UE
Siamo tutti sovranisti?
“Siamo tutti keynesiani” è una famosa frase che il presidente americano Richard Nixon pronunciò nel 1971. Nixon era profondamente di destra, ma non poteva ignorare il consenso delle politiche economiche che auspicavano l’intervento dello stato in economia. Nel 1992, il saggista Francis Fukuyama proclamava “La fine della storia”, perché il capitalismo aveva sconfitto il comunismo grazie alla sua forma più aggressiva, il liberismo. Oggi, il discorso di Mario Draghi nel comune belga di La Hulpe potrebbe intitolarsi “Siamo tutti sovranisti”.
Il discorso di Draghi
Ursula von der Leyen ha incaricato Mario Draghi di redigere un rapporto sulla competitività nell’Unione Europea. La presidenza di turno belga ha chiesto di anticipare i risultati del rapporto all’ex primo ministro, che ne ha approfittato per delineare la sua idea di Unione Europea. Molti hanno interpretato il discorso di Draghi, incentrato su un cambio radicale, con la volontà di scalzare von der Leyen e diventare il prossimo presidente della Commissione europea.
Infatti, il discorso ha avuto tanti plausi da tante parti, anche da quei sovranisti che fino a pochi mesi fa lo vedevano come un banchiere affamatore di popoli. Anche il centro si è sperticato in lodi, mentre la sinistra è apparsa più fredda. Ma sappiamo bene come la sinistra non potrebbe mai farsi sfuggire l’occasione di accodarsi a un ennesimo governo tecnico. Quindi, le elezioni europee del 9 giugno potrebbe davvero trasformare Mario Draghi in una sorta di super primo ministro UE, il più potente dai tempi di Jacques Delors.
Tutto ciò non sorprende, perché l’ex presidente BCE ha dato prova di essere un uomo ambizioso che gode di un’ottima reputazione. L’elemento di rottura è invece la sua piattaforma programmatica, così distante dal progetto europeo, profondamente intriso dalla cultura liberista che ha plasmato il trattato di Maastricht firmato nel 1992, nel pieno de “La fine della storia”. Un liberismo che Mario Draghi ha spesso sostenuto, malgrado qualche ripensamento dopo la crisi dell’euro del 2012.
Oggi, l’ex primo ministro ci aggiorna che il mondo è cambiato e il vecchio paradigma non è più valido a causa di eventi come la pandemia e l’aggressione russa all’Ucraina. L’analisi è corretta, solo che il paradigma liberista era già obsoleto dopo la crisi del 2008 e stiamo ancora pagando le conseguenze della mancanza di un cambio radicale tra il 2009/2010.
Il cambio radicale
Senza rinnegare niente di quanto fatto, Mario Draghi ha attaccato la logica della competitività che affligge le istituzioni europee. Per anni, l’Europa ha dato priorità ai consumatori e al libero scambio interno. Le aziende non dovevano essere troppo grandi per combattere posizioni monopolistiche e favorire la concorrenza. I lavoratori dovevano abbassare salari e tutele per contenere il costo del lavoro e dei prodotti finiti.
Questo modello è fallito perché la crisi del 2008 ha ridotto il potere d’acquisto dei consumatori e la domanda interna è calata. Quindi, le imprese hanno dovuto confrontarsi con i mercati internazionali senza avere la forza per competere con i giganti statunitensi o asiatici.
Secondo Draghi, la competitività non può essere un fattore di mercato interno, ma deve rivolgersi all’esterno. All’interno dell’Unione Europea, il problema principale è la crescita della domanda aggregata, per cui è necessario redistribuire la ricchezza facendo aumentare i salari. Nei mercati internazionali le aziende europee devono diventare più grandi, supportate sia dai governi che dai produttori di semilavorati e di componenti. E soprattutto c’è la grande partita della ricerca applicata, che deve sostenere il sistema produttivo.
Il sovranismo
Per attuare questo programma servono però tante operazioni che piacciono ai sovranisti. L’Europa deve diventare più autarchica, ripensando il sistema di approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati. Inoltre, deve creare grandi aziende, campioni nazionali che si confrontino con le multinazionali.
L’ex presidente BCE ha anche trattato il tema della difesa comune, necessaria per fronteggiare le sfide militari che arrivano dall’esterno. Oggi l’intera Europa si sente minacciata, ma gli eserciti nazionali appaiono frammentati e inadeguati di fronte al nemico. Il tema piace molto ai liberali, visto che l’esercito comune europeo è il pallino del presidente francese Emmanuel Macron, ma non è disdegnato dai sovranisti, che hanno sempre un debole per la divisa.
Il discorso programmatico di Draghi implica quindi un cambio di paradigma. Nelle sue parole traspare l’uscita dalla fase liberista che si basava su un mondo interconnesso in cui era possibile approvvigionarsi all’infinito grazie alla filiera internazionale. Inizia invece una fase sovranista dove si fa politica industriale per avvantaggiare le imprese e le produzioni nazionali, si pongono dazi, si investe in ricerca applicata e si utilizzano i risparmi dei propri cittadini per attuare tali programmi.
E la sinistra?
Le idee sono compatibili con un ritrovato buon senso a seguito della sbornia liberista che ha pervaso l’Europa e i principali partiti di governo. Una sbornia insostenibile che ha alimentato il populismo e il nazionalismo mettendo in crisi le nostre democrazie. La svolta delineata sarebbe quindi necessaria, ma ci sono tanti modi per realizzarla. Se la sinistra riuscisse a influenzarla, potrebbe trarre utilità da un governo di coalizione, almeno una volta.
Infatti, la sinistra potrebbe indirizzare quest’agenda verso non solo l’aumento dei salari, ma includendo anche la lotta al cambiamento climatico, la distensione internazionale e l’affermazione dei diritti individuali, a partire dal riconoscimento delle minoranze etniche, religiose e sessuali. Il rischio è infatti quello di lasciare campo alla destra che chiaramente non è tanto interessata al benessere dei lavoratori, quanto a negare il cambiamento climatico e ingaggiare un nefasto scontro frontale con la Cina, oltre che alimentare razzismo, sciovinismo e oscurantismo.
Devi fare login per commentare
Login