UE

Podemos cambiare l’Europa

25 Maggio 2015

La politica in Spagna è cambiata il 24 maggio 2015. E, per l’ennesima volta, arriva dalle urne un segnale all’Unione europea, sebbene nel caso specifico non ci sia stata l’affermazione di un “partito anti-europeo” o di un messaggio affine. Tutt’altro. La sintesi è la seguente: nelle 13 comunità autonome spagnole, in 9 casi hanno vinto i popolari del premier Mariano Rajoy, in 2 i socialisti e in altri 2 coalizioni locali. Il dato sostanziale, però, è la perdita della maggioranza assoluta da parte dei conservatori in tutte le regioni e addirittura nella roccaforte della comunità di Valencia.

Un Paese come la Spagna profondamente abituato all’alternanza bipolare – tra Pp (popolari) e Psoe (socialisti) – deve constatare la nascita di altri due soggetti in grado di avere una rilevanza politica, Podemos e Ciudadanos (il primo più del secondo), che hanno i voti e i seggi per condizionare gli equilibri di governo. Per ora si parla del piano delle comunità autonome e dei Comuni, ma dal prossimo anno prevedibilmente l’argomento si sposterà su scala nazionale. Al di là delle comunità e dei Comuni di Madrid e Barcellona (nel primo i popolari hanno vinto di un soffio ma non hanno i numeri per governare, nel secondo può esserci l’accordo tutto a sinistra che mette all’angolo gli indipendentisti di CiU), il Partito popolare ha perso il 13% dei voti: oggi è al 27%, due punti davanti al Psoe. Ma in questo contesto manca Podemos, che per il voto locale ha preferito unirsi spesso a liste civiche e/o di sinistra.

La richiesta che scaturisce dalle urne è quasi banale: serve un cambiamento, traducibile con l’avvicinamento delle istituzioni di Bruxelles alle istanze dei cittadini. Non a caso Pablo Iglesias, leader di Podemos, è alfiere della ‘democrazia diretta’, che comunque non disdegna la (sua) leadership forte. Il successo non può essere ascritto solo a un contesto ‘europeo’: il crollo dei popolari è sicuramente legato al logorio di una stagione di governo, a cui si sommano gli scandali per corruzione che in un Paese con la disoccupazione al 25% hanno un loro peso sul consenso. Inoltre c’è il fascino del nuovo modello politico veicolato da Podemos, un laboratorio in fieri ancora pienamente da comprendere.

Tuttavia il monito riecheggia con vigore: la Spagna ha optato per uno spostamento a sinistra con posizione molto critiche verso le scelte in materie economiche. Che non vuol dire anti-europeismo, ma un forte desiderio di un cambiamento di rotta sempre più necessario per evitare l’implosione dell’Ue. Il caso è assai diverso dalla Grecia, oltre che dal Regno Unito (senza dimenticare la Polonia che ha appena eletto un presidente molto molto euroscettico come Duda).

D’altra parte per Podemos il voto del 24 maggio è il più tradizionale degli esami di maturità: dopo l’esaltazione della stampa, anche quella internazionale, deve dimostrare di saper stipulare delle alleanze ‘trasparenti’, sulla base di accordi politici concreti, anche con altre forze politiche come il Psoe di Pedro Sanchez. Certo, per Iglesias sarebbe conveniente giocare di rimessa, continuando a interpretare il ruolo della forza di opposizione ‘rivoluzionaria’ per capitalizzare il voto di protesta alle elezioni generali previste in autunno. Ma il cambiamento della Spagna, e ancora quello più ambizioso dell’Unione europea, necessita dell’immersione nella realtà di governo. A cominciare dalle comunità autonome e dai Comuni, là dove l’Europa deve essere costruita e consolidata.

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