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Perché non ricordiamo alla Germania di quando le fu dimezzato il debito?

1 Luglio 2015

È il 27 febbraio del 1953.
Le delegazioni di una manciata di paesi creditori della Germania si riuniscono a Londra per firmare un accordo nel quale viene cancellata con un colpo di spugna metà del debito pubblico estero tedesco (si intende ovviamente quello dell’allora Germania Ovest). Una manovra complessivamente da 15 miliardi di Deutschmarks su un totale di 30 miliardi.
Fra i paesi che accettarono quell’imponente cancellazione c’erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia ed anche l’Italia di De Gasperi. C’erano poi la Spagna, il Belgio, la Danimarca, l’Irlanda ed altri ancora.
E c’era anche la Grecia.
L’accordo, davvero storico per importanza, copriva non solo il debito pubblico statale ma anche buona parte dei debiti contratti dai privati e dalla società civile, regalando una vera e propria boccata d’ossigeno al paese sia dal punto di vista economico che sociale.
Dopo il 1953, anche altri paesi firmeranno il protocollo per dimezzare il debito tedesco: l’Egitto, l’Argentina e persino paesi africani come il Congo Belga (oggi Repubblica Democratica del Congo), la Cambogia, il Camerun, la Nuova Guinea, la Federazione di Rodesia e il Nyasaland (oggi diviso in Malawi, Zambia e Zimbabwe).

 

Il debito pubblico tedesco, è bene ricordarlo, risaliva quasi interamente a due periodi storici ben delimitati: gli anni successivi alla prima guerra mondiale, e poi quelli successivi alla seconda.
Circa la metà di esso derivava infatti dai prestiti che la Germania aveva dovuto richiedere durante gli anni ’20 del Novecento (dunque ai tempi della Repubblica di Weimar), al fine di pagare i debiti stabiliti nel 1919 dal durissimo trattato di Versailles. Si trattava in altre parole del lascito delle colossali “riparazioni”, ovvero i danni di guerra imposti al paese dagli stati vincitori dopo la sconfitta patita dalla Germania nel primo conflitto mondiale.
L’altra metà del debito, ancora più sostanziosa, era invece legata alle enormi spese di ricostruzione che si erano rese necessarie a seguito della devastazione generata dalla seconda guerra mondiale.

 

Per questo, all’inizio degli anni ’50, la situazione era ormai diventata insostenibile.
Nel 1952, il debito della Germania detenuto da paesi esteri ammontava al 25% circa del reddito nazionale annuo. Si tratta di una cifra relativamente contenuta rispetto a quelle a cui siamo abituati oggi, eppure gigantesca per i parametri economici degli anni ’50.
La delegazione inviata dalla Germania alla conferenza di Londra, indetta proprio per ridiscutere il debito estero tedesco, sostenne quindi la tesi che i rimborsi di una cifra così massiccia avrebbero bloccato l’economia dell’intero paese per decenni, rendendo di fatto impossibile il pagamento di quanto dovuto ai creditori in tempi ragionevoli. La delegazione richiese quindi agli altri paesi un approccio più “morbido” alla questione, facendo leva sia sul fattore umanitario che su quello utilitaristico: con un dimezzamento del debito la ripresa economica tedesca sarebbe stata più rapida ed avrebbe consentito di saldare la parte residua del debito e dei suoi interessi in tempi molto più brevi.
Dopo giorni di discussione le richieste della Germania, in grande spirito di solidarietà, furono accolte da tutti gli stati presenti.

 

Le previsioni della delegazione tedesca, giudicate da qualcuno eccessivamente ottimistiche, si rivelarono corrette.
In seguito al dimezzamento del proprio debito, la Germania dell’Ovest visse un vero e proprio “miracolo economico”, trainato da una vasta opera di ricostruzione, da forti incrementi al reddito dei lavoratori e soprattutto dal boom delle esportazioni. Già a metà degli anni Sessanta le eccedenze commerciali della Germania dell’Ovest permisero il rimborso totale del debito verso i paesi creditori.
Cosa ancor più importante, questa stabilità economica contribuì in maniera fondamentale alla pace e alla prosperità in Europa occidentale, che in effetti conobbe un periodo di benessere generalizzato e di diffusa crescita economica.
I creditori della Germania Ovest, d’altronde, furono ben disposti a stabilizzare il quadro politico ed economico del paese anche per rafforzare quello che era considerato il bastione del mondo occidentale contro il comunismo. La Germania dell’Ovest doveva essere la vetrina scintillante del blocco Nato: l’imperativo era quello di abbagliare i vicini stati sovietici al fine di rendere chiaro (ed ingigantire) il “gap economico” che si andava allargando tra i paesi filo-americani e quelli del Patto di Varsavia. Questo fine politico, unito ad un genuino desiderio di pace e di solidarietà, spinse i creditori europei ed africani ad affrontare con un approccio veramente illuminato la questione del debito tedesco. Un approccio che, come visto, si risolse in un pieno successo.

 

Un approccio, viceversa, che purtroppo è stato sempre meno presente nelle crisi di debito dei decenni successivi. Penso a quelle dell’America Latina e dell’Africa (anni ’80 e anni ’90) o a quelle più recenti di Russia ed Argentina (a cavallo del nuovo millennio). Ma soprattutto, è un approccio che sembra totalmente assente oggi, proprio nella crisi dei debiti che ha colpito il cuore dell’Europa (e forse non è privo di significato ricordare che lo stesso termine “Europa” deriva dal greco antico “Ευρώπη”).
In tutte queste situazioni, in effetti, la Germania si è trovata nel ruolo di creditrice, ed ha sempre mostrato ben poca apertura verso soluzioni “morbide” o “umanitarie” quali furono quelle di cui lei stessa beneficiò appena sessant’anni fa. Un atteggiamento che mi pare frutto di scarsissima memoria storica, oltre che poco lungimirante.

 

Il caso degli accordi sul debito di Londra del 1953 dimostra in maniera chiarissima che i governi europei sono perfettamente in grado di risolvere una crisi da debito coniugando giustizia sociale e ripresa economica. Ne sono in grado perché lo hanno già fatto in passato, e con ottimi risultati per tutte le parti in causa. Una lezione esemplare, che sarebbe utilissima per risolvere l’attuale crisi del debito greco ed evitare così le gravi conseguenze che senz’altro produrrebbe la cosiddetta “Grexit”.
Ma è una lezione che sembra ormai dimenticata.
Come scriveva il filosofo tedesco (!) Hegel: “Ciò che l’esperienza e la storia ci insegnano è questo: che uomini e governi non hanno mai imparato nulla dalla storia, né hanno mai agito in base ai principi da essa dedotti.”
La Germania, per due volte nel secolo scorso, ha sperimentato una miseria tale da far impallidire quelle che oggi sono le pur gravi difficoltà del popolo greco. Ed è triste che di questo suo passato oggi conservi così poca memoria. Mentre, va detto, il popolo tedesco ha grande coscienza degli orrori del nazismo e della macchia indelebile che questo ha portato sulla sua storia, e la affronta con grande civiltà e dignità, buona parte dei loro attuali esponenti politici sembrano oggi molto più restii a riconoscere che è anche grazie all’aiuto economico di cui hanno beneficiato nel momento di più grande difficoltà della loro storia che oggi sono divenuti la prima potenza economica europea.
Forse sarebbe il caso, per il bene della Grecia, e probabilmente di tutta l’Europa, che qualcuno trovasse finalmente il coraggio di ricordarglielo.

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