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Zugzwang al Teatro della Contraddizione
Nel gioco degli scacchi lo Zugzwang indica il momento in cui si è obbligati a fare una mossa, nonostante ci si senta impossibilitati a farlo, poiché si sa che, muovendo, qualcosa andrà sicuramente perduto, se non addirittura tutto.
E allora cosa muovere, e soprattutto come muovere?
Fino a che punto il movimento è uno slancio vitale e quando diventa una fuga o uno stallo?
Due individui, fratello e sorella (Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro, per la prima volta assieme in scena), si ritrovano come pedine all’interno di una scacchiera, un labirinto di figure in cui sono racchiuse tutte le loro possibilità di movimento e di relazione. Ad ogni figura corrisponde un mondo, un enigma da attraversare e decifrare. Una coreografia di 64 movimenti che racconta la complessità della rete umana, delle relazioni, dell’intreccio di vite e la difficoltà di trovare uno spiraglio di comprensione nel dipanarsi dei movimenti fra esistenze.
Abbiamo intervistato Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro per approfondire qualche spunto sullo spettacolo prima del suo debutto il 4 ottobre.
Lo spettacolo parte dal richiamo al gioco degli scacchi, dalla necessità – definita Zugzwang – di compiere una mossa, anche a prescindere dalla convinzione che quest’ultima possa portare un vantaggio al giocatore nella partita. Lo sguardo poi si allarga su una riflessione più ampia ed esistenziale, legata alle effettive possibilità che l’individuo ha, nella sua vita, di “fare una mossa” nella direzione definita dalla sua volontà e non da necessità o costrutti sociali. Da quale necessità artistica e di percorso individuale ha preso le mosse – per stare in tema – questo progetto?
ZugZwang è nato dal desiderio di incontrarci su un piano diverso da quello familiare a cui siamo abituati in quanto fratello e sorella. Ci siamo quindi chiesti cosa voglia dire muoversi quando le uniche possibilità di movimento sono quelle data da un quadro prestabilito (come in questo caso la famiglia) e se e come è possibile trovare nuovo spazio nello stesso spazio di sempre.
In che modo avete lavorato alla costruzione di questo lavoro, a partire dalla scelta dei protagonisti, per passare poi all’universo delle relazioni familiari?
Siamo innanzitutto partiti dal termine zugzwang che è arrivato a Elisabetta dal film Mr Nobody (di Jaco van Dormael). Abbiamo quindi cercato di intessere un reticolato o una scacchiera immaginaria fatta di figure e direzioni predeterminate. È lì che l’elemento familiare è emerso nella forma di un labirinto costrittivo entro cui possiamo muoverci ed eventualmente riuscire a trovare nuove forme di esistenza.
In un contesto contemporaneo in cui viene data grande responsabilità ai singoli rispetto alla buona riuscita dei loro progetti, delle loro vite, pur nella grande incertezza della quotidianità che viviamo, come si colloca invece la necessità di “avanzare” nonostante il disorientamento?
Come artisti siamo abituati al disorientamento che un po’ fa parte della materia del mestiere e un po’ è data dalle condizioni sempre più difficili in cui ci ritroviamo a muoverci. Probabilmente la domanda vera – che si pone anche per noi in ZugZwang – è cosa voglia dire davvero ‘avanzare’. Nella nostra esperienza di creazione un po’ la rivelazione è stata quella dell’impossibilità di prescindere dall’altro nel proprio muoversi individuale: la direzione non è solo quella immaginata in solitaria ma è sempre e comunque ridefinita dalle sue possibili deviazioni, dagli incontri, dai bivi e quindi dalle sue alternative.
Muoversi, in questo senso, a prescindere dalla convinzione dell’orientamento di questo movimento, può essere una risposta alla stagnazione, alla potenziale paresi che la fatica di trovare una strada può provocare? E quanto il corpo, il gesto che occupa un tempo e uno spazio precisi, consente di riappropriarsi di una solidità individuale, di confini personali?
La domanda di base di questa creazione riguarda proprio il senso del movimento: quando muoversi è uno slancio vitale e quando diventa uno stallo o una fuga? Sicuramente capita spesso di ritrovarsi a muoversi per il semplice muoversi, o meglio, per la paura di essere lasciati indietro. Il movimento muore quando è cieco, quando è fine a se stesso e non si avvolge di quello che accade intorno. I nostri confini non sono rigidi né impermeabili, sono sempre porosi o comunque sono punti di contatto e non di esclusione: il movimento in questo senso non è solo il perseguire una direzione, ma attraversare uno spazio denso e abitato.
Ed è possibile uscire dalla dinamica prestabilita, predefinita, dei rapporti interpersonali attraverso una riappropriazione del movimento “ragionato”?
Dipende cosa intendiamo per movimento ‘ragionato’. Se intendiamo qualcosa di ‘deliberato’, spesso pensiamo che un’azione personale, per essere tale, debba essere un’impresa tutta individuale, che dipenda solo ed esclusivamente dalla nostra volontà. Invece per noi, in ZugZwang, la sfida è stata proprio quella di riuscire a permanere e ad agire entro un ordine esistente di cose, quindi senza disfarcene, ma senza neanche esserne in semplice balìa. In questo senso, più che una questione di cosa si fa, qui la questione è come porsi nel proprio fare: e cioè, provare a fare diversamente ciò che esiste da sempre, piuttosto che fare per forza qualcosa di diverso.
ZUGZWANG
Di e con Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro
musica Amedeo Monda
luci Tea Primiterra
produzione Sosta Palmizi, Compagnie Meta (Francia), Cuenca/Lauro (Germania) co-produzione Festival Danza in Rete – Teatro Comunale Città di Vicenza
Per informazioni e prenotazioni
Ph. credits R. Panozzo
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