Parlamento
Ridisegnare l’Europa: i giovani di Volt lanciano la sfida
Partiamo dal principio. Volt Europa è un movimento che nasce dall’idea di tre giovani ragazzi all’indomani della Brexit, il 29 marzo 2017. Brexit, dunque, è l’inquietante spaccatura che spinge Andrea Venzon, Colombe Cahen-Salvador e Damian Boeselager alla reazione. Che il mondo politico stesse cambiando era evidente: sovranismo e antieuropeismo, populismo e nazionalismo (che è ben diverso dal concetto di patriottismo, attenzione) stavano progressivamente allargandosi su scala globale. In aggiunta al trauma britannico, infatti, creavano scalpore l’America di Trump, la Francia di Marine Le Pen, l’Ungheria di Viktor Orbán, l’Italia di Matteo Salvini e Luigi di Maio. Così, riuniti attorno a un tavolo, i tre giovani studenti – tutti di nazionalità e storie profondamente diverse – iniziano a interrogarsi sul proprio futuro, domandandosi se fosse giusto restare a guardare da spettatori inermi. Ovviamente la risposta è stata negativa: presa in mano una penna, hanno iniziato a scrivere la bozza di un programma per ridisegnare il volto dei loro Paesi e della loro Europa e oggi sono Partito.
Andrea Venzon, l’ideatore primo, è un milanese di ventisei anni laureato alla Bocconi e con un master alla London Business School: è lui che dà avvio al movimento a catena. Volt, infatti, è presente in tutti i 28 Stati dell’Unione europea compresi Svizzera e Albania. In Italia viene fondato a Bologna il 14 luglio 2017 dalla presidente Federica Vinci, molisana e bocconiana laureata a Parigi e dal vicepresidente Michele Quagliata, anche lui studente erasmus tra Milano e le Americhe.
Il sentimento
Ciò che anima Volt è il sentimento: energico, aperto e dirompente. Non è un caso, infatti, il nome: unità di misura del potenziale elettrico. E non è un caso nemmeno che tale movimento nasca a partire da giovani “cittadini del mondo” che già hanno fatto dell’Europa la loro casa. Perché dai dati emerge chiaro e forte: sono, quelli di Volt, ragazzi che hanno oggettivamente le possibilità, ragazzi che hanno dalla loro un background di migliori esperienze sul campo. Non da tutti, insomma. Forse addirittura da pochi. Molti di loro dichiarano senza remore l’estraneità alla politica, avuta fino a poco prima della decisione di mettersi in campo. Mai partecipato attivamente, mai combattuto in prima linea, mai sentito davvero su pelle il peso dei cambiamenti e delle decisioni prese dalle classi dirigenti. Anzi, la risposta che più accumuna tutti loro è «non mi sentivo rappresentato da nessuno». Il senso di vuoto (forse anche di abbandono) e la rabbia che ne scaturisce, dunque, li anima e li convince a partire, a decidere di unire l’attivismo politico all’attivismo civico per cambiare qualcosa.
Volt si definisce un movimento paneuropeo e progressista. Paneuropeo perché presenta un progetto e un programma politico con cui concorrerà alle elezioni europee di maggio – sottoscritto con la Dichiarazione di Amsterdam il 28 ottobre 2018 – unico e uguale in tutti gli Stati membri. Progressista perché pensa l’Europa nella prospettiva del rinnovo e del futuro: agire ora per vivere meglio domani. Infatti, il corposo programma è pensato per essere messo in pratica da qui ai prossimi vent’anni. Ma, punto chiave del movimento, come sottolineato a più riprese dai fondatori, è non dimenticare mai la base da cui si parte: quella territoriale. Perché definito paneuropeo, infatti, non vuol dire che Volt si interessi unicamente alle questioni europee: tutt’altro. Il programma parte inevitabilmente dal locale, dalle singole città per poi allargarsi alla nazione e, solo infine, all’Europa tutta – nella prospettiva ideale della creazione degli Stati Uniti d’Europa.
La visione
Tuttavia, quello che ci si chiede spesso parlando di Volt è: di che orientamento è? Ecco, a questa domanda non esiste una risposta precisa. Ogni volter risponde eludendo un po’ il succo della questione, talvolta distogliendo lo sguardo dall’interlocutore o strofinandosi le mani ai pantaloni. Poi, quello che viene chiarito è che il movimento rifugge ogni tipo di categorizzazione e classificazione. Spiegato: i volter non vogliono identificarsi negli schieramenti politici tradizionali, vogliono essere un punto di vista-altro. Per questo motivo, chi rappresenta e chi vota Volt può essere di destra, di centro, di sinistra (sfido gli estremisti di ambo i lati), insomma: in teoria, può essere chiunque. Modalità di sicuro atipica per il nostro modo di partecipare alla politica, certo, e su cui non è condannabile poter avere dei dubbi. I problemi potranno sorgere – ma ci auguriamo di no – per il semplice fatto che alla lunga, le posizioni da prendere su macro questioni genereranno diatribe più che inevitabili. Volt inoltre, vuole sedersi in Parlamento senza entrare in nessun gruppo: corre da solo e per questo il suo obiettivo è raggruppare 25 deputati eletti in 7 Stati membri. La raccolta firme è nel pieno della sua attività, anche se 150mila sono un numero enorme, forse irraggiungibile.
Il programma
Ciò che Volt propone concretamente è dare vita ad una Europa federale guidata da un Primo Ministro eletto dal Parlamento e un Presidente eletto dal popolo e l’attuazione di un’unione bancaria e monetaria. L’obiettivo è quello di favorire il miglioramento delle condizioni di vita e lo sviluppo progressivo delle imprese e del lavoro, garantendo massima cooperazione tra gli Stati europei. Poi, l’istruzione al centro: nuovi metodi di insegnamento al passo coi tempi, più finanziamenti alle scuole e agli insegnanti, più fondi per gli scambi Erasmus al fine di renderli veramente accessibili a tutti. Alta tecnologia, educazione digitale e intelligenza artificiale. Parità dei cittadini e uguaglianza sociale, con particolare attenzione alle classi e alle zone disagiate. Miglioramento della sanità, garantendo l’accesso all’aborto e alla contraccezione gratuiti; attenzione ai diritti delle donne e lotta alla violenza di genere; sviluppo di un’economia verde e circolare, promozione della qualità dei prodotti locali e della biodiversità. In campo di immigrazione, invece, asilo e integrazione come valori aggiunti per ogni paese; i porti sono aperti a patto che la distribuzione dei migranti avvenga in modo equo e insindacabile tra i vari Stati.
Insomma, un programma ambizioso e di ampio raggio che non si esaurisce qui e che i volter definiscono “visionario”. Il termine può essere effettivamente ambiguo perché sinonimo di apparizione, allucinazione non rispondente alla realtà. Ma loro non la vedono così: in un’intervista, Federica Vinci ci spiega che «visione è immaginare il mondo in cui crescere noi stessi e i nostri figli, significa lavorare affinché questo obiettivo venga raggiunto; non essere visionari vuol dire non avere una prospettiva sul proprio futuro e arrendersi». Ma come può attecchire Volt sugli scettici e sui disillusi, su coloro che non hanno più fiducia nel cambiamenti e nella politica? Come può, Volt, non essere preso per pura fantasia e scomparire di punto in bianco dalle pagine della storia? Anche questa è una questione di non facile risoluzione. «Per i disillusi che non credono nella visione a lungo termine c’è la prospettiva del locale – continua Vinci – perché Volt è presente tantissimo sul territorio attraverso squadre e tour di ascolto che si incontrano settimanalmente per rendere migliore il posto in cui la gente vive. Dobbiamo sensibilizzare i cittadini per far capire loro che la politica è qui per ascoltarli e per affrontare concretamente i problemi che si frappongono davanti. Ad esempio, i cittadini di Palermo vogliono che la loro città diventi più pulita e con un maggiore dialogo tra i singoli, la pubblica amministrazione, le industrie e le associazioni: Volt Palermo lavorerà per questo. Dateci fiducia».
La sfida di Volt, dunque, è partita e a noi non spetta che stare a vedere. Il prossimo appuntamento, dal calendario denso e ricco di presenze, è a Roma il 23 e 24 marzo presso l’Auditorium del Massimo con il “Volt Europa Rome Congress”.
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