UE
Ventimiglia, ultima stazione di un’Europa al capolinea
Ventimiglia è l’ultima frontiera dell’Europa, il confine contro cui si infrange, in maniera probabilmente definitiva, il sogno dell’europeismo che nella forma più ottimista sfocia negli Stati Uniti d’Europa. La Francia si barrica in casa e innalza muri, mentre le Istituzioni di Bruxelles balbettano un piano di distribuzione dei rifugiati che sembra una caramellina da consegnare all’Italia. E, beninteso, questo non vuole essere la lagna patriottarda di un italiano alle prese con la questione dei flussi migratori, bensì è una constatazione densa di amarezza per la deriva presa dall’Unione europea.
In tutto ciò, c’è la conseguente consapevolezza che si viaggia spediti nella direzione della condanna all’irrilevanza nel quadro internazionale, in cui si sta innescando un nuovo ordine con la decadenza del potere statunitense e la rinascita di super potenze come Russia e Cina, che pur nelle loro differenze presentano dei tratti comuni. E soprattutto hanno tutto l’interesse a instaurare un dialogo per far valere la forza economica e l’influenza geopolitica.
Eppure i principi fondatori dell’Ue sono (o forse ci siamo illusi che fossero) l’accoglienza, la solidarietà e l’apertura che si sostanziavano come unico antidoto alle pulsioni nazionaliste, responsabili di secoli di conflitti. Con l’apice raggiunto nella seconda guerra mondiale. Di fronte al fenomeno della migrazione, che avviene per motivi terribili come la fuga da regimi sanguinari, l’atteggiamento francese è quello di chiudere la porta a doppia mandata, fornendo l’indecoroso spettacolo di persone accampate sugli scogli e nei prati di Ventimiglia con la polizia a presidiare la frontiera. Ma non è solo Parigi ad aver assunto posizioni rigide, a Bruxelles la questione è scaricata da tempo sulle spalle italiane. E questo anche a causa di un’incapacità di imporsi da parte dei nostri governi.
Il ‘blocco di Ventimiglia’ deciso dalla Francia rappresenta comunque una rottura difficile da sanare: con quale forza d’animo, e in particolare con quali risultati concreti, un europeista italiano dovrebbe perorare la causa dell’Ue? Come si possono contrastare le scorciatoie proposte dai neo-populismi fiorenti, che propugnano una riedificazione degli Stati nazionali illustrandoli come una nuova Terra Promessa per un futuro prosperoso e liberi da vincoli internazionali, se l’Ue avalla – nei fatti – approcci egoistici?
Peraltro, per molti mesi ci siamo chiesti se l’Ue stesse arrivando al capolinea con la fine dell’euro. La questione greca ha acuito il problema: l’eventuale fine della moneta unica è stata vista come la sostanziale linea di demarcazione tra l’Europa unitaria e un ritorno al vecchio modello degli Stati nazionali. Dopo mesi di estenuante mediazione (fallita) sul debito greco, arriva una conferma: l’Europa unita sta arrivando al capolinea perché non è riuscita a dissipare gli egoismi, che sono i nemici di ogni unione vera. Dalla moneta unica alla gestione del fenomeno storico dei flussi migratori.
E voglio concludere con una nota citazione del Manifesto di Ventotene, con intellettuali come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni che avevano interpretato con grande lucidità l’unica prospettiva per un futuro di pace. Non solo in Europa. Ma forse, persi nelle beghe del quotidiano, i leader politici non hanno il tempo di coltivare una visione profonda.
E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.
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