Librinfaccia, per abituarsi alle contraddizioni
I premi letterari e le presentazioni di libri sono appuntamenti piuttosto comuni per il “lettore medio” italiano. Dal capoluogo al piccolo Comune, sono molte le occasioni in cui confezionarsi un proprio festival letterario aperto a nomi grandi e piccoli del panorama editoriale e con finalità commisurate ai mezzi: da chi mira ad attirare visitatori e a finire sulle pagine dei giornali a chi, molto più prosaicamente, mette in piedi un’iniziativa che si rivolge alla cittadinanza e a un circolo locale di aficionados.
Nella “città bianca” di Ostuni, nel cuore del Salento, c’è un evento che sin dal nome sembra contraddire questa apparenza consuetudinaria e offrire ai partecipanti un’esperienza davvero “multicanale”: “Librinfaccia”, giunta alla quinta edizione, è infatti un mix inedito di presentazione canonica di un libro e riverbero sui social media, organizzata in una location piuttosto inusuale: una fabbrica. Non un affascinante spazio post-industriale rimesso a nuovo per farne una sede di co-working o un incubatore di start-up, ma un vero stabilimento industriale che, quando le macchine tacciono, lascia risuonare le parole.
L’uomo che sta dietro a questa macchina si chiama Giuseppe (Beppe) Moro, è un avvocato di Ostuni e sin dal primo momento ha seguito la nascita e la realizzazione del progetto. Ho conosciuto Beppe fra i banchi di un Master che abbiamo frequentato a Roma sul tema delle politiche pubbliche e del management politico e da tempo volevo farmi spiegare da lui cosa significa organizzare qualcosa di “pubblico” senza rappresentare un’amministrazione o militare in un partito. Nessuna tentazione di acritica celebrazione della società civile contrapposta alla politique politicienne (Beppe mi stopperebbe subito!), quanto un esempio di come energie locali possano essere catalizzate in un evento che non ha nulla dell’happening fine a sé stesso né un intento smaccatamente pedagogico. “Librinfaccia” nasce soprattutto come provocazione: in un’epoca in cui ognuno di noi si racconta su un “libro di facce” (Facebook), che effetto fa ricevere “libri in faccia” in uno spazio che ha apparentemente poco a che fare con la letteratura?
Beppe, quando nasce il progetto?
Dopo un classico temporale estivo. Era domenica, un acquazzone fortissimo. Poi di colpo il cielo divenne azzurro e Chef Rubio iniziò a spadellare in piazza. Seppure la critica (costruttiva) dica che amiamo solo presentare i saggi politici, tutto iniziò invece con un libro di ricette sulla dieta mediterranea di Stefania Ruggeri (nutrizionista) e con Gabriele Rubini, lo “chef televisivo”. Era il fine settimana in cui si svolgeva il più famoso Festival di Polignano, “Il libro possibile”, e noi creammo una curva da stadio tra piazza e strada.
Quali sono secondo te i tre elementi che rendono originale questo format?
Primo, l’esclusività degli ospiti: portare il mondo al centro del villaggio. Secondo, la sussidiarietà orizzontale tanto declamata e poco praticata. I nostri sono eventi culturali con zero soldi pubblici (solo sedie comunali!) e con diversi mecenati privati al servizio della comunità dei lettori. Terzo, le contraddizioni: hai mai visto in fabbrica una donna con la pelliccia? Sì, io ne ho viste tantissime nel mio teatro, la fabbrica. Ed è bellissimo.
Qual è stato il momento in cui hai capito che “Librinfaccia” era diventato un appuntamento irrinunciabile?
Da subito. Dopo Chef Rubio le aspettative di tanti sono diventate la mia forza. È sempre così. Più mi chiedono “e adesso?”, più decido di fare bene e del bene. Senza chiedere nulla in cambio, ma per il solo gusto di praticare la bellezza.
Qual è il fattore che convince autori così diversi tra loro (scrittori professionisti, politici, attori, giornalisti) a venire ad Ostuni?
All’inizio pensavo fosse solo una questione di richiamo della bella città che è Ostuni, la città bianca “nel sud del sud dei santi” (Carmelo Bene). Quando poi ho deciso di cambiare stagione dall’estate all’autunno e poi persino in inverno ho capito che non era solo una questione estetica, ma soprattutto il bisogno della comunità di riaggregarsi. Il pretesto era ed è il libro, ma l’obiettivo principale resta il ritrovarsi in un luogo. In paese (e non solo) chiudono i teatri, i cinema e le librerie ma paradossalmente i libri in fabbrica vivono e lottano insieme a noi. Credo che per questo le donne e gli uomini hanno bisogno di ascoltare e vedere con i propri occhi.
Qual è la prossima sfida per un format così consolidato?
Ho una sfida e un sogno. La sfida è quella di abituare sempre più le donne e gli uomini alla contraddizione (la donna in pelliccia in fabbrica), che genera un bello non convenzionale, diverso. Il sogno, invece, è presentare Samantha Cristoforetti e il suo libro mentre lei è in missione. Forse solo con lei accetterei di dialogare con l’autore. Non l’ho mai fatto in cinque anni e più di sessanta presentazioni di Librinfaccia!
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