Liberare la danza: intervista a Massimo Carosi

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4 Settembre 2024

Bologna. Liberare la danza e, in qualche modo, fecondare il futuro di un luogo, città o intero paese che sia. Fecondarlo di umanità, di cultura, di pensiero, di memoria, di bellezza. È così che potrebbe sintetizzarsi la proposta artistica della ventottesima edizione del Festival “Danza Urbana” di Bologna (dal 3 all’8 settembre 2024). Si tratta di una manifestazione di respiro internazionale che, sin dalla sua prima edizione, affianca e intreccia con generosità danza contemporanea (nuovi talenti, grandi protagonisti e realtà artistiche consolidate) e pensiero, estetica e riflessione politica, mettendo in relazione la creazione coreografica con la città e, in particolare, con spazi fisici non convenzionali, laterali, talvolta periferici, e comunque non immaginati e realizzati per accogliere opere d’arte o spettacoli. Luoghi della città che, in questo modo, possono essere riscoperti, percepiti diversamente dalla collettività, attraversati da una necessaria e intelligente proposta di cambiamento. Ne abbiamo parlato con Massimo Carosi, direttore artistico di Danza Urbana e, insieme con Luca Nava e Luisa Costa, suo principale animatore.

Ventotto è il numero delle edizioni del “Festival Danza Urbana” di Bologna: un numero bello corposo che racconta come questa manifestazione sia nata e si sia sviluppata da un’idea veramente feconda: mettere in dialogo la danza contemporanea con la città, al di fuori dei luoghi deputati allo spettacolo. Quali sono oggi, a suo parere, i frutti più significativi di questa avventura artistica?

 «La traiettoria di questi ventotto anni di Danza Urbana testimonia come la danza possa abitare qualsiasi luogo. Quando è proposta negli spazi pubblici della città riesce ad avvicinare in modo efficace nuovi pubblici. Intercetta e ad avvicina alle arti performative anche i cittadini che abitualmente non vanno a teatro, diffondendo una cultura della danza nelle sue forme più contemporanee e portando questa arte anche nelle periferie, in aree rurali e là dove non ci sono spazi teatrali. Il Festival ha sempre sviluppato una programmazione dislocata in differenti luoghi e contesti della città, con spettacoli per lo più gratuiti, rendendo l’arte della danza maggiormente accessibile e diffusa sul territorio bolognese. Al contempo, in questi quasi trenta anni nuove sensibilità sono emerse via via nella società, portando la danza urbana dalla periferia della scena, dove si trovava agli esordi come ambito residuale della ricerca coreografica, a un ruolo di rilievo nel fermento culturale legato ai temi dell’abitare, della partecipazione, della cittadinanza, del cambiamento climatico, che hanno dato corso allo sviluppo di nuove pratiche artistiche e a forme e oggetti culturali originali. Con il periodo pandemico questo fenomeno ha conosciuto un’accelerazione.  La danza urbana mette, infatti, in relazione la coreografia e i corpi dei danzatori con la città, i suoi spazi, i suoi abitanti, assumendo necessariamente una valenza anche politica, perché sottrae i cittadini, anche se in modo estemporaneo, alle logiche di mero efficientismo e funzionalismo dell’apparato città, rinegoziando e ricontrattando i tempi e i modi di fruizione degli spazi pubblici, riaffermando la possibilità e il diritto a vivere liberamente la città, i suoi luoghi, a esserne partecipi e non solo fruitori, elaborando forme di partecipazione ai processi di lettura della città e del suo apparato. Il Festival ha contribuito a generare un cambio di prospettiva mettendo in relazione la danza con i luoghi e non più con l’astrazione della dimensione dello spazio nel buio della sala teatrale. Ha spostato l’accento dalla rappresentazione all’esperienza che le arti performative possono offrire allo spettatore, sempre più immerso in un continuum comunicativo e in una sovrabbondanza di rappresentazioni tramite i dispositivi tecnologici e i canali social. L’esperienza offerta da un corpo danzante che si offre allo sguardo del cittadino nei luoghi del quotidiano consente di mutare la percezione del luogo stesso. Grazie all’affezione e alla memoria che l’esperienza produce rompe i meccanismi di fruizione indotti dalla routinarietà. Questo approccio alla danza era già presente in forma germinale nelle prime edizioni del Festival e si è consolidata e chiarita negli anni, fino a diventare una linea programmatica, che abbiamo seguito in modo tenace dando impulso ad un ambito, quello della danza urbana, che in maniera pionieristica iniziammo a sviluppare dal 1997».

Tra i temi che indagherete nel corso di questa edizione particolarmente interessante appare il rapporto tra vicinanza digitale e distanza fisica in un contesto urbano che se non è continuamente ripensato può diventare fonte di alienazione. Può chiarire meglio questa direttrice di indagine?

«Questo tema è strettamente connesso a due creazioni in programma al festival e che sono legate al rapporto tra arti performative e paesaggio: ATMOSFEROLOGIA > Veduta – Bologna di MK e Mirada di Elisa Sbaragli. In realtà gli strumenti digitali e tecnologici sono al servizio di una ricerca che vuole indagare il rapporto con la visione e la percezione di una veduta. Elisa Sbaragli in Mirada lavora fra micro e macro, fra dettaglio e visione panoramica, consentendo allo spettatore di costruire un proprio percorso percettivo e di visione attraverso la sovrapposizione tra l’immagine digitale e quella dal vivo con un “montaggio” attuato in tempo reale dallo spettatore stesso. In ATMOSFEROLOGIA – Veduta – Bologna, la traccia audio realizzato da Lorenzo Bianchi Hoesch consente di immergersi in un ambiente sonoro che è l’intrecciarsi tra i rumori della città dal luogo in cui il pubblico è convocato con quello finzionale della creazione. Questo ambiente sonoro in cuffia consente di accompagnare lo sguardo dello spettatore nella visione dei piccoli accadimenti all’interno di una veduta, dal punto più prossimo fino al punto più distante dal pubblico. Tutto ciò consente di cogliere la coreografia nel flusso stesso della città all’interno del quale si inseriscono gli interventi dell’autore e dei performer per guidare il pubblico in questa esperienza. Questi due lavori ci interrogano sulla nostra identità ONLIFE, secondo la definizione proposta da Floridi, dove questi due condizioni, fisica e digitale, si intrecciano fra loro creando uno smarrimento percettivo».

Da questa direttrice di indagine sembra nascere anche la riflessione sui processi di cambiamento dello spazio urbano. Processi che diventano metafore di apertura al futuro o di rifiuto di esso, accoglienza o rifiuto del cambiamento culturale e interiore.

«Il Festival Danza Urbana si è sempre interrogato sullo spazio urbano, la dimensione pubblica e civica dei luoghi della collettività, sulle trasformazioni urbanistiche e sociali che attraversano Bologna. Il dialogo e il confronto con urbanisti, architetti, paesaggisti, antropologi e sociologi è sempre stato fertile, producendo nel tempo numerose iniziative e progetti e alimentando il desiderio di indagare e riflettere ulteriormente su questi temi. Il punto di osservazione degli artisti, quando originale e spiazzante, ci aiuta ad assumere una maggiore capacità critica e una diversa consapevolezza rispetto a tematiche che appaiono spesso distanti dalla nostra realtà e puramente tecnocratiche e che invece incidono profondamente nel vissuto di ciascuno di noi. Il Festival in ogni edizione costruisce un racconto sulla città attraversando diversi luoghi e accogliendo una molteplicità di sguardi. È un tentativo di sottrarci alla paura del cambiamento e alla nostalgia dei paesaggi perduti per immergerci nel tempo presente cercando di attivare una presa di coscienza dei cittadini sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo, dove con “ambiente” non intendiamo solo le questioni ecologiche, ma anche sociali e politiche».

In questo contesto tematico che guarda al futuro come costruzione del cambiamento perché avete voluto inserire la memoria della Resistenza partigiana a Bologna?

«Il festival in questa edizione lavora su due direttrici. Quella del tempo presente, del “qui e ora”, attraverso azioni performative che si inseriscono nel flusso della città e quella delle memorie collettive e individuali che ci aiutano a leggere il presente. All’interno di questa ultima linea di programmazione si collocano sei eventi; fra questi, due sono legati al recupero di memorie legate al periodo della Seconda Guerra Mondiale. In particolare, la camminata storica sulla Resistenza curata dall’Istituto Storico Parri, è proposta l’8 settembre come ricordo di quel giorno del 1943, particolarmente drammatico per l’Italia, che segnò un cambio di passo nella lotta al Nazifascismo. Questa camminata si concluderà presso l’Istituto Storico Parri con la riapertura alla cittadinanza dei suoi archivi. Questo evento è la giusta premessa per lo spettacolo […]KZ di Paola Bianchi, una creazione commissionata dalla Stagione Agorà per il progetto ELP / Corpi reclusi nell’ambito di Voci della storia, che parte da un archivio di interviste a una cinquantina di sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, che è stato recentemente recuperato. Paola Bianchi si è confrontata con le parole dei testimoni, che come coltelli incidono la sensibilità di chi le ascolta e, ancor di più con i vuoti, i silenzi che trasmettono l’indicibile. Avvertiamo l’esigenza di sottrarre all’oblio del tempo le testimonianze di chi ha vissuto i terribili crimini della violenza nazifascista. Occorre immunizzarci da ideologie che rischiano di trovare oggi nuovi terreni di coltura. Bisogna tenere viva la memoria di quelle vicende per guardare al futuro con una diversa consapevolezza».

Quanto ha inciso, secondo lei, nel panorama della danza contemporanea italiana la possibilità che voi avete aperto e sostenuto di immaginare “strutturalmente” la creazione coreografica al di fuori degli spazi deputati allo spettacolo?

«La programmazione di opere di danza per contesti non teatrali (creazioni in situ, performance negli spazi pubblici, danza nei musei, spettacoli nei paesaggi naturali o urbani, ecc.) trova oggi sempre più spazio nei festival, rassegne e stagioni di importanti istituzioni culturali in Europa e in Italia. La danza urbana – come si suole definire questo ambito – si è rivelata uno straordinario strumento per intercettare nuovi pubblici, offrendosi allo sguardo dei cittadini nei luoghi della quotidianità, della socialità e della cultura, e nel portare le creazioni di danza anche in contesti privi di spazi teatrali, come quartieri periferici delle città, piccoli centri urbani, aree rurali. Queste sue prerogative la rendono particolarmente funzionale oggi nel rispondere alle sfide di costruire opportunità di socialità e relazione attiva con i territori e le comunità che le abitano. Le norme vigenti a livello nazionale limitano fortemente – se non disincentivano – lo sviluppo di questa area della creazione coreografica, determinando tra gli artisti italiani e i loro colleghi europei un divario nella capacità di rispondere alle esigenze di un mercato sempre più orientato alla relazione con le comunità del territorio e ad attrarre pubblici potenziali. La danza urbana contribuisce al rinnovamento della scena, portando l’artista a confrontarsi con una moltitudine di situazioni, contesti e luoghi differenti dalla scatola scenica e offrendo una straordinaria opportunità di sperimentazione e innovazione di forme, linguaggi e modalità di relazione con il pubblico. In questi ultimi anni le riflessioni attorno al paesaggio hanno trovato sempre maggiore eco nelle arti performative, dando impulso a nuovi campi di indagine e all’elaborazione di pratiche artistiche. Il paesaggio interroga, infatti, gli autori della scena sulle possibili forme dell’evento teatrale e delle sue modalità di fruizione. Introduce nuovi elementi nelle arti sceniche, soprattutto in ambito coreico, in quanto si contrappone al concetto di “spazio”, che tradizionalmente incardina l’atto teatrale dentro il meccanismo della rappresentazione. Le sperimentazioni che connotano questa area della danza invitano il pubblico a vivere un’esperienza e a essere partecipe del processo creativo, obliterando il dualismo soggetto/oggetto e la rigida gerarchia proprie della rappresentazione. Creano, quindi, una varietà di oggetti culturali, che talvolta esulano dalle forme convenzionali dello spettacolo dal vivo. La sostituzione del concetto di spazio con quello di paesaggio apre, quindi, all’elaborazione di nuove forme e modalità di relazione con lo spettatore, assumendo i connotati di un progetto culturale innovativo e radicale».

Sia come Associazione sia come Festival avete una dimensione internazionale che assegna autorevolezza alla vostra visione del panorama della danza contemporanea: c’è una peculiarità italiana nella danza contemporanea? Oppure gli scambi tra giovani artisti hanno già creato un linguaggio internazionale che va oltre le peculiarità nazionali?

«La danza in relazione al paesaggio o allo spazio pubblico in Italia sconta una rigidità normativa che non riconosce la possibilità a questo ambito di accedere ai finanziamenti ministeriali. Le norme non riconoscono al Settore Danza delle eccezioni dall’obbligo dello sbigliettamento per accedere al Fondo Nazionale dello Spettacolo dal Vivo come per esempio sono ammesse in altri ambiti, quali nel Teatro il teatro di strada e quello di figura. Non è pensabile proporre degli spettacoli nello spazio pubblico, imponendo un biglietto, senza che questo snaturi la percezione stessa del luogo, privandolo della sua natura pubblica, ponendo così l’opera in contraddizione con il tipo di intervento culturale che si prefigge. Questa situazione costituisce un grosso ostacolo allo sviluppo di una circuitazione e diffusione di opere pensate per lo spazio pubblico: se da un lato gli artisti e i programmatori non sono soggetti a logiche di “mercato”, dall’altra diventa per loro poco sostenibile la produzione di opere di danza urbana. Tutto ciò ha comportato che le poche opere realizzate siano di particolare pregio, perché nate da un’urgenza più che da un’esigenza di mercato».

 

 

Per il programma e maggiori informazioni: https://danzaurbana.eu/

Crediti fotografici di Virgilio Sieni, Daniele Mantovani, Sabrina Tirino, Raffaello Rossini, Marco Coniglione.

 

 

 

TAG: bologna, Danza contemporanea, danza urbana, Massimo Carosi
CAT: Eventi, Innovazione

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