UE
Macron ha vinto: la grande paura è passata, il grande pericolo no
Respirate. Respiriamo. Assieme all’Europa di chi ha ancora fiducia in questo processo politico ed economico di integrazione e progresso. Assieme all’Europa di chi, come noi, crede ancora che questo vecchio e affaticato continente possa e debba, ancora oggi, svolgere un ruolo di guida nel mondo, e nel Mediterraneo in generale, fondato sui valori universali di libertà, eguaglianza e fraternità. Assieme a chi, in Francia, ha ancora una volta deciso di non fidarsi della deriva estrema, estremistica, che porta come come quindici anni fa – con tutte le differenze ampiamente analizzate – il cognome Le Pen. Assieme all’establishment politico ed economico, e alla Città di Parigi, la più martoriata dal terrorismo islamista eppure la più decisa, fin dal primo turno, nell’attribuire a Macron piena fiducia per il mandato presidenziale.
Emmanuel Macron è il nuovo presidente della Repubblica francese, e lo è grazie al voto di decine di milioni di francesi che in questo secondo turno hanno deciso che era giusto dare un’altra chance alla continuità istituzionale e, anzitutto, all’istituzione dell’Europa unita. In molti si sono mossi per questo, in molti altri (anche nella sinistra euroscettica che al primo turno avevano votato per Melenchon, secondo diversi dati analizzati in questi giorni) hanno preferito invece sbarrare la strada a Marine Le Pen: con tanti saluti a chi spiegava che le categorie destra/sinistra non esistono più, e che contavano solo quelle di apertura e chiusura, globalizzazione e localismo, e che questo avrebbe favorito, a dispetto di tutti i sondaggi, proprio Le Pen.
Così non è stato, e a Macron, finita la notte di festa, sfrenata e meritata, si trova di fronte l’enorme responsabilità e il grande onore di guidare la Francia in uno dei momenti più difficili, anomali e imprevedibili della storia della Repubblica, strettamente connessa con la storia europea, e più che mai con la nostra di italiani. Uno sguardo al contesto elettorale, e a quello economico e politico in cui ci muoviamo, danno le proporzioni esatte della grande, faticosissima sfida che Emmanuel Macron è chiamato a vincere (per la Francia e anche per tutti gli altri) nei prossimi anni.
Anzitutto, il risultato di Marine Le Pen. Esce pesantemente sconfitta dal secondo turno, e su questo c’erano pochi dubbi ormai da diversi giorni tra analisti e sondaggisti seri. E tuttavia, raccoglie una quantità di voti importante, superando comodamente la misura dei 10 milioni di voti, e dimostrando quindi un potenziale espansivo importante, se commisurato ai 7,6 milioni di voti raccolti al primo turno. Naturalmente è poca cosa rispetto a quanto cresce Macron, che moltiplica i suoi voti del primo turno per due volte e mezzo, sfruttando lo spauracchio della Le Pen, la sua radice socialista, l’endorsement dello sconfitto Fillon e tutto lo spazio dell’arco costituzionale.
Ma il consenso raccolto da Marine, e l’astensione più elevata degli ultimi 40 anni a un secondo turno presidenziale, suggeriscono a Macron e all’intera Europa di essere riflessivi, e seri. L’analisi ormai stabile del voto francese, e non solo, ci dice di un’Europa che, alle prese con la crisi e la paura, che si diffonde più in fretta e con meno argini lontano dalle città e tra i ceti popolari, guarda lontano dalle tradizioni socialiste e progressiste. Guarda a destra e a chi promette di uscire in fretta dall’Europa, causa di ogni male.
Non è una questione che si risolve con due paroline, figurarsi, o con politiche facili da pescare nei manuali. È una questione che incrocia elementi sociologici, economici, una crescita che stenta, un debito (è il caso della Francia, in questo davvero parente stretta dell’Italia) che pesa sul futuro di tutti. Su questo campo minato, finita la campagna elettorale, Macron dovrà dimostrare polso, inventiva, coraggio e buon senso. Avrà bisogno di mostrare che la sua “terza via” non è solo un tic usurato di una stagione che non tornerà, come non torneranno Blair, Clinton e l’ottimismo degli anni Novanta, ma una vera agenda innovativa, capace di riscrivere i rapporti tra mercato, solidarietà, opportunità, meriti e bisogni.
Perché se è vero che le risposte non possono più uscire dai libri sacri (sacri, più o meno a ragione) del Novecento, è anche vero che le domande somigliano ancora una volta a quelle di fronte alle quali si interrogavano le grandi famiglie politiche di allora, che oggi sembrano digerite e “superate’ con il ritmo vorticoso che porta un quarantenne “senza partito” a scalare uno dei più importanti paesi del mondo. Quelle domande però restano, e mordono, e riguardano la crescita, l’eguaglianza delle opportunità, la redistribuzione, il welfare e l’istruzione. Oggi, poi, sono domande che investono per definizione, necessariamente, senza spazi per argini retorici, le istituzioni europee e tutto quello che essa – tra realtà, metafora e opposte propagande – rappresenta.
Insomma, Macron stasera festeggi. Noi brindiamo volentieri con lui. Da domani non ci sarà più niente da festeggiare: i problemi sono enormi e stanno tutti nel futuro. Un fallimento di Macron sarebbe esiziale: per la Francia, per l’Europa e per tutti noi e da questi tempi strani abbiamo imparato che la stessa fretta con cui le folle acclamano, osannano ed elevano la sanno usare poi per distruggere miti e sbriciolarli nella polvere.
En Marche, dunque, Monsieur le President.
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