UE
Se questa è un’Europa
I più esperti tra noi giurano che alla fine, tra immagine e sostanza, tra la rabbia schiumante dei tedeschi e l’infinito gioco a poker dei greci, l’accordo si farà. Costerà lacrime e sangue e ognuno, poi, potrà raccontare a casa sua che ha vinto lui. Schaeuble rivendicherà di aver umiliato i greci e messo in guarda gli altri terroni d’Europa. La Merkel spiegherà alla pancia moderata e produttiva della sua (lenta) locomotiva d’Europa che ha tenuto dentro la Grecia, nell’Euro, perché le conseguenze della Grexit sarebbero state inevitabili e imprevedibili e avrebbe fatto male anche al buon contribuente tedesco, al cittadino che già troppo ha pagato i conti di chi non sa tenere in ordine i propri. Tsipras tornerà a casa raccontando un’altra storia, quella di chi, da quando le trattative sono iniziate, ha guadagnato spazio e condizioni, e l’ha fatto in nome della volontà del suo popolo e per difendere sacrifici e tagli (reali, al di là delle propagande).
Oppure, dicono altri, questo accordo alla fine non si farà. Schaeuble e la Merkel torneranno dai tedeschi dicendo che i greci non volevano pagare il debito, che non erano affidabili, che non avrebbero mai fatto gli sforzi che dovevano fare per diventare un paese ordinato e che proponevano un piano poco credibile. Che nessuna crisi finanziaria, nessuna sfiducia internazionale degli investitori verso l’Europa, potrà in alcun caso essere peggio di un euro gravato dalla zavorra greca, e che l’uscita della Grecia dall’Euro, pur con i costi elevati che presenterà a creditori che si scopriranno improvvisamente messi di fronte all’insolvenza dei debitori, è una lezione importante per il futuro: e servirà a tutti, soprattutto a chi più somiglia ai greci, nel sud dell’Europa, a cominciare dagli italiani, che devono sapere che in Europa non si scherza per niente. In caso di Grexit, di contro, anche Tsipras tornerà ad Atene con la sua vittoria morale. Dirà, a un popolo che già tanto ha dato e molto ha tagliato, che i tedeschi volevano anche il sangue, e volevano negare ogni residuale sovranità nazionale a un paese che più di altri ha accettato che l’Europa fosse entità politica tangibile, permeante, invadente nella vita di tutti i giorni.
Un esito o l’altro, la permanenza umiliata della Grecia o la fiera uscita della stessa, non cambieranno la sostanza profonda del probelema che abbiamo davanti. Non contabile, non ragionieristico, che uscita con haircut o permanenza con ristrutturazione del debito della Grecia non cambieranno di molti i termini di un’insolvenza, ben precedente, di Atene nei confronti dei creditori. Un’insolvenza che la strategia di questi anni, e la cura da cavallo dell’austerity imposta dall’Europa ha finito col peggiorare, tagliando brutalmente i costi senza però produrre crescita sensibile, e dovrebbe ricordarselo chi – senza vergogna, o senza informazione, o senza entrambe le cose – accusa Tsipras di aver perduto una crescita stimata attorno allo 0,5% annuo, ignorando che il Pil greco aveva perso decine di punti percentuali negli anni precedenti.
Ma il problema che starà davanti, domani o dopo, qualunque sia l’esito che ci troveremo a commentare, è appunto tutto politico, e non contabile. Cos’è questa Europa, e dove va? In base a quali obiettivi esiste, li persegue davvero, e con quali strumenti? Com’è possibile pensare un’Unione in cui un membro fondatore di peso assoluto, la Francia, è da quasi un decennio fuori da ogni decisione ed equilibrio decisivo? E noi, noi italiani, cosa ci stiamo a fare, a parte la spaventosa capacità di cambiare opinione due volte la settimana senza renderci conto che la Grexit mette noi sulla linea del fuoco, al di là di ogni propaganda renziana che ci ha visti “protagonisti della trattativa”?
Come si vede, la tematica politica sta sotto, alla base, di ogni ragionamento tecnico e ragionieristico. I più acuminati fan dell’austherity ci spiegano che in Grecia si spendeva più di quanto si guadagnava, e non va bene. Da queste parti siamo anche molto d’accordo, a patto di considerare come non indiffierente la qualità della spesa, gli obiettivi che spendendo si cerca di perseguire, quale modello di sviluppo si imbraccia. E la Grecia non funzionava, come non funzionano importanti segmenti d’Italia e di Francia, e di Spagna e perfino di Germania. Solo che a non funzionare, da queste parti, è un intero modello di gestione e crescita, visto che se i più virtuosi tra noi, in Europa, i maestri tedeschi, crescono poco e male, forse vorrà dire che un dibattito, sul punto, è davvero ora di aprirlo, e in modo risoluto, controbilanciando interessi e visioni di pochi con una nuova costituente di idee e interessi diffusi: quelli di cui ci dimentichiamo ogni volta che si vota per il parlamento europeo, che viviamo costantemente come un test per decidere quanto è forte, in casa, nelle nostre piccole beghe domestiche, questo o quel partito, questo o quel leader. Ora, o mai più. Ed è per questo, al di là dei costi greci e di quelli mediterranei, anzitutto, che pagheremo in caso di Grexit che ha senso essere preoccupati e attivi. Preoccupati perché, quale che sia l’esito, l’aria che tira sembra spirare verso un’Europa meno cosciente, meno critica, meno aperta al cambiamento che serve. Attivi perché se non ci pensiamo oggi, saremo presto obbligati domani a confrontarci con i nazionalismi, e con l’infinito ritorno del Novecento. Non è una questione di moneta, ma di guerra e di pace. E la premessa e la promessa erano tutte diverse.
Devi fare login per commentare
Accedi