UE
Siamo sicuri che il Remain vincerebbe?
Nel modo in cui la Brexit viene raccontata in Italia c’è una sorta di convinzione, a volta implicita a volte palese, che inficia il modo in cui la vicenda viene letta: la convinzione che, se si votasse oggi, il Remain vincerebbe.
Questa lettura si alimenta da una serie di narrative consolidate, alcune nate già subito dopo il referendum, altre alimentatesi durante le negoziazioni UE-UK e la serie di bocciature da parte del Parlamento britannico all’accordo uscito da quei negoziati.
Già nel 2016 gran parte del dibattito poneva in luce l’enorme discrepanza tra il voto degli under 25 (che votarono Remain per il 71%) e quello degli over 65 (presso i quali il Leave raggiunse il 64%). E’ consolidata per molti la visione che, se si votasse oggi, il Remain potrebbe guadagnare consenso per via dell’accesso al voto di coloro che erano minorenni nel 2016 (e forse anche dalla morte di alcuni degli over 65 che votarono Leave). Il problema è che queste considerazioni ignorano altri dati, ad esempio che solo il 36% degli under 25 è andato a votare: se i giovani erano così europeisti, come mai due su tre sono rimasti a casa? E se anche gli astenuti del 2016 andassero a votare a un ipotetico secondo referendum, come possiamo inferire che la maggioranza di loro voterebbe per rimanere nell’Unione Europea? Secondo un sondaggio di meno di un anno fa, solo il 52% degli under 25 oggi voterebbe in tal senso, una maggioranza troppo risicata per potersi ritenere stabile (e che dovrebbe tener conto del voto delle altre fasce d’età).
Le negoziazioni, poi, hanno visto le pretese inglesi retrocedere gradualmente, arrivando a un accordo che sicuramente non era quello desiderato dai Brexiters al momento dell’inizio della Brexit. Con un No Deal sempre più probabile, e che avrebbe secondo alcuni conseguenze tremende per il Regno Unito, si è rafforzata da più parti la visione per cui gli inglesi, “pentiti” dei loro errori, sarebbero ora disposti a votare in massa per rimanere in Europa.
Corollario di questa convinzione, ad esempio, è il biasimo verso Jeremy Corbyn, leader laburista secondo alcuni colpevole di non aver mai tentato seriamente di impedire la Brexit, limitandosi a porre delle condizioni per evitare il No Deal. In realtà, i dati mostrano come il voto degli elettori laburisti ha visto prevalere il Remain con il 65%: una percentuale netta, ma che non può non tener conto che un terzo dell’elettorato di riferimento del partito ha votato per uscire dall’UE. Del resto, se la linea del Labour fosse davvero così invisa alla maggioranza della popolazione, non si spiegherebbe né il mancato tracollo alle ultime elezioni generali (che anzi hanno visto la maggioranza Tories assottigliarsi) né come mai il Labour abbia quasi raggiunto i Conservatives negli ultimi sondaggi.
In merito a un secondo referendum, inoltre, i dati di questi anni sono altalenanti: il trend mostra che il Remain prevarrebbe sul Leave, ma la forbice degli indecisi si attesa ancora intorno al 15%, una percentuale abbastanza ampia da poter capovolgere qualsiasi previsione. In realtà, occorrerebbe anche capire cosa esattamente i britannici sarebbero chiamati a votare: Brexit si, ma come? Secondo alcuni dati diffusi a dicembre, il Remain vincerebbe se l’alternativa fosse il No Deal, ma avrebbe una maggioranza di appena il 50,1% se ci fosse un accordo approvato dal Parlamento.
L’opinione pubblica inglese, dunque, è molto più frastagliata (e molto meno pentita) di come la descrive la vulgata sulla Brexit, e la fetta degli indecisi potrebbe ancora essere decisiva. Di fronte a questi dati, serve a poco esaltare i numeri della marcia tenutasi qualche giorno per chiedere il secondo referendum: quella fiumana di persone, pur essendo una testimonianza importante, non fornisce certezze riguardo l’esito di un eventuale secondo referendum, e non si può evitare di chiedersi cosa pensano e cosa voterebbero le persone rimaste a casa. Di fronte a questi dati, la narrazione dei media non può limitarsi a commentare la vicenda Brexit come un’epopea tragicomica con gli inglesi vittime di se stessi e dei loro rimorsi.
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