UE

S&P ha innescato il countdown, il governo prepari un piano di salvataggio

7 Dicembre 2014

«Down we go, and down we go». Come nell’allegra discesa all’inferno di una ballata di Nick Cave, il debito pubblico della Repubblica Italiana scende notch-by-notch, gradino dopo gradino,verso l’inferno dei titoli di livello speculativo. Passiamo da BBB a BBB– nel giudizio di Standard & Poor’s. Ancora un gradino e passeremo le acque fetide dello Stige. Ma il trapasso dal livello “investment grade” al grado speculativo non sarà ancora l’Inferno. Per arrivare all’inferno avremo bisogno di un traghettatore, non sappiamo ancora se sarà Renzi o un qualche Caronte d’Europa. E poi, dall’inferno gli stati possono ritornare, come testimonia il faticoso riaffacciarsi della Grecia dall’Ade. Fuori di metafora: il declassamento è una bocciatura; è l’avvertimento che forse non c’è più tempo per invertire la rotta; forse il “motori avanti tutta” di Renzi non è sufficiente a farci allontanare dal gorgo che ci porta verso la ristrutturazione del debito.

Il Ministero dell’Economia non l’ha presa male. E ha risposto con uno slogan: non è la bocciatura del Jobs Act. Del resto in questo paese, se straripano i fiumi, se crollano le colline, se le fabbriche chiudono perché non sono produttive, o sono produttive ma inquinano a morte, se la mafia si prende la capitale, se si danno via i soldi alle banche, e per giunta estere, con i derivati, se la giustizia, penale, civile, amministrativa e contabile intrappola ogni decisione privata e pubblica, se la banche invece che prestare soldi all’economia sono persistentemente loro alla ricerca di soldi dagli investitori, e persino se ci lamentiamo di tutti questi mali, la risposta è sempre la stessa: ora c’è il Jobs Act. Il “downgrading” di S & P è motivato dal fatto che questa medicina non basta per tutti i malanni del paese. E io mi sentirei di essere più cattivo: associata al fatto che viene somministrata accompagnata sotto il controllo costante dello psicologo, che ti ripete fino all’ipnosi “l’Italia ce la farà”, questa medicina sa sempre più di “placebo”, una pillola inefficace e innocua che serve solo a motivare la voglia di guarire del paziente.

Comunque, il Ministero dell’Economia non l’ha presa male anche perché, dopo i “downgrading” precedenti, ha cambiato qualche regolamento per rendere l’inferno meno doloroso. Ricordiamo infatti tutti la solerzia e la velocità da predatore, già ai tempi in cui la velocità e la prontezza delle istituzioni era quella del bradipo, con cui vennero eliminati vincoli di investimento legati al rating per fondi comuni, fondi pensione, assicurazioni e simili. Il tanto lodato risparmio privato italiano, o almeno quello accantonato negli strumenti previdenziali e assicurativi può stare sicuro che parteciperà e accompagnerà il debito pubblico anche dopo la sua discesa all’inferno.

Purtroppo il Jobs Act rivela molta della nostra ignoranza. L’ ignoranza delle regole dello scrivere in italiano ne è solo la parte meno preoccupante. Se avessi scritto il termine “jobs” quando redigevo un testo all’Ufficio Studi della Comit, il capo ufficio me lo avrebbe cambiato in “job”, ricordandomi che in italiano i termini inglesi si mettono al singolare. Quel che è più grave è che visto dall’altra parte dell’Atlantico, il JOBS Act rivela una buona dose di ignoranza politica. Il JOBS Act di Obama funziona perché è un acronimo, e sta per: “Jumpstart of Our Business Startups”. Non si occupa di licenziamenti, ma di crowdfunding e altri strumenti di finanziamento alla piccola e media impresa. Vista dall’America, e da un programma di questo respiro, quindi, il dibattito e la rissa di casa nostra intorno a un articolo e a un numero, del quale tutti, favorevoli e non, dicevano che era solo un “totem”, non ha trasmesso alcun segnale di velocità.

Intanto, sul fronte di quello che conta per un investitore, la platea cui le agenzie di rating si rivolgono, il debito e la sua sostenibilità, non c’è niente di nuovo. Le parola “riforme” e “Jobs act” ha mandato in soffitta l’unica parola che importa davvero a un investitore, “spending review“: i flussi di cassa del dare e avere futuri per la sussistenza di questa macchina elefantiaca. Le “riforme” riguardano solo il rischio che in un futuro non lontano le risorse per la sussistenza di questo elefante si esauriscano, mentre il problema della spending review è adesso, e su questa non si fa niente e non si sa niente. Non solo non si sa della composizione, ma non sappiamo neppure il perimetro delle nostre uscite e delle nostre entrate.

Il caso Enron fu la prima grande crisi innescata dall’opacità dei conti. Veniva chiamata: “lite accounting”, contabilità leggera (per conti pesanti). Enron aveva quasi mille sussidiarie in cui nascondeva debito e bonus per i propri dirigenti. Quando il revisore Arthur Andersen ordinò di consolidare tutto nella holding centrale per Enron fu la fine (e per Arthur Andersen). Notate qualche somiglianza con i nostri conti pubblici? Carlo Cottarelli ha contato 8000 controllate che nascondono debito e cariche pubbliche. Ne è forse stata chiusa una da quando abbiamo avuto il declassamento precedente? “Lite accounting” simile a Enron, o no? Con una differenza: Enron conosceva e gestiva i propri conti. Nel caso delle nostre entrate e uscite di denaro pubblico non c’è controllo, e non c’è un dibattito informato, e siamo costretti ad assistere a un eterno battibecco tra chi dice che le tasse sono diminuite e chi dice che la diminuzione è stata rimangiata con l’aumento di tasse locali.

Che fare quindi dopo il declassamento? Non certo spallucce. Io varerei una campagna dal motto stoico: “conosci te stesso”. Il primo passo per una risposta a S&P dovrebbe essere conoscere la spesa, in modo da sviluppare un dibattito informato. Su questo la palla ora è a Cottarelli e non più a Renzi, che a Bersaglio Mobile ha dichiarato: “Cottarelli è libero di pubblicare tutto quello che vuole”. Se io fossi nei piedi di Cottarelli, pubblicherei immediatamente i pdf della “spending review”, o in alternativa, se avessi firmato qualche accordo di riservatezza, pubblicherei quello. Se c’è un motivo per cui i dettagli dei nostri conti non debbano essere conosciuti, si dibatta pure di quello. Dell’opacità poi in quella parte della spesa che riguarda la gestione del debito, si è detto talmente tanto che ripetere numeri e fatti ci fa sentire come i vecchi che ti raccontano cento volte delle loro storie di guerra.

“Conosci te stesso” se lo dovrebbe poi chiedere Renzi. Invece di girare come una trottola per l’Italia, Renzi si fermi a Palazzo Chigi e si chieda se, di fronte alle cose fatte, e alle resistenze che vede, il suo programma di riforme possa davvero prendere la velocità necessaria per evitare che si vada a sbattere nell’iceberg della ristrutturazione, che è il messaggio di S&P. Se ritiene che le probabilità di evitare l’impatto non siano sufficienti, cominci a pensare alla possibilità di aumentare la velocità negoziando un piano di ristrutturazione con le autorità dell’Europa.

Di fronte all’abbassamento del rating, stampa e operatori ascoltano le sirene del QE, non sapendo che gli scogli dove cantano le sirene sono pieni di ossa. Ènoto a tutti che il QE non è il salvataggio degli stati e la panacea per chi sperpera denaro pubblico. Non lo sarà se verrà fatto: se verrà fatto, probabilmente dovrà rispettare la “capital key”, e cioè le quote detenute da ciascuno stato nella Bce: questo vuol dire che per ogni miliardo di Btp acquistati, la Bce ne dovrà acquistare quasi tre di Bund. Inoltre, è difficile che il QE venga fatto: abbiamo stime, in un lavoro in corso di ultimazione, che suggeriscono che l’acquisto diretto di titoli possa effettivamente avvelenare i libri della Bce, come temono i tedeschi.

L’intervento della Bce per il salvataggio di un paese è un altro: si chiama OMT (Outright Monetary Transaction), ed è “condizionale”, cioè prevede la presenza di un piano di salvataggio. Renzi consideri la possibilità di predisporre questo piano. Io sono fiorentino come lui, e condivido lo stesso orgoglio e la stessa arroganza. Io però non considero la predisposizione di un piano di salvataggio europeo una sconfitta: noi non siamo un paese in guerra contro l’Europa, noi siamo il paese che deve salvare l’Europa, come dice Renzi stesso, ed è per questo che con l’Europa dovremo trattare.

Quando saremo declassati a “junk”, debitori spazzatura, saremo in compagnia di Grecia e Portogallo, cui un piano di salvataggio è stato imposto. Ricordiamo anche che la Spagna resta BBB probabilmente perché il piano europeo di salvataggio delle banche è andato a buon fine: proprio in questi giorni abbiamo letto del trasferimento a fondi avvoltoio di più di 40 miliardi di crediti in sofferenza stoccati nella bad bank. Il lavoro di Renzi sarà più difficile. Gli richiederà la drammaticità del discorso di De Gasperi: in questo consesso tutto è contro di me. Ma se riuscirà a farlo, e farlo soprattutto prima che gli venga imposto, Renzi potrà passare alla fase finale del gioco: la sfida con la destra europea.

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