UE

Tsipras, dopo la vittoria non deve ‘morire merkeliano’

21 Settembre 2015

Alexis Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia. In maniera, schiacciante, umiliando ancora una volta i sondaggi che lo davano testa a testa con con Vangelis Meimarakis, il nuovo leader dei conservatori dopo le dimissioni di Samaras. Sul trionfo c’è però la macchia di un’astensione record, che comunque la si guardi resta un brutto segnale per un Paese sfiduciato e sfilacciato dalla crisi economica. Ma il dato politico resta l’affermazione del premier uscente, che non ha risentito – in termini di consenso – dell’immagine più da socialdemocratico dialogante che da rivoluzionario intransigente.

Il problema, se così si può dire, è che ogni successo costringe a una dimostrazione successiva. Nel caso specifico il leader della sinistra greca deve riuscire a governare, facendo le riforme necessarie, ma con una particolarità: non può sempre e soltanto accettare passivamente i piatti che gli vengono sottoposti. Altrimenti, prendendo in prestito un’espressione cara alla politica italiana, Alexis Tsipras rischia di ‘morire merkeliano’, ossia allineato alle politiche del rigore, che non lasciano alcuno spazio a una visione economica, sociale e anche culturale diversa rispetto a quanto propugnato da Angela Merkel, con i socialdemocratici tedeschi nel ruolo di pretoriani della cancelliera (sebbene in una posizione di ipotetica alternativa). Il premier greco è pur sempre l’uomo che ha proposto “l’altra Europa”, quella che avrebbe dovuto fare la guerra all’ossessione de bilancio. E deve coltivare questo compito.

Tanti leader europei, di destra come di sinistra, hanno provato a sfidare Angela Merkel. Il risultato è stato sconfortante. L’esempio è presente in casa e porta il nome di Silvio Berlusconi, che si proponeva come l’uomo capace di contrastare la cancelliera tedesca. Ricordiamo tutti come è finita: con la Bce, in contatto con la ferrea Angela, che imponeva all’Italia le misure economiche da adottare. Poi basta spostarsi un po’ più a nord, varcando i confini d’Oltralpe per trovare un altro leader, il presidente francese Francois Hollande, eletto al grido di “al rogo il Fiscal compact”. Per qualche mese è stato l’eroe del socialismo europeo, salvo poi tornare mestamente indietro appena è arrivato all’Eliseo, varando politiche di austerità in perfetta linea con i dettami di Bruxelles, alias Berlino. Altro che ribellione da sinistra.

Certo, questi paragoni fanno torto a Tsipras, che nonostante l’età più giovane rispetto agli altri nomi citati, ha dimostrato di avere una tempra da condottiero. E un coraggio davvero raro in politica: non si è sottratto al giudizio degli elettori, anche mettendo in conto una possibile debacle. Per fare un esempio: se avesse ‘ascoltato’ i sondaggi non avrebbe rassegnato le dimissioni, bensì avrebbe provato a rabberciare una maggioranza di pseudo unità nazionale. Il primo ministro greco deve ora compiere una missione che a molti oggi sembra quasi impossibile, visto che non è riuscita a nessuno: evitare di appiattirsi sul merkelismo, nonostante una posizione di evidente svantaggio: Atene è debitrice – e non di poco – verso Bce, Fmi e Ue. E tuttavia non può concedersi il lusso di ‘morire merkeliano’, perché la netta vittoria del 20 settembre non basterebbe a tenerlo in piedi: gli elettori greci vedono ancora nel capo di Syriza una speranza di non finire inghiottiti dalla Germania. Se viene sfigurata questa immagine, l’appeal finisce.

Alexis Tsipras, insomma, deve mettere districarsi in un labirinto per mettere insieme gli opposti. Scrivere le riforme per non fermare il piano di salvataggio della Grecia e varare la strategia per far capire all’Europa germanocentrica che austerità economica fa rima con cecità politica.

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