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Perché il crowdfunding per la Grecia è un errore
Chiariamoci subito: mettere in piedi un crowdfunding per sostenere la Grecia è un’iniziativa bellissima. Perché nasce da un 29enne commesso inglese in un negozio di scarpe – che, stando agli accordi col sito, restituirà tutto se la cifra non sarà raggiunta -, perché in due giorni ha raggiunto la cifra di 700mila euro, perché mostra tutte le potenzialità dell’attivismo via internet. Ovviamente, è impossibile raggiungere la cifra di un miliardo e 600 milioni di euro che sarebbe necessaria; ma chissà cosa sarebbe successo se invece di venire lanciata last minute la cosa avesse avuto mesi e mesi per diffondersi. Così com’è, resterà una bellissima iniziativa importante da un punto di vista simbolico. Nonostante tutto ciò, questa iniziativa è tanto bella quanto sbagliata.
Da dove arrivano i soldi che la Grecia deve rimborsare? In larga parte, dai governi. Vale a dire che quei soldi sono stati prestati alla Grecia dagli stati, dalle banche centrali, dai contribuenti. In un certo senso, abbiamo già fatto la nostra colletta in favore della Grecia.
È corretto che il contribuente si faccia carico due volte, la prima indirettamente e la seconda volontariamente, tramite donazione, del debito di un paese? In casi di emergenza estrema, quando di mezzo non ci sono tecnicismi economici ma persone in serissima difficoltà, si potrebbe anche pensare che un’iniziativa del genere sia comunque opportuna.
Il problema è che si andrebbe a creare un precedente molto pericoloso, che aprirebbe la strada alla deresponsabilizzazione di creditori e debitori.
Un esempio può aiutare a fare chiarezza (per quanto non c’entri con la Grecia) e riguarda Cecilia Strada, presidente di Emergency e figlia di Gino. Qualche tempo fa ha fatto molto scalpore la sua dichiarazione sui profughi: “Non li ospiterei a casa mia”. Dichiarazione che ha subito scatenato le polemiche dei quotidiani di destra che si sono scagliati contro la (secondo loro) “solita sinistra al caviale solidale solo a parole”.
In verità, il concetto espresso da Cecilia Strada era molto più significativo: “Vivo in una società e pago le tasse. Pago le tasse così non devo allestire una sala operatoria in cucina quando mia madre sta male. Pago le tasse e non devo costruire una scuola in ripostiglio per dare un’istruzione ai miei figli”.
Nel caso dei profughi, il rischio è che gli stati si sentano deresponsabilizzati, che non utilizzino le tasse per creare un sistema di accoglienza, ma che scarichino su di noi il dovere dell’accoglienza che invece spetta a loro. Nel caso degli stati, il rischio è che si prestino soldi a nazioni in difficoltà senza sentire il bisogno di chiedere le necessarie garanzie perché tanto poi, se le cose andranno male, ci penserà una colletta a risolverle.
Lo stesso vale per questo crowdfunding: noi finanziamo le spese del nostro stato pagando le tasse e gli prestiamo soldi a interesse comprando titoli di stato. Con questi soldi, il nostro governo ha l’obbligo o la facoltà di aiutare altri paesi, com’è stato, per farla semplice, anche nel caso greco.
Se si vuole davvero aiutare la Grecia, allora avrebbe più senso mettere in piedi una discussione generale per valutare l’ipotesi che l’Italia rinunci alla sua parte di debito greco. Cancelliamo il debito, piuttosto, una spesa che, secondo calcoli che si trovano in rete, sarebbe all’incirca di 600 euro a testa per ogni italiano. Questo sarebbe un atto di un’intera società che prende una decisione.
Non si può pensare che il debito venga ripianato dalla beneficenza. La beneficenza bisogna conservarla per chi non riceve aiuto dalle nostre tasse, per i senzatetto che vivono per strada e non hanno nessun diritto, per le adozioni a distanza che permettono di ricevere un’istruzione a chi vive in paesi che non offrono opportunità.
O si pagano le tasse, o si vive di donazioni libere e volontarie. Come vorrebbero alcuni individualisti libertari radicali, che seguono il mantra del “con i miei soldi ci faccio quello che voglio io”. Compreso decidere se aiutare o meno chi ne ha bisogno (cancellando quindi la redistribuzione della ricchezza). Ma se si vuole creare una società armoniosa è attraverso il contributo di tutti, gestito dallo stato, che bisogna passare per aiutare strutturalmente chi ne ha bisogno, non attraverso le donazioni libere, non attraverso il crowdfunding.
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