UE

Vincenzo Grassi e la crisi del sentimento europeista alla Statale di Milano

24 Ottobre 2018

Mancano ormai pochi mesi a maggio 2019, quando si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. I partiti euroscettici, specie in alcuni Stati membri, godono di un’alta popolarità, e ipotizzare un loro successo non è una follia. Come si è giunti a questo punto? Un fattore determinante è senz’altro la crisi del sentimento europeista.

E proprio questo argomento è stato oggetto, il 22 ottobre, di una lectio magistralis tenuta da Vincenzo Grassi nella sala lauree della facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano. Grassi è stato ambasciatore italiano a Bruxelles, Capo Dipartimento per le politiche europee presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e ha servito a Bruxelles nella Rappresentanza Permanente presso l’UE. Attualmente è Segretario Generale dell’Istituto Universitario Europeo (EUI) di Firenze. Alla lectio hanno partecipato in qualità di discussants Massimo Florio (professore di Scienza delle Finanze presso la Statale di Milano), Alberto Martinelli (professore emerito di Scienza Politica e di Sociologia presso lo stesso ente) e Jacques Ziller (docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università degli Studi di Pavia).

Quali sono, dunque, le origini di questo sentimento antieuropeista? “L’Unione Europea è nata in un contesto ben determinato” esordisce Grassi. “I mutamenti di contesto hanno messo in discussione la piena adesione ai valori fondamentali e il consenso attorno alla Ue”. “Oggi” spiega Grassi “assistiamo a dei megatrands, come il boom demografico nell’Africa subsaahariana, l’exploit economico in Cina e la diffusione delle Information and Communication Technologies  che mettono in discussione gli schemi liberali, keynesiani e rappresentativi cui l’Occidente è abituato. Il loro perpetrarsi non è affatto scontato”.

Altre variabili esplicative? “Le varie comunità europee sono sempre state attraversate da una tensione tra il modello federalista, di matrice italiana, e quello funzionalista, di scuola francese. Dopo il Trattato di Maastricht, la divergenza fra gli ideali federalisti e le prassi funzionaliste hanno fatto da blocco a una vera integrazione europea”.

Spesso il dibattito in materia pone in stato d’accusa l’allargamento dell’Unione Europea a quegli Stati che uscivano dalla zona di influenza sovietica. Una critica che, alla luce delle attuali policies del gruppo di Visegrad, potrebbe apparire fondata. Non è così secondo Grassi: “Si tratta di una critica molto facile. Le derive autoritarie in quei Paesi si sono manifestate molti anni dopo il loro ingresso nella UE”.

Negli ultimi quindici anni quattro circostanze hanno messo in crisi l’integrazione europea e lo spirito europeista” sostiene Grassi. “In primis, il fallimento della Costituzione Europea. Quello fu l’ultimo tentativo di conciliare federalismo e funzionalismo. Si tentò, in quell’occasione, una mossa di patriottismo costituzionale che andasse a colmare il vuoto lasciato da un demos europeo inesitente. Poi c’è stata la crisi economica iniziata nel 2007-2008, che ha evidenziato le difficoltà degli Stati membri di operare in un regime di solidarietà. Difficoltà, questa, evidenziata ulteriormente dalla crisi migratoria del recente passato, che ha anche creato il mito della sostituzione etnica e ha evidenziato la malafede di alcuni politicanti, che hanno ben sfruttato lo spaesamento portato dal cambiamento di epoca per creare dei capri espiatori e fornire risposte facili a domande complesse. Poi, ovviamente, c’è stata la Brexit, la quale avrebbe forse avuto effetti peggiori se non fosse stata basata su una determinazione elettorale”.

Quali prospettive, allora, per le elezioni del 2019? “Il Partito Popolare Europeo ha accantonato l’eredità culturale di De Gasperi. La sinistra ha perso invece i contatti con la propria base elettorale. Bisognerebbe uscire da un’economia monomaniacale che sacrifica tutto al controllo di deficit e debito. La Politica Estera e di Sicurezza Comune potrebbe essere uno strumento per il rilancio, almeno su un tema, della Ue. In ogni caso, il primo compito cui deve adempiere chi crede nel progetto europeo consiste nel non dimenticare gli obiettivi e lo spirito originario del progetto europeo stesso”.

 

 

 

 

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