UE
Web Tax: sì, no. Forse
Web tax sì, no, forse. L’opinione pubblica europea sentiva la mancanza del balbettio sulla tassa ai giganti dell’economia digitale dopo quelli, imperdibili, sulla politica estera che solo negli ultimi dodici mesi hanno toccato Siria, Turchia e Libia.
Dopo due anni di inutili tentativi per applicare una tassa armonizzata a livello europeo sulle attività digitali, al World Economic Forum di Davos in questi giorni sta andando in scena l’ennesima rappresentazione di un’Europa frammentata dagli egoismi e dagli opportunismi dei singoli paesi membri.
Riavvolgiamo velocemente il nastro per ricordare la vicenda e tentare di capire se e come se ne uscirà.
Nell’agosto del 2016 l’Antitrust europeo conclude un’indagine sugli accordi fiscali tra l’Irlanda e le società Apple Sales International ed Apple Operations Europe in base ai quali il gruppo Apple è arrivato a pagare imposte sugli utili nella misura dello 0,005 per cento (anno 2014). Secondo l’agenzia europea si tratta di aiuti di stato e la Commissione impone entro quattro mesi il recupero di 13,1 miliardi di euro di imposte non versate, oltre agli interessi maturati dal 1991 in poi, per un totale di 14,3 miliardi di euro.
Singolare, ma non troppo, a ricorrere alla Corte di Giustizia Europea sono il gruppo Apple (causa T- 892/16) e la stessa Irlanda (causa T-778/16). Entrambe le cause risultano pendenti, ma intanto, a settembre 2018 Apple versa i 14,3 miliardi richiesti dalla Commissione. L’Irlanda, invece di incassare risorse che sono superiori al budget annuale di diversi dipartimenti – solo per citarne uno, l’educazione irlandese nel 2020 avrà a disposizione 11 miliardi di euro, deposita le risorse presso una serie di investitori per il collocamento sui mercati finanziari in attesa della pronuncia definitiva della Corte di Giustizia Europea sui ricorsi presentati dallo stesso governo irlandese e dalle società che fanno capo a Apple.
Nel frattempo, a marzo 2018, la Commissione europea propone l’imposizione di una tassa armonizzata a livello comunitario per tutte le attività digitali. I Paesi membri si dividono immediatamente in favorevoli e contrari. A perdere di più sarebbero gli stati che basano la loro attrattività globale e il loro modello di sviluppo nel sottrarre il gettito fiscale a tutti gli altri, nella fattispecie Lussemburgo dove fa base Amazon, Irlanda divenuta il ponte europeo di Facebook, Apple e Alphabet, il gruppo che controlla Google e infine l’Olanda, il cui regime fiscale ha messo al riparo decine di multinazionali – tra cui molte italiane – dalle aggressive richieste fiscali degli altri Paesi europei.
Poiché, come è noto, in materia fiscale le decisioni passano solo all’unanimità, la proposta della Commissione si è arenata prima ancora di salpare. Anche perché gli Stati Uniti minacciano ritorsioni e dazi e agli stati membri, presi singolarmente, la voce di Trump fa immediatamente tremare le gambe. A livello di G20 si decide di affidare lo studio di una tassazione globale sul digitale entro il 2020 all’Ocse, l’organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica di cui fanno parte i 36 Paesi più avanzati.
Alcuni Stati decidono comunque di andare in ordine sparso, fra questi la Francia e l’Italia. Il Parlamento transalpino a luglio 2019 ha introdotto la ‘Taxe Gafa’ per colpire i giganti del web, Gafa sono le iniziali di Google, Amazon, Facebook ed Apple. La tassa è disegnata infatti per applicarsi alle grandi aziende multinazionali e preservare i medi e i piccoli. Vale il 3 per cento del fatturato, ha un valore retroattivo al 1 gennaio 2019 e colpisce le aziende con ricavi superiori ai 750 milioni di euro annui di cui almeno 25 milioni collegabili al mercato francese. L’Italia si muove sulla stessa scia con il Parlamento pronto a introdurre una misura molto simile, ma il governo cade e le priorità cambiano.
Gli Stati Uniti, non sono ostili alla proposta Ocse, ma non prendono bene l’iniziativa di Macron e minacciano ritorsioni imponendo dazi del 100 per cento sul vino francese.
A Davos, i due presidenti Trump e Macron si accordano per una tregua, sospensione della Taxe Gafa da un lato – “non ci saranno prelievi nell’anno in corso” – e stop alle tariffe maggiorate sullo champagne dall’altro capo dell’Atlantico, in attesa che l’Ocse formalizzi la sua proposta.
In Italia, con giornali e tv intenti a presidiare i citofoni, il dibattito arriva di sghembo grazie a chi si ostina a occuparsi di questioni cruciali per i cittadini italiani ed europei e non si rassegna alla riduzione della politica a battibecco di cortile.
Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ospite questa mattina ad Agorà su Rai Tre ha ribadito la posizione dell’Italia in merito alla tassazione sui colossi del Web, ricordando che il governo italiano «ha introdotto la digital tax nella legge di bilancio» con la riscossione in programma dal 2021. «Abbiamo scritto che se la misura internazionale che stiamo negoziando entrerà in vigore la nostra tassa si scioglierà e diventerà quella internazionale», altrimenti quella italiana «comunque resterà in piedi».
Ieri era stato il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli a intervenire sulle tensioni in atto a Davos, affermando come «tassare le imprese dove queste fanno profitti non è un delitto, ma una regola di giustizia» e mandando un segnale agli Stati Uniti: «i dazi producono dazi».
Tuttavia, il percorso della tassazione digitale resta accidentato, anche perché, fa notare una nostra fonte interna alla Commissione, se non si riesce ad accordarsi su una tassa a livello comunitario, figuriamoci a livello globale. Il problema è la libertà di circolazione dei capitali, fino quando resta un totem ci saranno sempre Stati che sfruttano il sistema per fornire trattamenti fiscali agevolati. In questo contesto, proporre limiti ai movimenti di capitali viene percepito come un ulteriore forma di ‘sovranismo’ e quindi neppure presa in considerazione.
Una strada, per quanto lunga e difficile, potrebbe essere la revisione dei trattati nella parte che oggi prevede l’unanimità delle decisioni riguardanti la materia fiscale, ma per questa ci vorrebbero statisti più che sovranisti. In Europa i primi scarseggiano, i secondi abbondano.
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