Partiti e politici
Lo stanco dibattito su Ursula von der Leyen
Non riesco a condividere le narrazioni intorno alla riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della commissione europea. Da una parte, la visione liberal presenta la presidente come scelta imprescindibile, per cui Giorgia Meloni avrebbe commesso un grave errore a non sostenerla. Dall’altra, la visione della sinistra barricadera associa la presidente al sostegno a Israele e a una visione miope sull’Ucraina.
Una narrazione intende l’UE come un organo prettamente burocratico dove extra ecclesiam nulla salus. L’altra, valuta l’UE come un parlamento nazionale. Due visioni distorte che non considerano i reali poteri del parlamento europeo.
La prima commissione von der Leyen
Cinque anni fa, Ursula von der Leyen diventò presidente della commissione con l’aiuto del suo mentore, Angela Merkel. Il candidato ufficiale del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber, non avrebbe infatti avuto il sostegno necessario per governare la grande coalizione con Socialisti e Liberali. In un momento di tensioni geopolitiche ancora inespresse e di grande movimentazione per il clima, Ursula von der Leyen convinse i tre alleati con un discorso politico programmatico super partes, incentrato sull’ambientalismo e lo sviluppo sostenibile.
Quel discorso ha avuto il merito di dare un indirizzo politico alla commissione europea, fino a quel momento interpretata come mero organo burocratico. Inoltre, la presidente affidò la riconversione ambientale, da realizzarsi attraverso i soldi del green deal, al socialista olandese Frans Timmermans, che si era candidato alla guida della commissione proprio contro Weber. In politica estera, il socialista spagnolo Josep Borrell ben rappresentava un atteggiamento di cautela.
Queste condizioni sono svanite. La pandemia ha deviato i fondi del green deal su vaccini e PNRR. Le tensioni geopolitiche si sono aggravate e il dialogo con la Russia interrotto.
Al tempo stesso, la riconversione ecologica rimane centrale per l’Unione Europea che può intervenire facendo leva sulle sue competenze in materia di concorrenza, omogeneizzazione dei mercati e attività industriale. Diversamente, la politica estera è estremamente importante a livello ideologico, ma nella pratica rimane competenza degli stati nazionali.
Il ruolo della destra
Nella campagna elettorale, l’estrema destra ha concentrato gli attacchi sulla riconversione ecologica e il sostegno incondizionato all’Ucraina. Questa destra ha spaventato l’opinione pubblica affermando che la riconversione verde, oltre a essere inutile, farà perdere milioni di posti di lavoro a vantaggio della Cina, oltre a far intendere di essere sull’orlo di una guerra mondiale.
Queste considerazioni non sono vere e sono influenzate dal negazionismo climatico e dalla fascinazione per l’uomo forte di Mosca. Ma sappiamo bene come abbiano presa sull’elettorato, molto di più delle legittime critiche sulla gestione economica dell’Unione e sullo scellerato patto di stabilità.
Prima delle elezioni, Ursula von der Leyen ha cercato di legittimare i partiti alla destra del Partito Popolare di fede atlantica. Si è mostrata dura sull’immigrazione e si è fatta fotografare con Giorgia Meloni, mentre governava con i socialisti e provava a difendere le sue politiche ambientali.
Viste le difficoltà di verdi, liberali e socialisti, la presidente si è tenuta aperta una porta a destra. Una exit strategy qualora i partiti della grande coalizione non avrebbero più avuto la maggioranza dopo le elezioni. Ma, le elezioni hanno chiarito che la maggioranza ha tenuto, pur tra tante difficoltà.
Dopo le elezioni
Le elezioni hanno confermato che i partiti di destra non hanno i numeri per governare, mentre i socialisti non possono accettare di governare con la destra radicale, seppur filo atlantica. Von der Leyen ha quindi spalancato le porte al partito meno controverso, ovvero i verdi, mantenendo un dialogo con i conservatori e riformisti di Giorgia Meloni.
In questo contesto, verdi e socialisti non potevano far altro che sostenere von der Leyen. I verdi hanno capito che, data la propaganda della destra, nessun presidente della commissione può fare di più dal lato ambientale. Per i socialisti sarebbe stato incoerente votare contro, disconoscendo tutto quanto fatto negli ultimi anni.
Al tempo stesso, non penso che a Giorgia Meloni sarebbe convenuto sostenere von der Leyen per poi trattare nomine pesanti e maggiore flessibilità per i conti pubblici. Rimanere all’opposizione mantenendo un canale aperto con la commissione è la scelta più razionale per il presidente del consiglio.
Al contrario di Matteo Salvini cinque anni fa, che si sfilò da tutto e perse un posto da commissario per la Lega, Meloni può trattare un ruolo rilevante per Raffaele Fitto. Infatti, l’egemonia di FdI nel governo non è contrastata e l’Italia rimane il terzo paese dell’Unione Europea. Inoltre, Meloni può così capitalizzare consenso incolpando la Commissione sia per le politiche di bilancio restrittive che quelle ecologiste.
E la sinistra?
Dalla parte opposta, la sinistra socialista dovrà alzare l’asticella e dettare condizioni. Il parlamento europeo è quel luogo estremamente frammentato dove dominano i veti incrociati, per questo le maggioranze sono spesso cornici vuote che devono essere riempite dalla politica.
Cinque anni fa, Ursula von der Leyen ha dato una forma politica a una cornice troppo abituata alla tecnocrazia, ma devono essere i partiti a riempirla di contenuti. Con l’elezione della maltese Roberta Metsola a presidente del parlamento europeo, la destra sembra comprendere la direzione che vuole intraprendere. Infatti, Metsola è figura identitaria, donna antiabortista, filo atlantica e dura con l’immigrazione.
In questo gioco delle parti, la sinistra può appoggiare Metsola, ma deve anche indicare una seria alternativa e contrapporre figure altrettanto simboliche nei ruoli principali. Perché, in questo momento non servono figure esperte, che si limitano a continuare uno status quo che, oltre a non esaltare nessuno, ha creato rigurgiti di estrema destra che speravamo sopiti per sempre.
Servono politici che possano sia governare la complessità del sistema europeo che indicare l’alternativa. Se i socialisti europei vogliono sopravvivere, devono avere la forza di rilanciare le basi sociali dell’Europa. Inoltre, dovrebbero esigere una riconversione ecologica che non ricada sui lavoratori, ma sia finanziata dalla Banca Centrale Europea attraverso l’emissione di grandi volumi di debito comune, i cosiddetti green bonds.
Infine ci vorrebbe anche una sinistra che condanni tutte le azioni scellerate di Mosca, ma sia consapevole che il dialogo sia necessario per arrivare alla pace. Anche se, questo sembra chiedere troppo.
Immagine dall’account X (ex Twitter) di Ursula von der Leyen
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