UE
L’Unione Europea ha mostrato visione e coraggio. Ma ora servono gli Stati!
Cosa diventerà il 27 maggio 2020 per gli europei? Aldilà di ciò che accadrà nelle prossime settimane e nella trattativa tra i 27 governi nazionali, il giorno in cui Ursula Von der Leyen ha presentato il Recovery Fund, ribattezzato Next Generation Eu, sarà ricordato come la più importante proposta federativa ed economica dell’Unione Europea degli ultimi 15 anni. Dai tempi del referendum sulla bozza di Costituzione, poi bocciato da olandesi e francesi nel 2005, non si nota un’azione di questa portata. Un’azione che come hanno raccontato i più importanti giornali internazionali potrebbe dar vita, un po’ come nel 1790 negli Stati Uniti, alla “nostra Dichiarazione Hamilton”, che prevedeva di mutualizzare i debiti lasciati dalla guerra d’indipendenza. La situazione, a rileggere un’analisi di Mark Roe pubblicata 9 anni fa durante la crisi del debito sovrano sul Sole24ore, non appare dissimile da quella americana. Anche in quel caso le incognite, i debiti e la sfiducia che accompagnarono la nascita della Federazione, su tutte il disaccordo della “ricca” Virginia, furono molti, forse maggiori di quelli che l’Ue ha oggi.
L’unica certezza che abbiamo è che nessuno potrà accusare in futuro l’Ue, rappresentata dal Parlamento Europeo e dalla Commissione Europea, di non aver guardato lontano, di non aver fatto abbastanza, di non aver immaginato e lavorato ad un progetto di condivisione per gli stati europei. E lo scrive una persona che da sempre è stata critica delle istituzioni, in particolare dei dieci anni di pessimo mandato di Josè Barroso al vertice della Commissione (2004-2014). Anni che hanno segnato l’immobilismo più totale dell’istituzione e la mediocrità che ha poi contribuito ad alimentare l’euroscetticismo.
Ora starà al Consiglio Europeo, ai 27 capi di Stato e di Governo, lavorare al meglio per offrire un futuro di certezze in un mondo di incertezze e stravolgimenti.
Di questo ha parlato l’alto rappresentante della politica estera europea Josep Borrell, in una sua intervista al Guardian lunedì scorso:
“Assistiamo alla fine del secolo con influenza americana e all’inizio del secolo a influenza asiatica. E’ il momento per noi europei, ora o mai più, di fare una scelta. Una presa di posizione europea, degli europei, sempre più dura nei confronti della Cina”.
Patrick Wintour, The Guardian, 25 maggio 2020
Dello stesso avviso il giornale francese Libération, che lo stesso giorno ha titolato: “C’est la lutte Empérial”, con un’apertura dedicata alla nuova guerra fredda. E del difficile rapporto che si va instaurando con una Cina sempre più grande e sempre più imperiale parlano da giorni i giornali internazionali, con il Financial Times che sottolinea gli oltre 8.500 arresti di leader della protesta di Hong Kong. Ma ancora più preoccupante è il debito che molti paesi, specie africani, hanno contratto con la Cina, dal Kenya al Gibuti, dall’Etiopia a tanti paese che hanno accettato prestiti dal governo cinese e che ora Pechino, alle prese con i propri problemi economici, rivuole. Un rischio, per fortuna, solo sfiorato dall’Italia.
Ma il 27 maggio 2020 viene descritto dai giornali di tutta Europa come il giorno di un evento catartico, che salvo raffreddamenti improvvisi segnerà il futuro dell’Unione:
“Bruxelles ha chiesto il potere di prendere a prestito 750 miliardi di euro dopo la crisi del covid-19, avvertendo che l’incapacità di agire lascerebbe l’Ue fratturata e divisa sulla base di linee di frattura economiche. […] Il capo della Commissione propone anche tasse per colpire i giganti digitali e una carbon tax per finanziare il piano. “O scegliamo ciascuno per sé lasciando indietro paesi e cittadini e accettando una Ue di chi ha e chi non ha oppure camminiamo insieme, facciamo una strada insieme preparando la strada per le generazioni a venire”.
Financial Times, estratto da David Carretta, Rassegna Stampa Estera, RadioRadicale.
Ancora più incisivo Bernard Guetta:
“È improbabile che le proposte di Francia e Germania non siano adottate da tutti gli stati membri. Perché il peso dei 4 paesi frugali è estremamente relativo in Europa. Se si prende il Pil europeo i 4 rappresentano il 14%, contro il 42 di FR-DE e il 64 di Francia, Germania, Italia e Spagna. Paesi che contribuiscono 5 volte meno al bilancio europeo. […] I 4 alla fine accetteranno piccole concessioni e cederanno. In caso contrario FR-DE-IT-ES e il resto potrebbero agire senza di loro in un quadro di accordo tra Stati. […]I due – riferito a Francia e Germania – propongono anche di camminare insieme verso la transizione verde e digitale, una politica comune della sanità, una rilocalizzazione all’interno delle frontiere dell’Ue delle industrie strategiche e verso un’evoluzione delle regole della concorrenza per permettere la costituzione di campioni industriali europei. Ciò che propongono è di affermare una sovranità industriale dell’Ue sulla scena internazionale, una rottura con l’idea che occorra delocalizzare”.
Bernard Guetta, Liberation, estratto da David Carretta, RadioRadicale.
Ma da dove nasce questa nuova strategia tedesca, questo cambio importante per l’Italia, per i paesi del sud del Mediterraneo più in sofferenza, e per la Germania stessa? Lo spiega molto bene sull’Euobserver Caroline De Gruyter:
“Il piano di risanamento Merkel-Macron, annunciato la scorsa settimana, non è un “capriccio”, ma piuttosto il frutto di un lungo e costante processo in Germania, in cui è cambiata la guardia economica. […] La maggioranza di questi oggi ha quarant’anni o è sui primi cinquanta e ha studiato programmi di dottorato di ricerca in stile americano, con libri di testo anglosassoni, all’Università di Bonn o all’estero – uomini entrati due anni fa con il nuovo ministro, il socialdemocratico Scholtz.
Per molti europei il cambiamento della Merkel è sembrato improvviso. Ma le basi sono iniziate due anni fa. […] La CDU ha lanciato membri di spicco nella difesa della Merkel. Uno di questi è stato addirittura Schäuble. Ha appoggiato la sua decisione di distribuire principalmente sovvenzioni, non prestiti. “I prestiti sarebbero stati pietre, anziché pane” per i paesi colpiti dal debito, ha detto.
Non è stato il cancelliere a cambiare, la Germania ha fatto da sola. E quando ciò accade, anche l’Europa di solito cambia.”
Caroline De Gruyter, 27 maggio, 2020, EUobserver.com
Toni attenti anche in Spagna, secondo beneficiario del Piano dopo l’Italia, dove descrive ElPais:
“Questo piano si fonda sui migliori suggerimenti presentati negli ultimi mesi: la proposta spagnola, la lettera dei “nove” sui coronabond, una risoluzione molto esigente del Parlamento europeo e la recente iniziativa franco-tedesca. Ai 750 si andranno a sommare i 540 dei precedenti mesi. Con questo piano l’Ue sarà in grado di mettere in campo i due estremi della politica economica: la politica fiscale accanto alla politica della Banca Centrale Europea”.
28 maggio 2020, El Pais, Davide Carretta, Rassegna Stampa Estera, RadioRadicale
La palla passa ora al Consiglio Europeo. Fonti olandesi, di cui non possiamo riportare il nome, narrano di qualche screzio all’interno della maggioranza di governo, di mobilitazioni di economisti, intellettuali e cittadini in favore del Piano presentato da Von Der Leyen.
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