UE

Piantini: «Brexit segnala la crisi delle classi dirigenti europee»

16 Ottobre 2018

«Brexit segnala una crisi di orientamento delle classi dirigenti rispetto al futuro che ci aspetta e persino a ciò che del passato ci unisce». Marco Piantini guarda al Consiglio europeo che domani e dopodomani a Bruxelles dovrebbe trovare un’intesa sull’uscita del Regno Unito con il distacco di chi non è più in prima linea e riesce a mettere in prospettiva gli avvenimenti. Profondo conoscitore dell’Europa e dei suoi meccanismi, politici e sociali prima ancora che tecnici, dal 2006 al 2014 ha collaborato con il presidente Napolitano per poi diventare consigliere agli affari europei nei governi Renzi e Gentiloni. Nel suo ruolo alla Presidenza del Consiglio si è occupato a lungo di Brexit. Attualmente collabora con il CeSpi – Centro studi politica internazionale ed è Senior fellow alla School of political economy della Luiss.

Le vicende che stiamo vivendo, spiega Piantini a Gli Stati Generali, «confermano le difficoltà di un sistema istituzionale centrato sui vertici straordinari, di cui i negoziati su Brexit non sono che un riflesso». Vertici a cui l’Italia sembra partecipare senza un ruolo da protagonista. Eppure, l’Europa a 27 che risulterà dopo il 29 marzo 2019 non è priva di conseguenze, rischi ma anche opportunità, per il nostro paese.

Partiamo dalle opportunità. Con l’uscita del Regno Unito, l’Italia diventa il terzo contributore netto dell’UE. Avrà un maggiore peso politico e una maggiore influenza sulle decisioni comunitarie?
L’uscita della Gran Bretagna crea un dividendo di responsabilità maggiore per i paesi più grandi dell’Ue, compreso il nostro. Più si assume quella responsabilità, più si avranno possibilità di esercitare influenza. È responsabilità la parola chiave, anche in risposta a Brexit. Anzi, soprattutto in risposta a Brexit. Perché Brexit è un fattore di incertezza in un contesto globale pieno di incertezze. La forza dell’Italia sulla scena europea è legata a diversi fattori. Di sicuro conta molto la continuità di azione almeno sulle grandi linee. E conta la capacità di essere nell’avanguardia, con i paesi più avanzati. Quelli a noi più affini per struttura industriale prima di tutto.

La bilancia commerciale con UK per l’Italia ha un attivo superiore agli 11 miliardi di euro l’anno. Quanto perderà il sistema economico con un no-deal? Ci sono delle opportunità di crescita? Per chi?
La bilancia commerciale per quanto positiva per noi riflette solo in parte la profondità dei rapporti tra i nostri due Paesi. Alcune valutazioni fatte nel 2017 prevedevano un costo di ben oltre 4 miliardi per la nostra economia in caso di no deal. Ma penso che faremmo bene a considerare queste stime come teoriche, perché non sappiamo cosa può realmente accadere. Inoltre, non è dato immaginare che impatto avrà un no deal, e comunque qualsiasi forma di accordo incompleto, sulla profondità dei nostri rapporti, oltre che sulla bilancia commerciale. Penso ai ragazzi italiani, ai lavoratori di ogni età, che tanto hanno dato al Regno Unito e penso ai non pochi cittadini britannici che risiedono o lavorano in Italia. Il costo umano del no deal, non lo conosciamo.

Quali sono i costi culturali e politici?
Il più evidente, lo si è detto varie volte, è uno stato di crisi di senso dello di sviluppo che abbiamo, che suscita rabbie e paure sia tra chi si sente escluso sia che tra molti ben inclusi nel sistema economico. Brexit segnala una crisi di orientamento delle classi dirigenti rispetto al futuro che ci aspetta e persino a ciò che del passato ci unisce. Si pensi alla questione nordirlandese. La pace in quella regione è stato uno straordinario successo non solo in Europa, ma dell’Europa. Perché senza il contesto comunitario sarebbe stata ancora molto più difficile se non impossibile. Pare mai possibile che nella Europa del 2018 si torni a discutere del confine nordirlandese e che si arrivi quasi in emergenza a un ennesimo vertice su questo tema quando si sapeva fin dall’inizio che era il nodo negoziale più complesso?

Ma non rileva anche un senso di spaesamento? Le istituzioni europee su questa vicenda sembrano più attente alle conseguenze sull’opinione pubblica che a produrre un risultato ottimale per gli stati membri e i loro cittadini.
Brexit conferma le difficoltà di un sistema istituzionale che dopo il Trattato di Lisbona ha accentuato la liturgia dei vertici straordinari. Le notti di negoziato pre Brexit ne sono state una variabile. Detto questo, penso che molte persone nella Unione Europea di oggi, e molte più di quello che si racconta, vivano con sgomento questo senso di crisi che va oltre Brexit. E che non manchino le condizioni per una riscossa democratica per l’Europa, per una Unione Europea riformata, e contro la sua implosione. C’è bisogno di un nuovo sforzo anche per rappresentare l’Europa per ciò che è, qualcosa di incompiuto. Un terreno di ricerca, e una occasione, forse l’ultima, per una rifondazione ideale, morale e culturale della politica. Non sogno propagandisti dell’Europa unita. Ma mi chiedo però cosa aspettano tanti, soprattutto giovani, a esigere uno sforzo straordinario di informazione adeguata su questi temi.

I cittadini italiani in Gran Bretagna conoscono le conseguenze? Chi sta fornendo indicazioni? Non credo il sistema diplomatico italiano, visto che il consolato ha difficoltà enormi anche solo a gestire le richieste di iscrizione all’Aire (dagli 8 mesi in su)
Vi era stato un lavoro intenso di cooperazione tra le autorità dei due Paesi. Ricordiamo anche che l’Italia è forse il paese che più ha agito, nel negoziato, per la tutela dei diritti dei cittadini. C’è stato un asse solido e fruttuoso con il Parlamento Europeo, il negoziatore Michel Barnier e i servizi della Commissione oltre che con altri paesi. Vorrei ricordare anche il dialogo continuo avuto con le associazioni che sono nate nel Regno Unito e nella UE per la difesa dei diritti dei cittadini. Informazione e comunicazione a imprese e cittadini devono restare prioritari. Vi è stato un impegno anche da parte della Commissione europea (anche a seguito dell’insistenza italiana a inizio del negoziato) in tal senso, vedi le diverse notifiche agli operatori economici. Ma il punto che voglio fare qui è che deve esserci un salto di qualità complessivo per l’attenzione su questo tema. Brexit ha molteplici ricadute sul sistema paese. La preparazione delle amministrazioni per ogni scenario può essere costosa ma è indispensabile. Quando Brexit accadrà, accadrà qualcosa che possiamo prevedere e organizzare, ma non conosciamo. Non sono certo che ve ne sia piena consapevolezza.

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