UE
Qual è la vera solidarietà in Europa?
Anche se magari a prima vista non sembra, l’esito dello scontro Europa-Grecia è stato politico, democratico e persino solidale. La UE ha deciso che prevalgano idee e ricette “di destra” sulla disciplina dei conti, le privatizzazioni, l’età di pensionamento etc. rispetto a quelle “di sinistra”, perché i vari Governi hanno ritenuto, in pratica all’unanimità, che la maggioranza dei rispettivi elettorati così voglia, soprattutto quando si tratta di misure applicate in casa d’altri, in Grecia.
Con tanti saluti a quella che è la retorica della solidarietà, si è toccato con mano che né il contribuente tedesco, né quello italiano, finlandese o portoghese desiderano che la UE trasferisca risorse senza limiti e senza condizioni ai Paesi dove il reddito è più basso, in misura analoga a ciò che invece avviene all’interno di ciascun Paese. Se persino Salvini non si occupa più di quanti soldi vanno dalla Padania alla Terronia, se in Germania è rilevante il trasferimento di euro dall’Ovest all’Est, se è pacifico che nel Regno Unito il reddito della Scozia sia corroborato dalle risorse che arrivano dalla ricca zona di Londra, l’Europa è invece una famiglia non nel senso di “quelli che sono dentro quando la porta è chiusa”, ma una famiglia allargata, quella che si ritrova a tavola a Natale, ai matrimoni e ai funerali. La Grecia è un po’ come il fratello scapestrato che si è riempito di debiti e che va periodicamente aiutato, ogni volta sempre più per dovere e per non infangare il nome di famiglia, ma certo con meno voglia.
Piaccia o no, anche questa è solidarietà e fa la differenza, perché lasciata a se stessa la Grecia proverebbe privazioni terribili e ben lo sa Tsipras, altrimenti non avrebbe ceduto. I tanti euro che ancora una volta arriveranno ad Atene dalla colletta di Bruxelles permetteranno ai Greci di evitare il peggio.
Io non mi scandalizzo se la UE è una famiglia allargata anziché una famiglia in senso stretto, proprio perché così vogliono gli Europei. Non sono così convinto che il trasferimento di risorse alla Sicilia dalla Lombardia sia così popolare fra i contribuenti lombardi, soprattutto fra quelli che hanno fatto il sacrifico di emigrare dalla Sicilia. Il salario mensile in Romania si aggira sui 200 euro e nessuno di noi è pronto a pagare più tasse per permettere ai Romeni di avere un reddito più alto, né pensa che gli abitanti di Amburgo debbano aiutarci a vivere con più mezzi.
Lo stesso trasferimento di risorse all’interno di ciascun Paese avviene obtorto collo, nessun partito potrebbe vincere le elezioni in Italia con il programma di ridurre i trasferimenti al sud, semplicemente perché al sud non prenderebbe nessun voto, infatti Salvini ha sostituito la retorica anti-Roma Ladona e anti-Sud con quella anti europea, come se Bruxelles fosse una potenza coloniale che trasporta camion di oro dai nostri forzieri.
È invece possibile vincere le elezioni in Germania con il programma di trasferire denaro ai Paesi meno ricchi della UE soltanto in misura limitata e a dure condizioni. Perché allora non eliminare il sostegno del tutto? Perché gioca anche il desiderio, non solo razionale, di avere una sfera d’influenza politica ed economica, perché il barese con più soldi in tasca poteva comprare la FIAT 500 fatta a Torino, perché l’indipendenza della Scozia, della Polinesia o del Sudtirolo umilierebbero i rispettivi ex imperi veri o immaginari e quindi dalla capitale si decide di pagare per avere confini più ampi.
La decisione su se e quanto aiutare la Grecia è una decisione, magari di carità pelosa, fatta soppesando costi e benefici. La Germania è disponibile a pagare, entro certi limiti, perché con i suoi 80 milioni di abitanti è una nullità in confronto alla Cina o all’India, ma lo stesso discorso varrebbe per noi, se non andassero di moda politici provinciali. Dopo secoli di guerre, l’esperimento europeo val bene un altro versamento nelle casse greche, purché sia l’ultimo o il penultimo, purché ci sia la speranza che non diventi annuale e stabile, com’è invece quello dal Veneto alla Campania o dalla Baviera alla Sassonia, dalla Catalogna all’Andalusia.
Il vero ostacolo all’uguaglianza di tenore di vita fra gli Europei non è dato soltanto dalle macroscopiche differenze delle rispettive economie, ma dal prevalere degli Stati come ente che tassa e redistribuisce e non è realistico pensare ad un ruolo maggiore di Bruxelles, a un prelievo sostanziale dai redditi di Londra e Stoccarda per aumentare quelli di Sofia e Danzica. Dobbiamo a convivere con un’idea realistica dell’Europa, che non sarà mai
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor.
come Manzoni immaginava l’Italia. L’Europa sarà sempre “liquida” e si costruirà fra passi avanti e passi indietro, con un lungo cammino.
Domenica si è raggiunto un punto fermo, accertando l’incompatibilità fra i sogni solidaristici della sinistra alternativa e la volontà dei contribuenti elettori. Al referendum greco della domenica precedente si è contrapposto il NO degli altri popoli europei, implicito nelle posizioni dei rispettivi Governi, che certo non ignorano la pancia dei propri elettori. Questo può scandalizzare molte anime belle in Italia, dove la retorica della solidarietà sempre, comunque e verso chiunque è obbligo del politically correct nostrano, cui però non seguono sempre fatti. I cattivoni tedeschi, cui è spettato l’ingrato compito di dire no a nome di molti altri, sono stati realistici e più trasparenti. Dovremmo ringraziarli e ricordare che abbiamo già contribuito con mille euro a testa, pare, al benessere del popolo greco negli ultimi anni, che gli abbiamo comprato il pesce, ma non gli abbiamo insegnato a pescare, ammesso e non concesso che quella dell’austerità sia stata una buona scuola.
Anche se è stata prosaica e poco ideale, quella di domenica è stata una tappa fondamentale verso non la distruzione, ma la costruzione e dell’Europa, che non può ignorare la Realpolitik.
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