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Next Generation Fund: ora “sta in noi”, ma in che senso?

28 Maggio 2020

La mossa di Ursula Van del Leyen fa esultare i convinti europei come il sottoscritto, quelli che ormai non si sarebbero più aspettati di vedere, ancora vivi, l’Europa riaffacciarsi alla finestra e alzare la testa. Come italiano, però, la proposta francotedesca mi mette i brividi perché ora, come diceva qualcuno, “sta in noi”. Un’espressione da paludato banchiere centrale che ha sempre stuzzicato il mio umorismo fiorentino per il suo doppio senso di richiamo alla responsabilità e rischio di una penetrazione indesiderata (come in una novella del Decamerone moderno), e che mi sembra la paurosa domanda di oggi.

“Sta in noi” preparare piani di impiego (che è qualche cosa di più della “spesa”) dei fondi che bene o male arriveranno dall’Europa, dopo che i “frugali” avranno avuto il contentino da sventolare ai sovranisti del nord (molto più a nord di Pontida) che li hanno messi in sella. Impiegare non significa spendere: questo è il problema. Ma il timore è che il nostro paese non sappia più neppure spendere. E’ il timore naturale che emerge da una classe politica che ha speso troppo e male, che non ha mai pagato un prezzo politico e che non è stata sostituita dopo la crisi del 2011-2012. E i nostri Cadorna sono sempre in pista, sbraitando contro complotti che avrebbero scatenato la loro (pardon, la nostra, non loro) Caporetto. Il timore poi diventa terrore se mettiamo in conto che proprio a loro tocchi spendere (che è qualche cosa di meno che impiegare) i fondi che arriveranno dall’Europa.

Noi non abbiamo cambiato la nostra classe politica. Chi ha portato l’Italia a Caporetto aspetta di ritornare a capo delle truppe. Una leader che sedeva a Palazzo Chigi quando venne disegnato il fondo salva-stati, senza aver evidentemente capito cosa fosse, e oggi sbraita contro evocando il sangue degli italiani, certamente non dei suoi “fratelli”, oggi tira fuori i Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale. A me i Diritti Speciali di Prelievo li ha spiegati Mario Draghi all’università, e mi risulta che siano parte delle valute di riserva. E mi risulta che le riserve le detengano le banche centrali, non i governi: e per fortuna, c’è da dire.

Poi c’è il geniale piano del “partito di maggioranza nel paese”, pare su suggerimento di quello che era a via XX settembre prima di Caporetto, di “BOT di guerra”. Un prestito non forzoso, vantaggioso, riservato agli italiani? Perché hanno un grande patrimonio? Diciamo allora che sono i “BOT del gatto e della volpe”. Il gatto e la volpe oggi sono alla ricerca di un Pinocchio disposto a sotterrare gli zecchini, ”in modo non forzoso”, in attesa che diano un frutto “vantaggioso” per evitare che gli assassini gli impongano una patrimoniale. Bene, burattini di tutta Italia, quella del gatto e della volpe è già una patrimoniale.

Questa è l’opposizione (in parlamento) che si proclama maggioranza (nel paese). Poi c’è la maggioranza (in parlamento) che gioca a Risiko sui temi più vari, per il dovere di mostrarsi divisa di fronte a un elettorato diviso. Un governo che ha paura degli italiani, che non li vuole conquistare, li vuole tenere stretti e chiusi perché non si fida di loro, e perché teme che scappino verso qualunque Lucignolo dell’opposizione gli parli di paesi (e valute) dei balocchi.

Soprattutto, un governo che non è più in grado, per motivi “tecnici”, di spendere (anche solo spendere, senza neppure la pretesa di impiegare) i fondi che ora sarebbe libero di spendere. Un esempio macroscopico? Perché il giorno dopo la sospensione del patto di stabilità europeo non si è proceduto a saldare, una volta per tutte, il debito della pubblica amministrazione. Quale modo migliori di iniettare denaro nell’economia di pagare quello che uno stato deve all’economia stessa?

La realtà è che abbiamo talmente tanto investito in controllo della spesa (spending review) e in controlli delle procedure della pubblica amministrazione che non ce ne possiamo liberare da oggi a domani. Il paradosso è che mentre il patto di stabilità è venuto meno in Europa, è ancora vivo e operante nella nostra pubblica amministrazione. Le arterie del processo di pagamento della PA sono diventate così sclerotiche che oggi non riescono a pompare la quantità di sangue necessaria a un corpo ormai troppo debole.

Un solo esempio personale, per sdrammatizzare, di dove può arrivare il controllo della spesa. Circa un anno fa ho organizzato una Alumni Reunion degli studenti del mio corso di laurea, e ho richiesto di spendere parte dei fondi del corso stesso per acquistare magliette ricordo. Il mio controllore della spesa ha detto che questo non poteva essere giustificato sotto alcun titolo di spesa. Ho insistito e alla fine sono usciti fuori i fondi per 40 magliette dal titolo “materiale pubblicitario”. Io ne dovevo avere 60, quindi sono ricorso al mio conto in banca per le 20 rimanenti. Ma ecco che a pochi giorni dalla Reunion arriva un messaggio che non mi sarei aspettato: “professore, ovviamente le magliette le deve tenere tutte lei, perché sono materiale da riutilizzare, noi potremmo richiederglielo.” Chi mi legge dalla Corte dei Conti stia tranquillo, abbiamo fatto firmare gli studenti che la maglietta era semplicemente “in deposito” presso di loro. E io li avrei potuti rintracciare in ogni momento.  E nel caso mi prendo volentieri il danno erariale.

Se questa è la procedura per comprare delle magliette, pensate come possa essere difficile spendere i miliardi promessi del piano europeo. E allora, da sempre, governi di destra e di sinistra cercano di raggiungere l’economia reale mettendo di mezzo le banche. Lo fece Renzi per cercare di pagare i debiti della pubblica amministrazione, è stato fatto per l’anticipo volontario della pensione, viene fatto oggi per fare arrivare 25 000 euro alle aziende più deboli. L’illusione è che le banche siano istituti di beneficienza e che non esista una burocrazia bancaria arcigna e restrittiva quanto quella della pubblica amministrazione.

Infine, c’è l’Italia che discute di se stessa, da parte dei politici e dei giornalisti (due categorie con una notevole sovrapposizione), e su questo il dibattito su questa giornata è stato sinceramente allucinante. Qualcuno storce la bocca perché la proposta è stata fatta da Francia e Germania e non è stata sentita l’Italia. L’Italia non ha giocato un ruolo, si dice. E non viene in mente a nessuno che è come chiedersi perché il paziente intubato non ha partecipato all’operazione di intubazione. In realtà il fatto che la proposta venga da Germania e Francia è un capolavoro diplomatico che mette l’Italia in una posizione formidabile, quella di avere la possibilità di guarire, e di stare al riparo di chi crede che si stia fingendo malata (i frugali). E di tornare forte (e soprattutto seria) in Europa. E’ un capolavoro simile a quello di Mario Draghi quando nel settembre del 2012 propose l’OMT (il bazooka, quello vero, quello mai visto) e lo propose “condizionato” da scelte politiche.

Quindi “sta in noi”. Sta in noi, ridotti in queste condizioni. Sta in noi approfittare dell’ossigeno che verrà dall’Europa per guarire. Aprendo subito canali alternativi, nuovi rispetto alla pubblica amministrazione corrente, per fare arrivare risorse all’economia. Un anno fa la sensazione è che l’Europa ci avrebbe lasciato andare perché provassimo a regolare i conti tra di noi, senza più gli alibi dei nemici esterni. Oggi invece ci vuole in Europa. Questa è una volontà di legare il destino dell’Europa a quello dell’Italia. Se disperderemo questa opportunità, stavolta forse avremo disfatto anche l’Europa. E in quel caso politici e commentatori potranno congratularsi: l’avremo fatto da protagonisti.  E starà in noi.

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