Enti locali
Suffragio mica tanto universale
Nelle due città in cui vivo, Modena e la tedesca Friburgo, oggi si vota non solo per non solo per il Parlamento Europeo, ma anche per l’elezione del sindaco il rinnovo del consiglio comunale; tutta la cittadinanza è infatti invitata ad esprimere il proprio voto anche per scegliere i propri rappresentanti nel “parlamentino” della città. Lo stesso accade in molti comuni in tutta Europa che, ovviamente, approfittano dell’election day.
Tutta la cittadinanza? No. Il mio vicino John, nato a Denver, Colorado, che vive qui da 30 anni, parla perfettamente tedesco, insegna fisica all’Università ed è attivo in diverse associazioni, non può votare. Souad, studentessa di biologia, nata a Modena da genitori di Algeri, che parla con forte accento emiliano, non può votare. Non può votare il proprietario del ristorante cinese di fronte a casa dei miei, che sta lì da trent’anni, non può votare Jasmina, che è venuta a Friburgo da Mostar nel 1992.
Non possono scegliere i loro consiglieri comunali, non possono scegliere il loro sindaco. Non possono votare ai referendum locali, se si debba costruire o meno il nuovo stadio, se si debba spegnere l’inceneritore. Vivono, studiano, lavorano, pagano le tasse, producono ricchezza e cultura, conoscono perfettamente lingua e costumi, non hanno alcuna voce in capitolo. In Italia come in Germania; in Francia come in Polonia; in Grecia come in Austria. In 13 Stati dell’Unione Europea i cittadini con cittadinanza di un Paese non EU (una volta si diceva extracomunitari) non godono nemmeno del diritto di voto più immediato e più legato alla vita di tutti i giorni; quello delle amministrative.
Stiamo parlando di numeri importanti, soprattutto nelle città. A Friburgo, sono 20.771 i cittadini con più di 16 anni (a quell’età si ha diritto di voto per le elezioni locali) che non possono votare: il 9% della popolazione in età di voto; a Modena sono circa 17.000, l’11% della popolazione maggiorenne. In città con migrazione più forte (Francoforte ad esempio) ogni cinque persone che incontri per strada, una non può scegliere il proprio sindaco. In tutta l’Unione Europea sono 22 milioni di persone.
Tutto questo ha un lato paradossale. La mia amico Paola, che è arrivata a Friburgo a gennaio per suonare il violoncello nella Freiburger Barockorchester e ancora non parla una parola di tedesco, può votare. Non sa nulla di questa città, sta appena iniziando ad imparare il tedesco, eppure le è arrivato il certificato elettorale e domenica andrà a votare. Benissimo, è cittadina di uno Stato Membro dell’Unione Europea, ed è una bellissima cosa che ad ognuno di noi venga consentito di poter incidere subito sulla politica locale nella città in cui ci trasferiamo, da Amburgo a Barcellona, da Salonicco a Tallinn. Questo è stato garantito nel 1992 dal Trattato di Maastricht. Ma è assurdo che questo diritto sia negato a chi vive in un posto da anni solo per il fatto di essere extracomunitario.
Sia il Consiglio d’Europa (EC Recommendation 1500, 2001) che il Parlamento Europeo (già dal settembre 2003) hanno più volte sollecitato gli Stati dell’Unione a “garantire il diritto di voto anche per i cittadini non comunitari, quantomeno dopo tre anni di residenza e quantomeno per il voto amministrativo“. Eppure, anche nei Paesi che dedicano maggiori attenzioni alle questioni dell’integrazione, il dibattito langue. Le iniziative di legge – in molti casi si tratta di modificare la Costituzione nazionale, quindi con ostacoli maggiori in Parlamento – faticano a prendere forma.
Perché dovrebbe essere chiaro a tutti che è una questione di inclusione. Come possiamo aspettarci che le comunità di stranieri “si integrino” nella nostra comunità, partecipino alla vita sociale del posto in cui vivano e non costruiscano invece Parallelgesellschaften (società parallele), se non gli viene nemmeno concesso il diritto principale di partecipazione, quello di scegliere i propri rappresentanti?
A Friburgo l’associazione Freiburger Wahlkreis 100 % lotta dal 2002 per il riconoscimento di tali diritti attraverso iniziative e campagne, come l’allestimento di seggi simbolici per raccogliere il voto dei cittadini non comunitari.
Questo lavoro ha poi portato alla campagna europea “I live here I vote here“, con una petizione al Parlamento Europeo consegnata simbolicamente ad Elly Schlein nell’aprile 2016. A questa campagna, diffusa in diversi Paesi europei, partecipano anche l’ARCI e la CGIL di Bari e Lecce; anche nelle due città pugliesi verranno allestiti seggi simbolici. Mentre già alcuni anni fa era stata la UIL di Arezzo a contribuire alla stessa campagna, assieme alla locale Associazione culturale del Bangladesh.
Non sembrano questi i tempi per rilanciare un diritto così elementare, quantomeno nel nostro Paese. Eppure le forze democratiche nel nostro Paese hanno avuto diverse opportunità – quando erano al governo – di adeguare la legislazione a quella dei Paesi più avanzati. Speriamo e facciamo in modo che, passati questi tempi bui, non perdano la prossima occasione.
Nel frattempo, questa mattina a Friburgo, Paola ha chiesto a John consigli su come votare. “Vivi qui da trent’anni e ne sai più di me” – gli ha detto – “Per questa volta ti presto il mio diritto di voto. Fra cinque anni, io avrò imparato il tedesco e conosciuto questa città e il Bundestag ti avrà finalmente concesso il diritto di voto”.
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