Mercati
Perché prosegue la fuga di capitali all’estero
Dopo il poco esaltante risultato del 2016 che ha visto oltre 130 miliardi di € fuoriuscire dal sistema finanziario italiano verso altri lidi, i primi risultati relativi al 2017 non inducono particolare ottimismo. I flussi registrati dalla bilancia dei pagamenti (BdP) per il bimestre gennaio-febbraio (dati più recente forniti da Banca d’Italia) registrano un’ulteriore fuoriuscita di 15 miliardi. Si tratta purtroppo di un trend consolidato, che vede altri 9 miliardi trasferiti dal settore privato non finanziario – cioè le imprese industriali e commerciali – in fondi comuni di investimento ed azioni estere, per un totale investito all’estero di oltre 230 miliardi dal 2014. Da alcuni mesi inoltre questa emorragia è aggravata da una vendita di titoli di Stato da parte di banche ed altri investitori esteri per 13 miliardi da gennaio 2017, (cfr. Figura 1) che ha creato pressioni sullo spread BTP-BUND (ora intorno ai 200 punti base).
Figura 1
Osservando l’andamento del saldo Target2 di Banca d’Italia è possibile fare delle previsioni fino ad aprile, ben oltre il dato ufficiale BdP. Target2 è il sistema europeo che regola i pagamenti fra banche ed imprese private attraverso i conti di Banca d’Italia. Semplificando, ogni pagamento tra Italia ed estero diviene un rapporto di debito/credito tra Banca d’Italia e le altre banche centrali dell’Eurozona, contabilizzato in un saldo che misura piuttosto bene l’entità e la direzione dei flussi di capitale.
Non a caso il saldo Target2 è peggiorato di 29 miliardi di € tra gennaio e febbraio, dopo avere registrato nel 2016 il deterioramento da -247 miliardi a -364 miliardi di €. Si nota bene anche qui come la differenza sia data dai 130 miliardi registrati in uscita dai conti finanziari della BdP. Da allora il saldo Target2 ha proseguito la sua corsa verso il basso, raggiungendo il valore record di -420 miliardi a metà aprile. Dunque bisogna aspettarsi cattive nuove dal fronte finanziario anche per la primavera: la fuga dei capitali prosegue indisturbata.
Come si spiega questo deflusso insistente verso l’estero della nostra ricchezza finanziaria? Non si tratta di un fenomeno solo italiano: i capitali abbandonano in maniera simile anche la Spagna ed il Portogallo. La direzione è di nuovo facilmente intuibile dall’andamento dei saldi Target2: Germania, Olanda, Lussemburgo e Finlandia hanno valori positivi record (Germania +814 miliardi a fine marzo 2017) che implicano un’accelerazione degli afflussi di capitale finanziario.
Altrettanto certo è che gran parte dei deflussi di capitale è alimentata dal Quantitative Easing della Banca Centrale Europea. Dall’avvio del programma di acquisto di titoli di Stato da parte delle banche centrali dell’Eurozona con soldi “prestati” dalla BCE si è delineato un chiaro meccanismo di “nazionalizzazione dei rischi”. Vediamo di capire meglio (cfr. Figura 2): la BCE da mandato alla succursale Banca d’Italia di acquistare 8 miliardi di BTP al mese. Supponendo ragionevolmente che la Banca d’Italia acquisti i titoli in maniera uniforme e senza discriminazioni, lo farà per il 67,4% in Italia e per il 32,6% all’estero dato che il debito pubblico è così distribuito tra gli investitori. I titoli venduti dalle banche ed imprese dell’Eurozona sono contabilizzati di per sé come una fuoriuscita di capitali in Target2, dato che la nuova moneta trasferita a Banca d’Italia transita immediatamente verso l’estero.
Purtroppo anche il restante 60% percola in breve tempo verso il Nord-Europa. L’andamento dei conti finanziari della bilancia dei pagamenti certifica con dati reali che imprese e banche italiane utilizzano i proventi derivanti dalla vendita dei BTP (a prezzi elevati) a Banca d’Italia per investire in azioni e fondi comuni esteri.
Figura 2
In definitiva è come se la BCE fornisse la benzina necessaria per finanziare un gigantesco trasferimento – oramai siamo ben oltre i 240 miliardi – del rischio del debito italiano dal settore privato a quello pubblico.
Alcuni analisti ritengono che la fuga dei capitali sia da vedere positivamente, perché tutela gli investitori italiani consentendo una diversificazione del rischio. D’altronde la situazione delle banche nazionali, oberate da 140 miliardi di crediti deteriorati, è precaria. I tassi di interesse restano bassi. Con la crescita economica inchiodata ancora tra gli “zero virgola” gli incentivi a re-investire all’interno del circuito dell’economia reale sono obiettivamente minimi. Secondo questa vulgata dunque la fuga verso l’estero certifica una sfiducia degli investitori verso il sistema Italia che è inutile nascondere. È bene invece cogliere le opportunità della libertà dei movimenti di capitale e del supporto di liquidità della BCE, che non sarà certo eterno.
Tuttavia questo grande “riassetto” finanziario a livello nazionale non fa sparire certo i rischi sul debito pubblico, ma – come detto – li sposta semplicemente dai bilanci delle imprese private in quello di Banca d’Italia. Cioè in altre parole li “nazionalizza”.
Purtroppo la diversificazione del rischio non è gratis, ma è gravata da un costo potenziale occulto per il Paese.
Nell’ipotesi estrema in cui l’Italia uscisse dall’Euro, sicuramente gli investitori privati con investimenti all’estero sarebbero protetti da una ridenominazione del debito pubblico mirata a rimborsare i titoli di Stato in nuove lire svalutate. Ma il conto lo pagherebbe Banca d’Italia; secondo quanto affermato da Draghi la BCE vorrebbe tutto il saldo Target2 indietro in Euro (-420 miliardi ora, ma prevedibilmente di più nell’eventualità).
Difficile dire come questi costi sarebbero ribaltati sul sistema Paese: una fiammata dell’inflazione a seguito di una massiccia stampa di valuta sarebbe probabile; anche una maxi-patrimoniale potrebbe essere tra le opzioni di un governo alle strette. L’alternativa? Un default conclamato verso la BCE con conseguenze assolutamente non prevedibili.
Devi fare login per commentare
Accedi