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Pronta direttiva bavaglio per i giornalisti che indagano sulle multinazionali
I whistleblower, i rivelatori di segreti inconfessabili delle grandi multinazionali, potrebbero avere le ore contate. Questo, almeno, se passerà una direttiva di cui curiosamente nessuno parla, sommersi come siamo fra polemiche sui rifugiati e trattative snervanti sulla Grecia. Una direttiva cui l’Unione europea sta lavorando da quasi due anni (la prima bozza reca la data del 28 novembre 2013).
Il titolo è «Direttiva sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti», ma l’impatto sulla libertà di stampa in Europa potrebbe essere fatale. La proposta di normativa ha già attirato i fulmini di 65 ong e leader sindacali di 10 paesi, tra cui la Federazione internazionale dei giornalisti, nonché di organizzazioni sindacali, tra cui la Cgil, che hanno lanciato un’iniziativa #StopTradeSecrets.
Per sé l’obiettivo della direttiva è assolutamente comprensibile: si tratta infatti di armonizzare a livello comunitario la normativa che regola la tutela dei segreti industriali, evitando spionaggio e tutelando le invenzioni e le innovazioni cui le imprese stanno lavorando. «In funzione del modello aziendale dell’innovatore – spiega la parte introduttiva della bozza – la riservatezza può essere la base necessaria per fare prosperare la proprietà intellettuale, che può così essere messa a frutto per promuovere l’innovazione e la competitività». Il testo inoltre avverte che «l’esposizione di informazioni e know-how riservati a furto, spionaggio o altre tecniche di appropriazione illecita è aumentata, e continua ad aumentare, per effetto della globalizzazione, dell’esternalizzazione, delle catene di approvvigionamento più lunghe, ecc. Risulta inoltre aumentato il rischio che i segreti commerciali rubati vengano usati nei paesi terzi per produrre merci costituenti violazione».
Il problema però sono le gravi implicazioni di alcune norme per la libertà di stampa e, appunto, la possibilità di rivelare informazioni riservate. Com’è avvenuto ad esempio con lo scandalo LuxLeaks, la rivelazione dei trucchi fiscali usati da numerose importanti multinazionali, con sedi in Lussemburgo, per evitare quasi del tutto le imposte. Come al solito, le varie lobby industriali sono riuscite a infilare in un testo normativo Ue dei paragrafi che chiaramente perseguono altri scopi: chiudere la bocca alla stampa. «L’utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale – si legge nell’articolo 3 – sono da considerarsi illeciti ogniqualvolta un soggetto, al momento dell’utilizzo o della divulgazione, era a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto esserlo, del fatto che il segreto commerciale è stato ottenuto da un altro soggetto che lo stava utilizzando o divulgando illecitamente». Non vi sono in questo caso specifiche eccezioni per il lavoro giornalistico. Non basta la rivelazione di segreti commerciali è possibile solo se «serve l’interesse pubblico», e questo «sempre che non vengano rilevate irregolarità o malversazioni».
Ora chiunque faccia giornalismo sa che è impossibile sapere a priori e con certezza assoluta se una determinata informazione «serve l’interesse pubblico». Inoltre è estremamente difficile poter valutare se l’informazione è stata ottenuta in modo «illegale», tanto più che la direttiva definisce come illegale già «l’accesso non autorizzato o copia non autorizzata di documenti, oggetti, materiali, sostanze o file elettronici sottoposti al lecito controllo del detentore del segreto commerciale». Un po’ difficile passare alla stampa un’informazione sensibile, magari per rivelare uno scandalo o un danno alla collettività, dovendo chiedere il permesso ufficiale all’azienda. Esempio concreto: con la direttiva in vigore, i giornali non avrebbero mai potuto usare le informazioni fornite da Antoine Deltour, il dipendente francese della Price Waterhouse Cooper che ha rivelato i trucchi fiscali delle multinazionali nello scandalo LuxLeaks ovviamente senza informare i dirigenti.
«Con la direttiva qualsiasi impresa potrà decidere arbitrariamente se un’informazione che per lei ha valore economico potrà essere o meno divulgata», afferma la giornalista investigativa francese Elise Lucet, in prima linea contro la bozza di normativa. Inoltre, continua la giornalista, se una fonte o un giornalista “viola” il segreto commerciale, potranno essergli chieste somme colossali di indennizzo, milioni o addirittura miliardi di euro». Anche Dunja Mijatovic, responsabile per la libertà dei media presso l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, vede gravi problemi nella direttiva: «Il testo – ha dichiarato – non definisce l’esercizio legittimo del diritto di espressione e di informazione e non fornisce una chiara nozione di interesse pubblico per tutelare adeguatamente il giornalismo investigativo».
La Commissione Europea, invece, sostiene che il diritto all’informazione è tutelato, ma evidentemente non ha idea di come funzioni il lavoro giornalistico. Lo scorso 16 giugno la Commissione Affari giuridici del Parlamento Europeo ha approvato alcune modifiche per cercare di ovviare a queste critiche. In un emendamento si legge ora che «gli stati membri dovranno rispettare la libertà della stampa e dei media (…) per assicurare che la direttiva non limiti il lavoro giornalistico, in particolare per quanto riguarda l’inchiesta, la protezione delle fonti e il diritto del pubblico di essere informato». Una classica foglia di fico, vista la vaghezza e il fatto che non riduce per i giornalisti l’obbligo dell’acquisizione in modo «legale» dell’informazione e dell’«interesse pubblico».
L’Associazione Europea degli editori di giornali (Enpa) aveva chiesto che gli emendamenti escludessero «esplicitamente i giornalisti dalle prescrizioni delle normative». Richiesta ignorata. Sul fronte degli Stati membri, chiamati ad approvare la direttiva insieme al Parlamento europeo, non c’è da aspettarsi molto. Già il 26 maggio 2014 il Consiglio dell’Unione Europea (che li rappresenta) ha preso una posizione di base sostanzialmente a favore del testo della Commissione. Anzi, gli stati hanno ulteriormente inasprito il testo, sopprimendo la condizione che una violazione del segreto commerciale per essere illegale deve essere «intenzionale o frutto di grossolana negligenza». LuxLeaks e WikiLeaks, insomma, non devono ripetersi.
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Testo della proposta di direttiva “Protezione del know-how riservato”
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