Partiti e politici
Perché non si può votare? È il fattore k della destra, bellezza
La mia generazione è stata allevata a pane e pomodoro e fattore k, e entrambi avevano a che fare con il rosso. Il fattore k proposto da Alberto Ronchey stabiliva che il partito comunista sarebbe potuto crescere, avrebbe potuto vincere vittorie di Pirro, ma mai governare. Era facile capire il perché: perché una vittoria del rosso scuro avrebbe fatto cambiare, si temeva, la collocazione internazionale dell’Italia, fuori dal patto atlantico e oltre cortina (la cortina di ferro, per i giovani). Nessuno però capiva il come: come si poteva impedire al partito comunista di vincere? Allora non lo sapevamo, e chi parlava di poteri oscuri veniva subito zittito ricordando che si era in democrazia, e non c’era il KGB. Poi abbiamo scoperto che era molto peggio del KGB e anche della STASI. Abbiamo attraversato nella completa spensieratezza della democrazia tentativi di golpe, bombe, servizi deviati, gladiatori (niente a che fare con l’antica Roma, questi erano addestrati alla guerra civile), operazioni “stay behind”, e così via. E solo oggi mettendo insieme storia e geografia notiamo che siamo stati l’unico paese affacciato al Mare Nostrum che non era governato da una dittatura fascista o dai colonnelli. Oggi sappiamo il perché e il come.
Oggi sappiamo che non eravamo liberi, ma non abbiamo imparato la lezione. Abbiamo anche visto al cinema il Truman Show, ma non c’è venuto in mente che una vita simile era toccata a noi. L’unica differenza era che se avessimo tentato di scappare non avremmo trovato un orizzonte di carta, ma un esercito di gladiatori pronti a ricacciarci indietro (e non è un caso che mi siano venute spontaneamente fuori proprio le parole che costarono la vita a Matteotti). Quello è il passato. Oggi siamo liberi. E invece no. Chi oggi chiede le elezioni deve sapere che c’è ancora un fattore k. La differenza è che stavolta riguarda il centrodestra, e che non ha niente di misterioso. Sappiamo il perché e il come.
Il fattore k della destra nasce dalla crisi del 2011, quando il paese è arrivato a un passo dal più grande collasso finanziario della sua storia. Andatevi a riguardare chi c’era in quel governo. Era il governo che Berlusconi ricorda con soddisfazione per aver “sdoganato” la destra estrema. Guardate i nomi e confrontateli con quelli che oggi invocano una ventata di novità e competenza. Meloni alla Gioventù (i giovani ancora scappano, ma lei forse aveva inteso il suo incarico come Ministro del Fronte della Gioventù), Bernini alle Politiche Europee, Gelmini alla scuola e università. E poi Carfagna, Brunetta, La Russa, Romani, Zaia (l’uomo nuovo della Lega di oggi). E tra i sottosegretari Ravetto e Santanchè. Manca solo Salvini, che però si faceva le ossa già dagli anni 90. I giornalisti, e i mezzi di comunicazione in generale, non ci spiegano se gli omonimi del centrodestra di oggi sono parenti di quelli di allora, oppure, se sono gli stessi, da chi hanno preso ripetizioni di tecnica di governo. E così Meloni è coerente, Zaia è il nuovo emergente, Romani è saggio, ecc. Ma nessuno si fa una domanda banale: perché questa classe politica della destra, che ha portato l’Italia a sbattere, oggi la dovrebbe salvare?
Chi può quindi stupirsi del fatto che questa classe politica abbia seri problemi, reciproci, con l’Europa? O che l’Europa possa accettare di consegnare i primi fondi ottenuti con un prestito sottoscritto da tutti i cittadini di Europa a chi ha messo addirittura a rischio quelli prestati dai propri cittadini? E a una classe politica che ha sempre trovato la giustificazione in un complotto dell’Europa (da parte di Brunetta e Tremonti, non di terrapiattisti) invece che nell’autocritica. Se i giornalisti hanno la memoria corta, i mercati hanno ancora davanti agli occhi l’iceberg dello spread, e sarebbero pronti a negare il finanziamento a quella stessa classe dirigente. Ecco perché questa classe dirigente non potrà mai governare. Potrà vincere, quando ci saranno le elezioni, ma non potrà governare, perché poco dopo la possibilità di pagare gli stipendi potrà dipendere solo dal MES (quello brutto e cattivo, non quello sanitario) e al controllo della Troika. E’ vero che sarebbe l’occasione per gli scienziati pazzi dell’uscita dall’Euro di strillare “si può fare” come Gene Wilder in Frankenstein Junior, ma tutto fa supporre che l’uscita sarebbe da operetta, come da operetta è stato considerato il golpe Borghese per molti anni.
Se non è operetta è commedia dell’assurdo. Abbiamo una destra piena di gente che fa il saluto romano in occasioni pubbliche e che chiede a gran voce libertà. E non sappiamo se il modello di libertà che hanno in mente sia quello del 1925 oppure qualcosa di più recente, della repubblica di Salò. E i paradossi non sono finiti. Il fattore k rosso si applicava a un PCI che dopo il golpe cileno aveva rinunciato a velleità rivoluzionarie con la sentenza di Berlinguer: “con il 51% non si governa”. Dall’altra sponda anche un personaggio discusso come Andreotti alla domanda di cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto il 51% pare abbia risposto: “senz’altro molte sciocchezze”. E invece oggi non c’è politico che nella sua dotazione di retorica non si scusi di non aver potuto fare quello che voleva perché “non abbiamo mica il 51%”. Tutti, con in giusta evidenza Berlusconi e i famosi “pieni poteri” di Salvini.
Se proviamo a guardare da un’altra parte il senso di assurdo non ci abbandona. Vediamo che nel PD, che dovrebbe aver vissuto un periodo di “rottamazione”, il tesoriere, e prima portavoce dei senatori era portavoce di Cossiga ai tempi del delitto Moro (noi sessantenni eravamo al liceo). Evidentemente il rottamatore ha avuto una minore intransigenza con i democristiani. E non basta: l’unico rinnovamento della classe dirigente che abbiamo visto è stato opera di un comico di Canzonissima e un imprenditore talmente visionario che avrebbe avuto l’idea di abbinare la politica al televoto (già noto ai tempi di Canzonissima) per generare la democrazia diretta dei tempi di Pericle. C’è da riconoscere che anche solo per la legge dei grandi numeri un miglioramento si è visto: una preside alla scuola, un medico alla sanità. Ma è troppo poco: la sostituzione di una classe dirigente non può essere dedicata al caso. La classe dirigente affidata al sorteggio o al caso che ha proposto Grillo di fatto l’ha già realizzata lui, e il risultato non pare granché.
Ecco perché non si può votare. Ecco perché c’è bisogno di Mario Draghi. Non si può votare almeno fino a quando il campo di gioco della politica non sarà ripulito, il piano per la prossima generazione non sarà avviato, il debito pubblico non sarà messo in sicurezza. Insomma, fin quando la macchina sarà stabile e guidabile, docile da tenere in strada anche per chi la macchina l’ha quasi mandata a sbattere. Se poi quelli che non l’hanno saputa guidare si facessero anche da parte, potremmo accantonare anche il nuovo fattore k: in attesa del prossimo, magari.
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