Partiti e politici

Mario Draghi e l’arte di stare un passo indietro alla politica

6 Marzo 2021

Draghi sorprende sempre, e riconosco che Draghi ha sempre sorpreso anche me. Nonostante sia stato suo allievo le sue scelte nel rapporto con la politica mi hanno spesso sorpreso, magari addirittura deluso a prima vista, ma col senno di poi quelle scelte hanno sempre rivelato un carattere che a prima vista non avevo notato, e che mi fanno intravedere un’impronta di genialità, come una grande mossa di scacchi. Oggi però sono vaccinato, almeno su questo. Vedere Brunetta ritornare allo stesso posto che occupava nel 2011 mi ha dato solo un transitorio mal di stomaco e un leggero mal di testa. Vorrei qui mettere a disposizione un po’ dei miei anticorpi per chi li voglia utilizzare per una lettura dell’esperienza Draghi.  E la chiave di lettura è semplice. Il segreto di quella genialità non ha niente di esoterico e di studiato ed è in una delle prime parole che Draghi ha utilizzato dopo l’incarico: rispetto per la politica.

Mi è tornata in mente in questi giorni una domanda che uno di noi gli pose durante una lezione quaranta anni fa. Nell’aula del Cesare Alfieri eravamo una decina a seguire le sue lezioni e l’ambiente era informale, e uno gli chiese qualcosa sull’impegno politico e su una sua possibile scelta di scendere in politica. Lui si schermì, come a dire che non era roba per lui e invece di parlare di sé parlò di Andreatta. Parlò dell’impegno di tempo e denaro che la politica richiede. Ricordo che fece anche una battuta del tipo: gira sempre di continuo e a spese sue. Quando il primo giorno del suo incarico ha parlato del rispetto con cui un tecnico si deve rivolgere alla politica mi è tornata in mente, sebbene estremamente sfuocata, quella risposta su Andreatta, e ho capito oggi il rispetto e l’ammirazione che manifestava per lui.

Trenta anni dopo, nel giugno del 2011, quando prese la guida della BCE, gli mandai l’augurio di essere un nuovo Altiero Spinelli, in un momento in cui si cominciava a intravedere che la crisi del debito sovrano che aveva già incendiato la Grecia si sarebbe trasferita all’Italia. Quando il giorno dopo mi ringraziò per gli auguri io mi stavo chiedendo se non avessi confuso ruoli diversi: un tecnico e un politico. Avevo augurato a un grande tecnico di realizzare il progetto di un grande politico. Il famoso “whatever it takes”, un anno dopo, mi dette una conferma di quello che può fare un tecnico, ma circa tre mesi dopo Draghi mi sorprese per la prima volta. Per la prima volta ho provato quella stessa sensazione che molti hanno avuto il giorno della composizione del governo.  Tutto qui? Dov’è il cambiamento?

Il tema è tecnico, ma vale la pena di spiegarlo perché svela il rapporto tra Draghi e la politica. In realtà, il “whatever it takes” da solo non avrebbe risolto il problema del rischio di dissoluzione dell’Euro che allora aleggiava in Europa. Quella famosa frase era una promessa, o una minaccia, che Draghi mantenne in autunno. Draghi fece approvare un particolare tipo di intervento, denominato OMT (Outright Monetary Transactions) che ebbe l’effetto di scoraggiare attacchi speculativi contro i paesi dell’area Euro e la loro moneta. In questo programma, che non è stato mai utilizzato e che per noi tecnici è il vero “bazooka” di Mario Draghi, la BCE avrebbe potuto comprare quantità arbitrarie del debito di un paese in difficoltà, una volta che lo avesse ritenuto giusto, ma soprattutto: a condizione che la politica, nei suoi principali organi europei, avesse dato la sua approvazione a un progetto di risanamento.

In un primo momento il fatto che questo intervento di salvataggio fosse subordinato a un’iniziativa della politica mi trasmise un senso di delusione. Perché aspettare il via libera della politica per difendere l’Euro, se era chiaro che la politica non riusciva a difenderlo? In un primo tempo, interpretai questo risultato come una mediazione. Un po’ come quelli che oggi sostengono che la presenza di politici che non ci aspettavamo all’interno del governo Draghi siano frutto di una mediazione con la politica. Poi mi resi conto che non necessariamente si trattava di una mediazione, ma senz’altro di un gesto geniale. La BCE si metteva un passo indietro rispetto alla politica, pur mantenendo la propria indipendenza. In questo modo rafforzava la politica degli europeisti, senza fare politica, ma rimanendo a disposizione di essa.

Le vicende di oggi mi consentono di riprendere ancora quel mio giudizio e di metterlo ancora più a fuoco. Secondo me sbagliano quelli che vedono un governo di tecnici che tiene in ostaggio i politici o che è il frutto di una mediazione tra tecnici e politica. La parola chiave è: rispetto. E’ il rispetto per la politica di cui ci parlava a proposito di Andreatta ed è il rispetto per la politica anche in un’Europa profondamente divisa tra stati. Il problema della politica di oggi è che è fatta di eccellenti venditori, ma da troppi anni in nessuno dei partiti c’è un processo di produzione di politica. Per questo Draghi e i suoi tecnici si pongono un passo indietro rispetto alla politica, fornendo un servizio di supplenza in questo ruolo di produzione. Per questo Draghi rinuncia all’esposizione dei provvedimenti, lasciando che questa venga fatta dalla politica. In un mondo in cui alla politica si chiede essenzialmente di comunicare, Draghi non si sostituisce nella comunicazione, perché il suo ruolo è produrre la politica. In questo rifiuto di sostituirsi alla politica il suo rapporto con essa è molto diverso da quello di altri tecnici come Conte e Monti.

Resta solo un dubbio per il futuro della politica dopo Draghi: cosa succederà a questa produzione di politica trasversale? Diventerà proprietà di una parte di quella che oggi è la maggioranza? Si specializzerà in forme e su temi diversi per partiti diversi? Oppure i partiti continueranno a vendere politica senza curarsi di produrla? Purtroppo non si vede all’orizzonte un rinnovamento della classe politica, e soprattutto la formazione di una classe che produca politica, che richiede tempo. Questo è un elemento di pessimismo. A meno che i tecnici di Draghi non restino loro stessi nella politica, ma sempre rigorosamente un passo indietro.

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