UE
Viaggio a Birmingham, dove il Leave trionfó, ma nessuno è pronto per la Brexit
La pubblicità campeggia sul led luminoso all’uscita dall’avveniristica stazione di Birmingham: “Get ready for Brexit”, fatti trovare pronto per l’uscita dall’Unione Europea. La campagna è prodotta direttamente dal Governo. A seguire sullo stesso schermo si vedono tre ragazze che ballano felici in uno spot di una nota marca di abbigliamento. È solo una delle tante contraddizioni di questi giorni che la Gran Bretagna vive sospesa più di quanto non abbia vissuto nei tre anni trascorsi dal giorno in cui la maggioranza dei suoi cittadini hanno votato per abbandonare l’Europa. C’è poco da ballare di fronte a una prospettiva di uscita senza accordo con una sessione parlamentare chiusa dopo oltre due anni di lavori. E appelli ai tribunali a cui dopo i politici scozzesi anche quelli del Nord Irlanda chiedono di esprimersi sulla legittimità o meno da parte di Boris Johnson di negare il confronto politico in un momento così cruciale.
Birmingham, storica capitale dell’industria mineraria, patria di operai e lotte, è oggi tutta un cantiere. Sorgono nuovi palazzi attorno alla stazione in una successione che sembra non avere un ordine. Di sabato sera gli homeless chiedono l’elemosina. Raccontano che questi ragazzi, per lo più giovani, per stordirsi usino delle fiale di mastice per le biciclette. Lo mangiano. Oltre, naturalmente, a l’eroina,la droga dei poveri.
La gente di Brexit preferisce non parlare. Solo durante il volo per l’aeroporto di East Midlands una donna si stupisce che una italiana stia andando nel cuore della Gran Bretagna così poco battuto dal turismo: “Gli ultimi giorni prima della Brexit? Non cambia molto da quello che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni. Questa è una sciagura comunque andrà a finire”.
Karim guida una delle tante vetture gli Uber pop, il servizio di trasporto regolato dal colosso internazionale che a prezzi economici porta le persone in giro per la città. Viene dal Pakistan ed ha vissuto 24 anni in Italia. “Perché mi sono trasferito ? Per dare un futuro ai miei figli, qui la più grande appena dopo la laurea è riuscita a trovare un lavoro ben pagato. La Brexit? Non voglio parlarne, sono solo 2 anni che sono qui”.
A Birmingham nel 2018 sono arrivati 16 mila nuovi migranti. Nello stesso periodo, però, se ne sono andati in 9000. Tra la metà del 2015 e la metà del 2016 nella seconda città della Gran Bretagna c’erano 335.000 migranti su un milione di abitanti. Secondo i dati del Freedom of information laws di 5105 stranieri che hanno fatto domanda per la cittadinanza più di un quarto però non hanno superato il test.
A a 20 minuti da Birmingham si arriva nel cuore del Black country. Una volta qui sorgeva un importante distretto industriale: miniere, acciaierie, tutto spazzato via dagli anni del liberismo di Margaret Thatcher. Il 23 giugno del 2016 in questa che è storicamente una culla dei laburisti la Brexit è passata con il 67,7%, circa 16 punti in più della media nazionale. Chi ha letto l’ultimo romanzo di Anthony Cartwright, “Il taglio” (66and2nd) sa bene che l’approccio nei confronti di questa che è ancora una comunità è quello di non giudicarli per questa scelta che da fuori può sembrare scellerata. Ma ha una spiegazione vista da qui. ” Il taglio” racconta proprio l’incomunicabilità tra questo mondo che è nato e cresciuto nei valori più puri della tradizione operaia e ne ha vissuto per più di 30 anni il disincanto della sua fine e la borghesia illuminata londinese, un dialogo impossibile che ha visto la sua punta più alta negli ultimi quindici giorni di campagna elettorale. Uno degli episodi che vengono raccontati nel libro e realmente accaduto è la visita di Nigel Farage a Dudley. “Tre settimane era di nuovo qui” spiega Paul che assieme a un piccolo gruppo di persone gestisce il negozio di comunità di Dudley, uno shop indipendente che vende gadget per finanziare le iniziative di solidarietà per le persone. E come è andata questa volta? “Qui ormai non gli crede più nessuno, è chiaro che nel 2016 siamo stati ingannati da una propaganda di disinformazione che non abbiamo capito”. L’orgoglio del Black Country non è solo una parola che campeggia sulle magliette e sulle bandiere nere e rosse con il simbolo delle catene, uno dei manufatti più famosi che qui venivano prodotti: ” Noi qui con il nostro lavoro abbiamo trainato il Paese – continua Paul – crede che la nostra sia solo nostalgia? No. Non importa che oggi esistano ormai poche tracce di quel passato, che dove c’erano le acciaierie oggi ci sia un immenso centro commerciale. È il senso etico del lavoro quello che cerco di trasmettere ai miei figli”. E poi si lascia andare in una risata:” E che non votino mai Tory!”.
Quella memoria proprio in questi giorni ha i volti delle stupende fotografie di John Myers che negli anni ’80 realizzò nelle fabbriche degli scatti che ritraggono i luoghi e l’umanità. È stato infatti pubblicato da Rrb photobooks “The end of the Industry” a dimostrazione che la storia di ieri si riannoda alla crisi della Gran Bretagna di oggi. Myers, i cui lavori sono stati esposti anche in Italia, a Bologna, dice che non pensava che avrebbe tramandato i volti degli ultimi tornitori, delle operaie che producono mattoni. Era certo che la crisi sarebbe passata e sarebbero tornati tutti al lavoro di prima. Ma come scrive proprio Cartwright in un saggio a corredo del libro “è stato quel che è stato ed oggi queste foto ci spingono al confronto su quello che è accaduto dopo di allora. Dopo la fine dell’industria. E con cui dobbiamo convivere come meglio possiamo”. Brexit o non Brexit.
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