo femminile fin dalla tenera età, dalle mutilazioni etniche ai matrimoni dei bambini, per arrivare ad ogni genere di violenze, ambientali e domestiche, fisiche e psicologiche, fino alle storie di negazione più totalizzante dell’infanzia e dell’umanità stessa, quella dei bambini soldato (2), drogati e spediti in prima linea nei villaggi a commettere eccidi e mattanze delle popolazioni civili.
Queste terribili immagini e storie dell’infanzia negata, destando sentimenti di impotenza, di rabbia e di sdegno, suscitando in noi la richiesta per un impegno civile personale e collettivo a favore di ognuna di queste vittime e contro tutte le cause che ne provocano lo sfruttamento e l’abuso, nell’impegno per l’individuazione, la denuncia e il perseguimento dei colpevoli, ci ricordano infine che una società che non difende i suoi bambini non difende se stessa e non si garantisce alcun futuro.
Non scordiamo anche tutti i bambini vittime delle guerre, della fame, delle carestie, delle malattie non curate (maggiori rispetto a quelle incurabili), delle migrazioni come profughi e quelli a cui è negata la nascita stessa, per mille motivi.
Questi quadri ci consegnano drammi che vanno di pari passo con la storia dell’umanità ma che oggi sono, in qualche modo, sotto gli occhi di tutti coloro che non vogliano “voltarsi dall’altra parte”.
Quanto grande è lo sgomento per la considerazione dei drammi legati all’infanzia negata tanto maggiore è il sentimento che vede nelle venuta di un neonato un motivo di speranza che superi le angosce per le tante minacce portate all’infanzia stessa.
Per questo, la storia di un bambino ebreo nato duemila anni fa in Palestina in una situazione precaria, “al freddo e al gelo” (3), come uno che non avrebbe avuto diritto ad un alloggio degno di questo nome, da genitori che stavano vivendo una vicenda che li superava (e quale gravidanza non “sconvolge” la vita di qualsiasi coppia sulla Terra?) e che si caratterizza come un motivo di speranza, di luce, di mantenimento delle promesse, ha da dire qualche cosa, da dare un senso, in primo luogo alle nascite e alle esistenze di tutti quei bambini che, oggi, possono venire al mondo in situazioni di precarietà, di mancanza, di minaccia che gravano su di loro.
E, insieme con il senso proprio della vita di ogni bambino, per la dignità e la grandezza che questa, ogni vita, porta in sé, questa luce, questo senso, questo adempimento delle promesse, delle speranze, delle attese, passa dal dono della venuta di un nuovo nato a pervadere le vite e le esistenze di tutti coloro che ne accolgono l’arrivo.
Un credente deve scoprire questo: non solo la preghiera al Christus patiens, all’Uomo della Croce, al Gesù Messia adulto e taumaturgo. L’uomo di fede deve scoprire la preghiera, la devozione, la spiritualità del culto a Gesù come Bambino, quella stessa che fu mirabilmente testimoniata dalla sequela sulla via della infanzia spirituale da Teresa di Lisieux (4).
Quello stesso Gesù che, ancora una volta in questi giorni, è protagonista della festa del Natale vissuta in ogni dove.
Anche chi non crede (in Dio), fissando il suo sguardo negli occhi di un Gesù Bambino che ci guarda da un presepe domestico, da una mangiatoia allestita da qualche parte o da un’immagine che ci raggiunge dal web, può ritrovare il senso più profondo e il messaggio più autentico che ci è dato in questi giorni di festa: quello della speranza, della gioia, della certezza per la realizzazione di un modo migliore perché, fin quando ci sarà un bambino, ci sarà una luce che ci illumina.
Alessandro Manfridi
(1) Z. BAUMAN , Modernità liquida, trad. di Sergio Minucci, Editori Laterza, Roma -Bari, 2011.
(2) I. BEAH, Memorie di un soldato bambino, Neri Pozza Editore, Vicenza 2014.
(3) https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/e-natale-tu-scendi-dalle-stelle
(4) TERESA DI GESÙ BAMBINO, Storia di un’anima, Editrice Shalom, Ancona 2001.
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