UE

‘Non è più la Cool Britannia’. Pensieri di una coppia di expat

1 Luglio 2016

E’ passata una settimana abbondante da quando la Gran Bretagna ha scelto di poter fare a meno dell’Unione Europea. La Brexit – tanto evocata e altrettanto demonizzata – è divenuta realtà. Nel frattempo la sterlina è indietreggiata pesantemente. I mercati hanno ceduto e sono rimbalzati senza una linea precisa. Le agenzie di rating hanno rivisto i propri giudizi su Londra e Bruxelles e il mondo ha iniziato a interrogarsi, senza tregua, su quali possano essere le conseguenze economiche, sociali e politiche del referendum britannico.

Negli ultimi otto giorni, c’è chi ha attaccato la ‘Generazione Beatles’- ossia gli anzianotti inglesi – accusandola di avere scelto il ‘leave’ – pregiudicando il futuro dei giovani più propensi al ‘remain’- anche se, poi, non era tanto vero. C’è chi si è convinto che gli inglesi non sapessero cosa stessero votando vista l’impennata, a giochi fatti, delle ricerche sulla Ue registrate da Google anche se, poi, non era tanto vero nemmeno questo. C’è chi ha visto nell’espressione popolare inglese la giusta risposta a un’Europa che si preoccupa più della grandezza delle vongole che dei suoi cittadini e chi, invece, a ‘sto punto, non vedrebbe male il ritorno all’oligarchia.

Di fronte a tutto questo, persuaso che tutto sommato, al momento, la risposta più saggia a quali siano le conseguenze della Brexit su tutti noi, sia un sano, grande ‘Boh’, ho provato a chiedere lumi, al riguardo, a una coppia – Alberto e Ilaria, riccionese lui, bolognese lei – che da quasi venti anni vive in Inghilterra a due passi da Oxford. Due ‘expat’ di lungo corso – non due della nouvelle vague di quelli partiti per crisi o per moda – che hanno visto cambiare l’isola sotto i loro occhi passando dalla ‘Cool Britannia’ di Tony Blair alla stagione dello Ukip di Nigel Farage.

“Quando sono arrivato si era in piena epoca Blair e nel corso degli anni il Paese si e’ progressivamente spostato a destra – racconta Alberto, nel Regno Unito dal ’99, software engineer presso una ditta che sviluppa soluzioni per la sicurezza informatica -, le tensioni all’interno del Paese si sono accentuate, specialmente in corrispondenza di eventi di grande risonanza come ‘Nine-Eleven’, le guerre in Medio Oriente, gli attacchi terroristici del 2005 e la stretta economica conseguente la crisi del 2008. La popolazione – aggiunge – si sente sempre meno rappresentata visto che i governanti escono comunque dalle elite. Ovviamente, anche il risultato del referendum, lo interpreto molto come una conseguenza di questa disaffezione, più che una scelta ragionata sui pro e contro della membership”.
“Al mio arrivo all’Università di Oxford nel ’96 – spiega Ilaria, che lavora nell’editoria e si occupa di riviste accademiche di archeologia e scienze politiche – “sono rimasta attonita da quanta gente particolarmente intelligente ho incontrato, ma anche da quanto fosse interessante parlare con gente di altre culture, Paesi, religioni, storia. Mi sono sentita estremamente arricchita da questo, forse perché nell’ambiente universitario era facile sentirsi parte di un unico ‘ente’ e continuare a mantenere la nostra identità sociale e culturale. E’ solo quando ci si apre agli altri e ascoltare come vivono che ci si riesce veramente ad arricchirsi a vicenda: è molto triste che altri non riescano a vedere il contributo che porta il multiculturalismo alla società in cui viviamo”.

Guardando alla Brexit dall’Italia molti imputano la scelta inglese all’eccesso di burocrazia di Bruxelles e alla lontananza delle istituzioni europee rispetto alla popolazione. Guardandola dall’Inghilterra?

“Movimenti o partiti come Ukip che hanno praticamente come unico punto nel loro programma di fermare l’immigrazione – argomenta Ilaria – hanno ottenuto quello che volevano (in teoria) e secondo alcuni non hanno più ragione di essere. La campagna, come hanno notato stampa britannica e estera, è stata senza scrupoli strumentalizzando nostalgie colonialistiche (‘Let’s take our country back’, qualunque cosa voglia poi dire in pratica) con disinformazione bella e buona: “siamo stufi di farci governare da gente non eletta”, hanno detto, quando la Camera dei Lords non è eletta, la Regina nemmeno e i parlamentari europei lo sono”. Per converso, sottolinea nuovamente Ilaria, “il lato’ remain’ e’ stato particolarmente debole, puntando solo sui disastri che sarebbero successi in caso di una uscita e che sono stati dismessi dagli altri come allarmismi”.

“Per quanto ricordo – puntualizza Alberto – Cameron, avendo notato il pericoloso spostamento del Paese verso forze disgregatrici come Ukip alle ultime elezioni, o le velleità indipendentiste della Scozia, aveva promesso di dare voce al paese attraverso il referendum. Ai tempi, la vittoria del ‘remain’ era presa per scontata. Poi una mescolanza di fattori hanno facilitato l’ascesa del fronte dell’uscita”. Fattori come “ la distanza dei ‘burocrati’ di Bruxelles e la percezione della loro ingerenza sugli affari nazionali; la burocrazia a cui alcuni settori dell’economia devono sottostare per obbedire le regole dell’Unione Europea; un nazionalismo rivitalizzato da un bieco populismo che ha utilizzato metodi quanto meno discutibili; una sorta di paura di perdere l’identità nazionale causata dall’immigrazione; nostalgia dei tempi che furono, e questa è sempre stata una caratteristica del popolo inglese, e la sconsiderata campagna del ‘remain’ che si è concentrata sulle conseguenze nefaste che verrebbero causate dalla uscita, piuttosto che sui vantaggi e su quello che l’Europa ha fatto per noi”.

Davvero c’è una spaccatura tra vecchi e giovani?

“ I dati demografici – racconta ancora Ilaria – confermano che i giovani hanno votato ’remain’, e gli anziani ‘leave’. Però troppo pochi giovani hanno votato, e quindi la loro influenza non è stata sufficiente a controbilanciare i ‘leave’. Molti giovani intervistati hanno espresso il loro disappunto per una decisione che influenzerà le loro vite molto di più di gente più anziana, e soprattutto i giovani di 16-17 anni che a questo referendum non hanno potuto partecipare mentre a quello di due anni fa sull’indipendenza della Scozia si”.

Siete preoccupati per la vostra posizione?

“In realtà’ no, non credo che sia possibile mandare via un milione di persone da un giorno all’altro, e per fortuna posso ragionevolmente pensare che sia possibile trasferirmi in uno qualunque degli altri 27 paesi della Ue – considera Ilaria -: quello che mi preoccupa di più, e molto, e’ l’ondata di razzismo ignorante che questo referendum ha scatenato. Il giorno dopo il referendum ci sono stati casi di gente (inglese) apostrofata da “tornatevene a casa vostra’, e scritte razziste in un centro culturale polacco”.

“Emotivamente – argomenta invece Alberto – sono scosso, anche a causa delle manifestazioni di intolleranza che sono saltate agli onori della cronaca immediatamente dopo la vittoria del ‘leave’: sembra che il risultato abbia sdoganato la rabbia della gente, e il bersaglio più facile ovviamente sono quelli che vengono visti come coloro che hanno il l:avoro che è stato ‘tolto’ ai locali. Per fortuna finora la cosa non mi ha toccato personalmente (alla fine l’Oxfordshire è una delle poche contee inglesi dove il ‘remain’ ha stravinto). Ovviamente non si sa cosa succederà, ma razionalmente conto sul fatto che, avendo vissuto qui quasi 17 anni, ci sarà reso possibile regolarizzare la nostra posizione. Sempre che il clima nel frattempo non cambi a sufficienza da farci decidere di andarcene”.

Brexit: errore o cosa che potrà cambiare l’Europa in meglio?

“Errorissimo! – taglia corto Ilaria -: ha vinto il provincialismo che pensa sempre di essere migliori degli altri e che altri, perché hanno un nome diverso e un accento che non riconosci, siano lì solo per rubarti il lavoro o violentare tua moglie. Già questo potrebbe essere la fine del Regno Unito come lo conosciamo (Scozia e Irlanda vogliono rimanere in Europa e questa è un’ottima occasione per finalmente riuscire a ottenere la loro indipendenza), per non parlare degli altri Stati. Come hanno detto altri, se Trump, Putin, la Le Pen considerano questa una vittoria, questo già la dice tutta. Come dicevo prima, mi intristisce il fatto che l’Inghilterra sia diventata così chiusa a quello che la rendeva unica, il suo essere una melting pot e cosi’ cosmopolita. Londra riesce a mantenere una sua identità’ pur avendo gente di tutte le culture ed e’ ciò che la rende unica e all’avanguardia”.

L’uscita dalla Ue, osserva Alberto, “ovviamente è un segnale d’allarme molto forte. Le istituzioni europee hanno bisogno di un programma di public relations per ‘vendersi’ meglio presso le popolazioni dei singoli Paesi. La percezione che siano una manica di burocrati che pensa ai fatti propri deve essere sfatata, o, nel caso contrario, evidenziata da fatti piuttosto che lasciare fermentare un sentore di pancia solo perché si ha bisogno di un capro espiatorio per i propri guai. Se poi – conclude – suddette istituzioni debbano essere riformate per gestire meglio situazioni come quella greca, o quella dell’immigrazione, o dei rifugiati, per far sì che la risposta sia univoca e coerente, e nell’interesse del benestare della popolazione, beh allora ben venga questa scossa, per quanto dolorosa possa essere”.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.