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Perché le agenzie di rating sono buone con l’Italia come con Lehman?

27 Ottobre 2018

Le perverse agenzie di rating nel 2008 non declassarono Lehman fino al giorno del default, che “infinite addusse” perdite ai risparmiatori di tutto il mondo. Le sagge agenzie di rating oggi non infieriscono su un paese che ha prodotto una manovra finanziaria provocatoria, servita con contorno di provocazioni verbali giornaliere. Ma allora le agenzie di rating sono buone o cattive? Sono giuste o ingiuste? Corrette o corrotte? La risposta immediata pare semplice e la trovate ogni weekend in ogni bar, o nel Viola Club dove vedete la partita (inserite il vostro colore preferito). L’arbitro è venduto se vi fischia contro ed è un occhio di falco se vi fischia a favore. Ma questa ovvia similitudine non calza alla perfezione. Qui ognuno è portato a tifare per la sua squadra e contro allo stesso tempo, perché è sia cittadino che risparmiatore. Per questo è molto importante conoscere le regole del gioco e provare a interpretare le decisioni. E il caso Lehman offre un parallelo importante, anche se un po’ inquietante, per il caso Italia.

Nel week-end di San Patrizio di marzo 2008 ero a New York in visita a Bloomberg, ed il capo dei quant di allora mi fissò un appuntamento con Lehman per il lunedì successivo. L’appuntamento saltò perché nel week-end si scatenò la crisi di Bear Stearns, una delle prime quattro banche di investimento del mondo. Bear Stearns venne salvata attraverso l’acquisizione da parte di JP Morgan. Si diceva allora che uno dei motivi del salvataggio fu che dietro un default di Bear Stearns ci sarebbe potuto essere quello di Lehman. E in effetti gli indicatori di rischio di Lehman presero a migliorare, pur sempre con valori dei CDS (lo spread, per intenderci), molto alti. Fino a un altro week end di metà mese, in settembre: quello che portò al default di Lehman il lunedì 15. E nel giorno in cui Lehman andò in default (Chapter 11) il suo rating era ancora A-. Da qui le polemiche e le liti giudiziarie che seguirono in tutto il mondo, nostro paese compreso.

La situazione in cui oggi le agenzie di rating si sono trovate a rivedere il giudizio sul debito italiano presenta caratteristiche simili. In particolare, come nel caso Lehman colpisce l’incoerenza tra la valutazione delle agenzie di rating e quelle del mercato, molto più severe. Questo salta all’occhio immediatamente se confrontiamo l’Italia con il Portogallo. Il Portogallo è valutato dalle agenzie di rating uno scalino sotto a noi, BBB-. I mercati al contrario ci trattano largamente peggio del Portogallo. Il nostro spread dei CDS a 5 anni è 2,72% contro 1,04% del Portogallo, che significa una probabilità di default del 4,5% all’anno (20% entro 5 anni) per noi, contro una probabilità di default dell ‘1,7% l’anno (8% entro 5 anni ) del Portogallo. Quant’è buona quindi S&P con noi, come cittadini. Ma sarà stata altrettanto perfida con noi come risparmiatori, come lo fu con i risparmiatori di Lehman, se si verificherà lo scenario di default che i mercati si aspettano.

Il parallelo tra agenzie di rating e un arbitro di calcio diventa addirittura inquietante se considera che in entrambi i casi possiamo usare il VAR per correggere un evidente errore di valutazione.  Nel caso della finanza il VaR (con la “a” minuscola, perché è l’acronimo di Value-at-Risk) è una misura che viene utilizzata dagli inizi degli anni 90 per valutare la quantità di capitale da usare per garantire un investimento,  requisito  di capitale che oggi è imposto dalla regolamentazione delle banche. A questo proposito il numero che è emerso su un giornale in questa settimana è particolarmente inquietante. Per garantire un investimento di 250 000 euro di titoli di stato italiani una banca dovrebbe oggi accantonare 21 000 euro di capitale. Per garantire la stessa quantità di investimento in titoli di stato tedeschi la somma da accantonare dovrebbe essere 1 600 euro.  Ed è inutile dire che oggi, come è sempre stato, ma più di ieri, i titoli di stato italiani sono detenuti da banche italiane. Più capitale impiegato per garantire i titoli di stato significa meno capitale  per garantire i prestiti all’economia reale. Quindi, come lo spread, anche il VaR dice: addio speranze di crescita. E come il VAR del calcio, il VaR della finanza indica un “grave errore” dell’arbitro, le agenzie di rating.

Ma la domanda è: perché le agenzie di rating hanno un occhio di riguardo per noi come l’hanno avuto con Lehman nel 2008? C’è un motivo razionale per cui siano portate a sottovalutare il giudizio dei mercati? L’unica spiegazione che viene in mente è che nel loro giudizio tengano conto della dimensione del debitore che stanno giudicando. No, stavolta il calcio non c’entra, non è “sudditanza psicologica”. Stavolta si tratta del calcolo razionale che sia Lehman un tempo come la Repubblica Italiana oggi, siano “troppo grandi per fallire” (“too-big-to-fail”): che il loro default sia uno shock così grande per tutti che alla fine sarà evitato. Un calcolo che venne smentito dalla realtà nell’arco di un week-end nel 2008, e che invece speriamo (come tifosi, cittadini e risparmiatori) sia confermato dalla realtà futura della situazione italiana. Non sarebbe la stessa cosa se noi fossimo il Portogallo, e questo spiega la differenza di trattamento.

Una differenza notevole tra il tempo di Lehman e i giorni nostri è che allora gli spread di tutte le grandi banche di investimento erano a livelli da incubo, e da un anno si discuteva della possibilità di lasciar fallire una grande banca per dare una lezione al mercato e un segnale che nessuno è protetto dalla sua grandezza. Quindi, le agenzie di rating avrebbero dovuto declassare tutti o nessuno. Ogni banca avrebbe potuto essere la mela marcia da lasciar cadere dall’albero. Oggi i mercati dicono invece che l’unica mela marcia in Europa siamo noi. E a maggior ragione le agenzie di rating sono portate a scommettere a favore di una forma di salvataggio finale di capre e cavoli (Italia ed Europa).

In conclusione, le agenzie di rating hanno preso una posizione razionale a favore dell’Europa, al di là della vicenda della approvazione o meno della manovra. Il giudizio è che nel medio periodo l’Europa possa essere in grado di assorbire l’infezione populista: la rivolta dei Menenio Agrippa di Europa che predicano che una parte del corpo debba per forza venire prima delle altre, portando ovviamente allo smembramento di tutto il corpo e delle sue parti. E noi da che parte stiamo? Con l’arbitro (le agenzie di rating) o con il pubblico (i mercati)? Difficile dirlo, perché parleremmo sia da esperti che da tifosi. Da tifoso ha parlato esplicitamente Mario Draghi, ed è stato subito rimbrottato da uno stewart che non ha capito le sue intenzioni. Meglio quindi tacere e seguire la partita.

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