Sentenza di Trento, la GPA

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17 Marzo 2017

Nel mondo femminista, e in generale in quello della riflessione sul tema del diritto, ha fatto discutere un recente provocatorio articolo della celebre filosofa e femminista Luisa Muraro, dal titolo «Una di meno». L’intenzione caustica era evidente già da qui: il titolo faceva il verso al recente movimento Nonunadimeno che ha organizzato la manifestazione tenutasi l’8 Marzo, coincidente con la Festa Internazionale della Donna, come internazionale è stata la stessa manifestazione.
L’articolo, comparso il 3 Marzo nel sito della Libreria delle Donne di Milano, luogo di divulgazione delle teorie femministe, si scagliava contro la recente Sentenza del Tribunale di Trento la quale si pronunciava in favore della paternità di una coppia gay. Tale decisione comporta, salvo diverse disposizioni della Cassazione, la trascrizione di un certificato di nascita in cui scompare la madre che ha condotto la gravidanza svuotandone, secondo la Muraro, di spirito la maternità e riducendola, par di capire, a strumento.
Eppure queste argomentazioni sottovalutano, come rileva Wendy Mcelroy nel libro Libertà per le donne, il tema delle opzioni di scelta e dell’autodeterminazione.

La maternità surrogata regolamentata può essere suddivisa, per semplicità, in due tipi: altruistica e commerciale.
Ad oggi anche i Paesi che presentano una disciplina legislativa favorevole alla maternità surrogata non la tollerano quando a fini di lucro (con l’eccezione dell’India). Accade così che le diverse legislazioni abbiano trovato soluzioni differenti per regolamentare la pratica: in Inghilterra si criminalizza la gestazione per altri se avviene a fini di lucro, ma non si considera nullo un accordo privato fra le parti avente basi solidaristiche e non viene escluso un compenso per la madre unicamente qualora la somma risulti limitata alle spese sostenute; alcuni Paesi degli Stati Uniti, fra cui il New Hampshire, l’Arkansas e la Virginia ritengono legittimi tali accordi sulle medesime basi, sebbene sia prima necessaria l’approvazione da parte delle autorità giurisdizionali, mentre in altri sono attive già dagli anni ‘80 organizzazioni private di intermediazione, come la INCY di New York.
La questione di cui spesso si sente discutere è proprio la natura del compenso. La donna che si offre come surrogata riceve, comunque sia, una somma in denaro; la maternità surrogata su basi altruistiche vera e propria avviene nel momento in cui una sorella si presta a condurre una gravidanza per conto della moglie di un fratello nel caso in cui quest’ultima fosse impossibilitata, o quando, come avvenuto l’anno scorso nel Regno Unito per Kyle Casson, la propria madre decide di ospitare in grembo il nipote. Se non vi sono gradi di parentela o di amicizia, perché si passa da un’agenzia di intermediazione, la situazione pone invece altri interrogativi che sono, poi, quelli danno apparentemente ragione di opporsi a Luisa Muraro.

E’ legittimo notare che l’intermediazione di un’agenzia prevede una transazione finanziaria in cui una coppia od un/a single paga degli agenti per una prestazione, fra cui la gravidanza. Oggetto di interesse della madre surrogata è evidentemente il compenso, non avendo mai avuto prima alcun rapporto con i committenti, e quello dei futuri genitori il bambino. Da questo ne consegue che la situazione prevede due rapporti di forza economici sostanzialmente differenti o, quantomeno, uno maggiore per i committenti.
Luisa Muraro qui potrebbe sostenere che la situazione economica di colei che si presta a condurre la maternità per conto altri metta questa, di fatto, in una situazione in cui le opzioni di scelta sono scarse e per cui sparire dal certificato di nascita è il risultato finale delle scarse opportunità che la vita le ha riservato.
In relazione a questo punto sempre Wendy Mcelroy fa notare, tuttavia, come quasi certamente nemmeno l’operaia che lavora in una fabbrica – e di certo non esprime quel lavoro creativo che secondo Marx era il più adatto alle caratteristiche della persona umana – ha avuto un’ampia gamma di scelte, adattandosi a quel che le poteva essere offerto. L’operaia lavora inoltre con parti del corpo, come allo stesso modo la gestante offre il proprio.

Restano pertanto tre ragioni per non essere preventivamente a sfavore della maternità surrogata nonostante l’importante opinione di Luisa Muraro.

In primo luogo, Luisa Muraro sembra sottovalutare l’autodeterminazione della donna che sceglie di fare la gestante per conto terzi. La donna canadese che si è resa disponibile in qualità di gestante l’avrà fatto informata di cosa prevedeva la giurisprudenza canadese e senza pretesa di visita del nascituro o di essere trascritta come madre nell’atto di nascita. La scelta può essere stata dettata dalle sue necessità economiche, ma in questo caso il nocciolo della questione è la bassa offerta di alternative e non è restringendole ulteriormente che una persona potrà sollevarsi dalla classe a cui appartiene per estrazione sociale.
In tal senso è forse meglio spostare il problema sull’assenza di opportunità, che non consentono una piena autodeterminazione, che bandire una possibile scelta.

In secondo luogo, va fatto notare che si sono già verificati casi in cui durante o dopo la gravidanza la gestante ha avuto ripensamenti, chiedendo la nullità del contratto.
Nello stesso caso Baby M, che salì alla ribalta dei media statunitensi a metà degli anni ‘80, il giudice Sorkow, il quale comunque si trovò in favore del padre biologico contro la madre surrogata, non mancò di sottolineare che «La madre surrogata non prende mai una decisione volontaria o informata, perché chiaramente qualsiasi decisione che precede la nascita è non informata» in quanto ella non può conoscere anticipatamente il proprio stato emotivo e sentimentale durante e dopo il periodo gestazionale.
I sistemi anglosassoni prevedono, nei casi in cui la madre surrogata volesse annullare il contratto, che il giudice tenga conto dell’interesse della creatura venuta al mondo, facendo passare l’accordo in secondo piano. Così un altro celebre caso, quello di Re Evely, verificatosi in Australia, vide dato l’affidamento alla madre gestante.
Se questa è la storiografia dei casi noti, il timore che la madre scompaia anche qualora non lo voglia non c’è.

In terzo e ultimo luogo, il punto vero è la forma che si vorrà dare a tali contratti. Se però dei contratti vi sono, possiamo auspicare che il minore rischio riduca nel tempo quelle situazioni in cui la loro assenza crea reali condizioni di schiavitù, le quali – ricordiamolo – implicano la cessione di ogni personale condizione morale e fisica a qualcun altro.

TAG: libertà, Luisa Muraro, maternità surrogata
CAT: Famiglia, Legislazione

Un commento

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  1. maja-mann 8 anni fa

    “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
    (K. Marx, “Miseria della filosofia) Nessuna tecnica/scienza/tecnologia è in sè giusta o sbagliata. Bisogna verificare l’etica dell’uso che se ne fa. Verifichiamo: 1° così nessuno più adotterà i già nati che già ora periscono figuriamoci ampliando lo strumento locatizio; 2° mercifica la persona umana, sia la donna maggiorenne, ma soprattutto il bimbo trattato come cessione di cosa futura con tanto di clausola per vizi (poco importa se la cessione avviene per denaro o altre utilità, come accade ove è gratis con rimborsi spese o altri benefit materiali);3° se si ammette la cessione del bimbo come oggetto di contratto cosa futura, si deve accettare l’idea di poter acquistare pure il bimbo già nato (cosa che spesso lo salverebbe da morte certa o da peggior destino); 4° messa in pericolo della libertà sessuale: se non sai chi siano i tuoi genitori e i tuoi fratelli prima di ogni amplesso ti porti un kit dna per evitare l’incesto? (se vi pare una cosa assurda, vi consiglio di approfondire il caso francese della studiosa di biodiritto che lotta per far cadere l’anonimato dei donatori – è figlia di utero in affitto/sorella utero in affitto/ha sposato altro figlio utero in affitto); 5° se al minore neghiamo la qualità di persona umana (affermando un principio patriarcale) così procedendo apriamo la strada alla restaurazione della schiavitù; 6° notare la selezione genetica per l’ovocita (da donna bianca, capelli e occhi chiari) mentre la portatrice è spesso molto meno bianca della genetica donatrice; 7° questione di classe sociale: chi è più povero viene privato della possibilità di allevare i propri figli che invece passano in gestione a chi è più ricco; il povero figlia ma poi il ricco si appropria dei frutti; 8° se basta il consenso e possiamo fregarcene, allora cosa dovrebbe evitare il patto di A per consegnarsi schiavo a B che accetta? 9° se tutto ciò che esiste va accettato e legalizzato, allora faremo aprire p.iva alle mafie (stesso esempio si può fare con tutto ed è evidente il non-argomento)?
    Se accettiamo l’utero in affitto: allora bisognerà legalizzare: 1. la vendita dei figli di chi li ha messi al mondo ma non li vuole (non puoi trattare in modo diverso situazioni uguali); 2° la possibilità di vendere il figlio concepito ante-aborto; (come sopra)3°la vendita di adulti perchè si possano concedere schiavi volontariamente (ne abbiamo molti che chiedono il riconoscimento dello status di schiavo); 3° la possbilità di vendere organi con regolare asta al miglior offerente (se basta la volontà di disporre ….); 4° ah ovviamente restaurare la schiavitù per debiti (in fondo è solo fino al saldo);

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