Finanza

Quasi lieto fine: l’Irlanda tra crescita e nuove tensioni

4 Dicembre 2014

L’Irlanda è la terra delle fiabe. In tutte le storie, si sa, c’è un momento in cui l’eroe si trova in difficoltà, di fronte ai suoi mostri e ai suoi incubi:  il cavaliere incontra il  drago, Eracle affronta l’idra a dodici teste. La storia economica dell’Irlanda degli ultimi anni somiglia a una fiaba, con i suoi picchi, i suoi baratri e i suoi enigmi da sciogliere. Oggi il PIL cresce, il mercato del lavoro prospera. Ma non tutti gli ostacoli sono superati.

Le cicatrici              

È curioso come, parlando con qualsiasi irlandese, di qualunque età, condizione economica o strato sociale, si arrivi come a un punto fisso: il momento in cui si tocca l’argomento della crisi del 2008-2010. Prima dell’implosione dei prezzi degli immobili, l’economia irlandese era giovane, dinamica, in rapida crescita. Poi, lo shock. Il crollo del mercato immobiliare e il baratro finanziario: strettamente legati l’uno all’altro dal momento che erano state proprio le banche a finanziare il boom dell’edilizia.

Degli enormi buchi nel bilancio delle banche si è fatto carico lo stato, iniettando liquidità negli istituti di credito. Il deficit è schizzato a più del 30%. Il 23 novembre 2010 sono stati accordati aiuti per 85 milioni di euro da parte dell’UE e del Fondo Monetario Internazionale.

Il picco della disoccupazione –  15% – lo si è raggiunto nel quarto trimestre del 2011.Sono stati tagliati 32 miliardi di spesa pubblica. Le politiche di rigore, sotto l’occhio vigile della Troika, sono andate avanti fino al dicembre del 2013, lasciando un profondo segno nella società, nella quotidianità delle persone. La povertà e il rischio di emigrazione sono vertiginosamente aumentati. Chi prima della crisi aveva un mutuo e dei progetti si è ritrovato sommerso solo da debiti e incertezza.

L’Irlanda ha lottato e sopportato – senza neppure eccessive tensioni sociali – ed è stata erta a modello di come le politiche di austerity siano la ricetta vincente per uscire dalla crisi.

Oggi  ha ancora un debito pubblico del 123,3% del PIL, ma vanta una crescita del 7,7%.

I motori della crescita

A cosa si deve l’eccezionale ripresa della Celtic Tiger? Fondamentalmente a due fattori: l’export e la fiscalità favorevole alle imprese.

Le esportazioni  non si sono fermate nemmeno nel periodo più nero della crisi (+6,4% nel 2011) e sono sempre state il punto di forza delle finanze irlandesi.

L’altro nodo è una tassazione di impresa eccezionalmente bassa: la corporate tax è del 12,5%. Questo ha attirato non solo colossi della tecnologia come Google o Twitter (si vedano i celebri Google Docks a Dublino), ma anche altri significativi investimenti da oltre oceano.

Un caso che recentemente ha fatto scalpore è quello di Donald Trump, un magnate del business statunitense che ha aperto un gigantesco resort con annesso campo da golf nella contea di Clare (tra Limerick e Galway, sulla costa occidentale). Trump, a sua detta, sta inondando la nazione di denaro e posti di lavoro. Durante la sua ultima visita, a maggio, è stato ricevuto con all’aeroporto di Shannon dal ministro delle finanze Michael Noonan  e si è dichiarato entusiasta dell’accoglienza riservatagli. Ha dichiarato, in un’intervista a LIFE (magazine del Sunday Time) di essere stato sommerso di richieste di investimenti da varie parti d’Irlanda.

Un paradiso, all’apparenza: investimenti che ripartono, mercato del lavoro in espansione, esportazioni, ottimismo e sollievo dopo gli anni bui della crisi.

Vissero per sempre felici e contenti? Non proprio, perché anche questo lieto fine ha i suoi lati oscuri. E non sono neppure così nascosti.

Il paradosso

All’imposizione fiscale eccezionalmente bassa  riservata alle multinazionali, nel 2013 e 2014 – quindi in corrispondenza della fine delle politiche di austerity – è corrisposta l’introduzione di nuove tasse dirette sui cittadini.

Risale al 2013 la Property Tax, la tassa sulle case di proprietà, calcolata in base al valore di mercato degli immobili a maggio dello stesso anno. L’ultima tassa sulla casa, in Irlanda, era stata abolita nel 1997. L’introduzione dell’imposta era stata preceduta da proteste, tra cui si ricorda in particolare l’occupazione della galleria del consiglio comunale di Cork, il 28 febbraio 2013 e l’arresto di due consiglieri comunali, sempre a Cork .

Le tensioni, sociali e politiche, stanno salendo anche in questi ultimi mesi del 2014, a causa della decisione del governo di introdurre tasse sul consumo di acqua – in molte case irlandesi è già stato installato il water meter, un dispositivo per misurarne l’entità. Sabato scorso, 29 novembre, le piazze delle principali città si sono riempite di dimostranti, che al grido “We Won’t Pay” hanno ribadito il concetto: dopo quasi cinque anni di austerità, i cittadini non hanno più le risorse per permettersi un ulteriore aumento fiscale.  E il nodo politico è ancora più difficile da sciogliere, in quanto il governo di coalizione comprende anche il partito Laburista, da sempre fiero avversario dell’austerity, che a causa del suo benestare alle tasse sull’acqua ora rischia il tracollo. Il presidente del consiglio, Enda Kenny è in una posizione delicatissima, e si parla di elezioni  anticipate.

L’austerità è finita? La crescita porterà sollievo e stabilità? La rabbia con cui i cittadini si sono riversati per le strade sabato scorso (non è la prima protesta, ce n’era stata un’altra di dimensioni simili durante il primo weekend di novembre) non sembravano certo rispecchiare il ritratto del “malato che ha reagito bene alle cure”. La situazione rasenta il paradossale. Le manifestazioni contro l’aumento delle tasse, specialmente su un bene indispensabilmente prezioso come l’acqua, non possono essere ignorate. È necessaria una riflessione politica: continuare a chiedere risorse ai cittadini è giusto? Ma soprattutto: è economicamente sostenibile nel lungo periodo?

 

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