UE

Poche risorse e idee confuse: così l’Italia “tutela” i suoi interessi in Europa

1 Novembre 2018

Le politiche europee incidono sull’attività legislativa dei governi italiani per circa il 70 per cento. Dalla concorrenza ai trasporti, dalle telecomunicazioni all’energia, per non parlare delle questioni fiscali e di bilancio, gran parte delle decisioni cruciali per il nostro paese, come per gli altri 27 partner dell’Unione, vengono prese a Bruxelles. Il lavoro di mediazione sui singoli dossier è svolto dalla Rappresentanza permanente italiana presso l’UE che, tuttavia, a differenza degli altri grandi paesi europei dispone di investimenti e soprattutto di personale nettamente inferiori.

 

La Rappresentanza permanente italiana presso la UE

 

L’ufficio che si occupa delle relazioni tra le autorità italiane e le istituzioni europee dipende dal ministero degli Esteri ed è il più grande della Farnesina all’estero. Vi lavorano complessivamente circa 130 persone dal rappresentante, ambasciatore Maurizio Massari, al carabiniere che piantona l’ingresso. Una ventina sono i diplomatici a cui si aggiungono esperti, consiglieri, dipendenti specializzati distaccati da alcune regioni, personale amministrativo e militare. Un esercito, a prima vista, ma sollevare questo argomento può facilmente alienarvi le simpatie di chi tutti i giorni lavora negli uffici di rue Marteau. Tra i grandi paesi, l’Italia è quello che dispone dello staff più ridotto: la rappresentanza tedesca conta su circa 200 dipendenti, la Francia su 183 e per la Spagna sono 100 le figure al lavoro su una lista di materie che va dagli affari economici e finanziari fino all’educazione e allo sport, passando per competitività, commercio, cooperazione e sviluppo, trasporti, giustizia e molto altro. Persino i Paesi Bassi, in rapporto alla popolazione, hanno una rappresentanza decisamente più corposa di quella italiana, assommando a 106 dipendenti. Significa, per fare un esempio, che l’Italia ha una persona dedicata a seguire i negoziati Brexit – ed è un dossier che vale circa 11 miliardi di euro di bilancia commerciale attiva per l’Italia – mentre i tedeschi ne hanno due. «Siamo di meno, ma questo al massimo incide sulle nostre vite personali, non certo sull’efficacia della nostra azione», ci tengono a precisare le fonti diplomatiche che abbiamo interpellato.

Rappresentanza UE Italia Spagna Francia Paesi Bassi
Diplomatici, Consiglieri ed esperti 82 100 129 79
Staff e personale segreteria 43 n.d. 54 27
Totale 135 100 183 106

Questi uffici sono l’interfaccia dello stato in Europa e la principale infrastruttura di negoziazione su tutte le materie di competenza comunitaria. Su mandato del governo o dei singoli ministri, operano su tre livelli: gruppi di lavoro tecnici sulle singole materie, comitati permanenti (Coreper I e II) per una prima negoziazione con i rappresentanti degli altri stati membri e i Consigli dei ministri che si tengono circa ogni due mesi. Inoltre, preparano le riunioni del Consiglio europeo, dove vengono adottate le decisioni.

Quali sono gli interessi fondamentali per il nostro Paese? Impossibile rispondere con precisione a questa domanda per almeno due fattori, come ammettono le stesse fonti diplomatiche: l’instabilità della vita politica del nostro Paese con frequenti cambiamenti di governo, di leadership e di ministri è oggettivamente un elemento di debolezza; al contrario, in Francia, il presidente rimane in carica 5 anni e tutti a Bruxelles, dalla Commissione agli altri paesi membri sanno che dovranno rapportarsi con quel leader e con l’impostazione che darà per un tempo lungo. Per non parlare della Germania, con la cancelliera Merkel in carica ormai da dodici anni consecutivi; altrettanto problematica risulta la possibilità di fare sintesi di interessi particolari e frammentati.

Un punto di vista confermato da Marco Piantini, già consigliere per gli affari europei alla Presidenza del consiglio dei ministri con i governi Renzi e Gentiloni: «È fare strategia di lungo periodo in un sistema non solo instabile ma anche atomizzato». A complicare le cose, ci sono le caratteristiche e la cultura specifica del sistema burocratico italiano, spiega Piantini: «Una effettiva parte dell’azione di governo si svolge a Bruxelles. Quindi la presenza è non solo dovuta, ma essenziale ma non riguarda solo la politica. Per questo dentro i ministeri serve personale specializzato in materia comunitaria e disponibile a lavorare a Bruxelles in stretto coordinamento con Roma». Una nota dolente, dice Piantini, «considerata l’indisponibilità a spostarsi da parte della maggior parte dei funzionari e dei dirigenti».

Tuttavia, assicurano i diplomatici della Rappresentanza italiana, la struttura riesce a garantire continuità all’azione italiana e il collegamento con i ministeri. Talvolta persino con grande indipendenza rispetto alla politica, come è successo nelle settimane scorse sulla vicenda delle sigarette elettroniche. Il nuovo governo avrebbe voluto togliere la supertassa al settore, ma l’Italia si è schierata a sorpresa a fianco della Commissione europea pronta ad adottare misure più restrittive e proibizioniste verso i nuovi prodotti del tabacco. Come riporta il giornale online Eunews, la posizione italiana è stata costruita interamente dai tecnici del ministero, con il ministro della salute, Giulia Grillo, rimasta alla finestra. Un caso? Il punto è, suggeriscono altre fonti diplomatiche, che il livello di conoscenze e competenze e soprattutto la credibilità richiesta per essere un player a questo livello non si inventa la mattina. I politici passano, diplomatici ed esperti rimangono ed è il loro certosino lavoro di relazioni quotidiane, di scambi di informazioni e di conoscenza dei meccanismi comunitari che può portare al successo o all’insuccesso. Di fatto si tratta di un lavoro di lobbying che ogni paese fa, ma in un ambiente altamente competitivo e dove la moneta più importante è la credibilità.

In molte occasioni la struttura diplomatica deve fare da sola. Come è successo il 14 maggio, quando a ricevere la proposta di bilancio pluriennale 2021 – 2027 redatta dalla Commissione, c’era per l’Italia l’ambasciatore Massari e non un rappresentante del governo. O, ancora, al vertice informale di Salisburgo di metà settembre, sulla crisi migratoria, l’Italia si è presentata a mani vuote: non un documento, non una proposta, non una piattaforma su cui avviare una trattativa.

Non sempre si ottengono i risultati sperati, ma è naturale, affermano in delegazione. «Fa parte del processo negoziale, non siamo soli, dobbiamo trattare con altri ventisette paesi e ciascuno porta le proprie ragioni. Il punto rimane la capacità di costruire alleanze e rapporti duraturi». Per la struttura tecnico diplomatica è normale, il sistema politico soggetto all’instabilità a cui si accennava sopra, fatica a comprendere queste dinamiche e, soprattutto, guarda all’Europa con la sola prospettiva dell’agenda interna. Il caso dell’agenzia del Farmaco, l’Ema è emblematico. Nel presentare la candidatura, l’allora presidente della Regione Lombardia, Maroni, sottolineava l’unità di intenti di governo, regione e comune, nonostante le differenze di carattere politico. Una “sgrammaticatura”, l’unità dei soggetti di un Paese in competizione con altri stati per diventare sede di un’agenzia europea è il piano zero dell’architettura diplomatica. La dimostrazione di unità a beneficio dell’opinione pubblica italiana abituata alle grida sguaiate dei politici nei talk show, nella catena del valore europeo è vapore acqueo. L’Ema è stata persa perché nessuno ha lavorato abbastanza per convincere la Slovacchia a votare per l’Italia o a contrastare le pressioni dei Paesi Bassi sulla Croazia. Ma è solo un esempio.

(fine prima puntata dell’inchiesta “Chi difende gli interessi italiani in Europa”. Segue)

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