UE
Senza una vera riforma democratica l’Europa morirà prima di nascere
Nel corso del XX e del XXI secolo, gli istituti di democrazia diretta hanno avuto un costante incremento e, nel contempo, si è assistito all’aumento anche di partecipazione (e conoscenze) da parte dei cittadini. Essi si sono affiancati agli strumenti di democrazia rappresentativa, che però restano il canale preferito negli Stati attuali.
Anche nell’Unione europea si è cercato di valorizzare e rafforzare, soprattutto negli ultimi anni, altre forme di “cittadinanza europea”, differenti da quelle che presuppongono una logica elettiva. Di recente, tuttavia, ci si è resi conto che la partecipazione popolare deve manifestarsi in modo più diretto, coinvolgendo i cittadini nella vita politica comunitaria. L’importanza di questo passaggio è di sicuro rilievo, poiché la democrazia diretta consente di far emergere le necessità dei cittadini in tempi rapidi. Sulla base di tali presupposti essa ha un impatto che rafforza l’impianto costituzionale ma, soprattutto, determina il riconoscimento dell’importanza del ruolo del popolo, poiché la decisione di più democrazia rappresenta «una dichiarazione di fede nelle forze e nelle capacità morali che sono latenti nei concittadini». In sostanza, introdurre istituti di democrazia diretta significa riconoscere a tutti il diritto di manifestare il proprio pensiero e fare in modo che esso possa tramutarsi in atti concreti a beneficio di tutta la collettività.
Alla base di questa idea vi è il rispetto nei confronti di ogni individuo o, per dirla in altri termini, della dignità dell’uomo, da intendersi come possibilità di partecipare, singolarmente o insieme ad altri, al dibattito presente all’interno della società e di fare proposte.
Se per democrazia si intende il governo del popolo, dal popolo per il popolo, secondo quanto sostenuto da Abramo Lincoln, è evidente che in un super-stato transnazionale debba essere massimamente garantito questo principio. In verità, ciò non accade; l’Unione europea presenta un deficit democratico, legato sia alla carenza di legittimazione che di accountability degli organi comunitari decidenti.
Il commissario europeo Gunther Verheugen, responsabile dell’espansione dell’UE all’interno della Commissione Prodi, ha evidenziato come «se la UE stessa dovesse presentare domanda per entrare tra i membri, dovremmo rispondere democraticamente insufficiente». Allora, torna alla mente quanto sostenuto da Klaus Dieter Wolf, secondo cui gli obblighi derivanti dalle istituzioni internazionali sono utilizzati dai governanti per limitare la sovranità popolare; tradotto in altri termini, ciò significa che le organizzazioni internazionali possono permettere alla tecnocrazia di aggirare il controllo democratico.
All’interno dell’Unione europea sono assenti quegli istituti che permettono di individuare un ordinamento democratico e ciò, ovviamente, non può essere giustificato dicendo che l’attività dell’UE sia di carattere regolatorio, poiché la maggior parte delle decisioni assumono sicuramente un rilievo fondamentale per i popoli europei. Di contro, vanno necessariamente ricalibrati i principi che devono animare la democrazia europea, tra cui spicca il nuovo significato che deve assumere la rappresentatività e la partecipazione popolare. Sotto tale profilo, il potenziamento di questi meccanismi rappresenta uno strumento particolarmente utile negli Stati federali, così come si sta strutturando l’UE.
Da ultimo, resta da segnalare un ulteriore problema che permette di comprendere i meccanismi decisionali comunitari, ovvero il deficit democratico per così dire riflesso presente all’interno degli Stati membri. In particolare, le tecniche decisionali per l’adesione agli atti comunitari non seguono sempre dei canali democratici. Valga l’esempio del Trattato di Lisbona, il quale ha riproposto quanto già previsto nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, a sua volta respinto dai referendum svoltisi in Francia e in Olanda. Tale scelta ha sollevato ovviamente critiche da parte della dottrina più attenta. Come rilevato da Jürgen Habermas, in un articolo pubblicato sul Süddeutsche Zeitung, il Trattato di Lisbona è stato approvato passando sopra i voti e le opinioni dei cittadini; detto in altri termini, «Lisbon is a Treaty spirited by fear from the public». Per altri invece, non vi è stata alcuna “confisca democratica” perché la scelta del metodo di approvare il Trattato resta comunque nella disponibilità dello Stato membro; inoltre, si è avuto in questo caso un mero trattato di modifica che, com’è avvenuto in passato, non richiede alcun interevento diretto del popolo. Resta in ogni caso evidente il fatto che esso sia stato contenutisticamente una riproposizione di un accordo, con ben più ampie aspirazioni, sul quale alcuni Paesi si erano già dichiarati contrari.
Quindi la prospettiva di migliorare gli istituti di democrazia a livello comunitario è sicuramente da accogliere positivamente a patto, però, che tale “movimento democratico” interessi prima di tutto gli Stati membri e poi l’UE. Esso deve atteggiarsi come un processo democratico che animi, ad ogni livello, l’Europa e che tenti di colmare quelle distanze che sussistono tra le istituzioni statali e comunitarie ed i cittadini, allorquando vi siano decisioni riguardanti l’Unione europea. E’ questa l’idea di una governance più democratica e multilivello, che sia cioè finalizzata a potenziare la partecipazione popolare alla politica delle istituzioni comunitarie.
Un avvertimento va peraltro fatto: le logiche di partecipazione che animavano il costituzionalismo del XX secolo non devono essere calate all’interno dei nuovi scenari che si vanno delineando, ma necessitano esse stesse della loro messa in discussione e, eventualmente, di una loro ridefinizione all’interno delle nuove esperienze ordinamentali. Solo così facendo si potrà effettivamente comprendere come le categorie di un tempo sono sicuramente superate e, contemporaneamente, accorgersi che il cammino intrapreso è solo l’inizio di un lungo tragitto volto ad individuare moderni sistemi di intervento popolare tesi a valorizzare il più possibile la partecipazione e gli interessi del popolo nei confronti dell’attività di gestione della res publica comunitaria.
(Introduzione di “La democrazia diretta nei Trattati dell’Unione europea”, Massimiliano Mezzanotte, Padova, 2015)
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