UE

Lo spirito aspro dei renziani contro Tsipras

11 Luglio 2015

I renziani non l’hanno presa bene. Non hanno preso bene questo vizio dei greci di ritornare ad asserragliarsi alle Termopili, stavolta contro un nemico occidentale. Non hanno preso bene la scelta di interrogare il popolo. E non hanno preso bene neppure la loro scelta di imporsi, da soli e non da altri, sacrifici e rigore. Insomma: ai renziani della Grecia non piace Leonida, non piace Pericle, e non piace neppure Draconte. Invece pare che piacciano molto i sofisti, almeno a giudicare degli argomenti che vengono usati nel dibattito. In tutta onestà, bisogna riconoscere che parliamo dei renziani più che di Renzi. Renzi si è defilato, e poi ha detto che la linea europea dell’Italia è netta, e si concentra in una parola: crescita. Insomma, in tutta Europa se l’è presa solo con il povero Latouche. Comunque, è chiaro che Tsipras ha creato un problema, per Renzi e per i renziani. La differenza di tono solleva invece una domanda: chi tra Renzi e i renziani vede più lontano?

In tutta questa campagna di Grecia abbiamo assistito a una insopportabile tiritera di argomenti e strumentalizzazioni, con l’attribuzione agli altri delle posizioni che faceva più comodo contestare, con la scelta accurata degli argomenti da usare a da evitare per confezionare informazione pret-a-porter. Sebbene da sempre Tsipras avesse dichiarato di non pensare minimamente all’uscita dall’Euro, il referendum, che ha proclamato ribadendo la stessa posizione, è diventato per tutti il referendum sull’uscita della Grecia dall’Euro. Poi c’è stata la leggenda di noi italiani che pagheremmo le baby pensioni ai greci. Poi si è detto che Varoufakis, che se ne sarebbe andato se avesse vinto il sì per dignità, se ne è andato dopo che ha vinto il no per codardia. Si è arrivati anche a discettare della sua allergia alle regole perché la moglie non indossava il casco (mentre lui lo indossava). Poi si sono presi in giro i greci perché due giorni dopo il referendum non si sono presentati con un piano (di quelli fatti in due giorni che noi italiani conosciamo bene). Ora che si presentano con un piano, vengono criticati perché non è un piano sfigato di quelli che si possono rifiutare, e soprattutto è simile a quello che aveva presentato l’Europa.

Nel dare questa rappresentazione vengono nascosti sotto il tappeto particolari che ogni tanto fanno capolino in una riga di giornale o in una battuta di talk show: in particolare, la somiglianza tra le due proposte precedenti, quella di Tsipras e quella dell’Eurogruppo. In realtà a questa vicinanza il Financial Times aveva dedicato un articolo intero già prima del referendum, ricordando come le differenze fossero minime. Poi nel dibattito politico è emersa ogni tanto anche una cifra: differenza tra le due proposte di 60 milioni, un valore tra un Pogba e un Higuain. Insomma, questo negoziato sembrava proprio un vecchio sketch di Aldo Giovanni e Giacomo in cui sulla stessa domanda i due si litigavano reiterando lo stesso concetto. Oggi i renziani, che hanno taciuto quando l’Eurogruppo ha preso a pesci in faccia Tsipras riproponendo poi un piano simile, usano questo argomento per sostenere che il referendum è stato inutile. E, poiché il piano sarebbe, almeno sotto il profilo quantitativo, anche più oneroso, viene considerato addirittura un tradimento del referendum.

Forse è il caso di spiegare ai renziani la strategia di Tsipras con le parole di Renzi. Nel breviario di ogni renziano troverete la frase: “Non dobbiamo fare le riforme perché ce lo chiede l’Europa, le dobbiamo fare per i nostri figli”. Tsipras ha tradotto in pratica questa frase, e ha mostrato che si poggia su un principio essenziale. Un programma scelto da un popolo è migliore di un programma imposto dall’esterno, anche se, a rigore, il programma fosse esattamente lo stesso. Questo perché un programma non è un pezzo di carta, o almeno non per tutti, ma è una sequenza di interventi che devono essere governati. Un governo dileggiato e costretto alle forche caudine non avrebbe nessun potere di implementare alcun programma. Un governo auto-determinato può imporre un programma più duro di quello che può essere imposto da truppe di occupazione. La politica dei negoziatori dell’Eurogruppo, a partire dal nostro Padoan, non ha tenuto conto del fatto che la politica imposta dall’esterno ha sempre un haircut nella sua trasformazione in pratica, a causa della credibilità e dell’autorità di chi la deve realizzare.

Leggete ora con la lente delle parole di Renzi gli atti di Tsipras. Ha presentato una proposta, che, ricordo, all’inizio era stata accolta favorevolmente, ma che a un tratto è stata respinta come inaccettabile e sostituita da una molto vicina da parte dell’Eurogruppo. Allora Tsipras ha chiamato il referendum perché a testa bassa non si governa. E se non si governa, meglio andare a casa (vi ricorda una frasi di qualcuno?). Ha vinto il referendum e per prima cosa ha fatto fare un passo indietro a Varoufakis, mostrando che si sacrifica qualunque posizione pubblica (poltrona, in italiano) per il bene comune. Poi ha presentato un piano mostrando che un governo legittimato può fare di più. Ha sbagliato qualcosa Tsipras? Sì, forse poteva indire il referendum prima.

La tenzone non è finita, perché come la prima proposta era stata all’inizio accettata, poi infamata e infine ripresentata quasi uguale, lo stesso può verificarsi dopo questo rilancio di Tsipras. E in questo caso sarà la fine. Stupisce che i nostri commentatori renziani d’assalto vorrebbero svolgere ora, alla fine del gioco, il ruolo che Schauble e la Lagarde hanno giocato alla manche precedente. La domanda è allora perché tanta avversione? Sarà mica un trauma liceale da spirito dolce o spirito aspro? No, probabilmente è la paura che alla fine del tunnel l’iniziativa della sinistra europea sia nelle mani di Tsipras. Abbiamo sentito che Renzi ha rifiutato l’invito di Tsipras al tavolo in cui sedeva con Merkel e Hollande. Ha rifiutato, forse giustamente, perché l’invito è stata la prima mossa di Tsipras da leader della sinistra europea. Ritengo anche che Renzi, che è fiorentino come me, capisca Tsipras proprio come lo capisco io: noi siamo di una stirpe che sotto assedio e costretti a una dieta a base di topi abbiamo inventato il calcio in costume, piuttosto che chinare la testa.

Renzi sa anche che è tardi per recuperare, e forse è meglio dedicarsi a altro. Avesse avuto lui il coraggio di fare quello che ha fatto Tsipras, come abbiamo più volte argomentato su queste colonne, oggi l’Europa sarebbe diversa. E Tsipras non avrebbe avuto altra scelta che accettarne la leadership. Ora Tsipras mira a quella mossa che rappresenterebbe la vittoria finale, e che è stata anche proposta da Baglioni e Boitani su la voce.info e ieri da Masciandaro sul Sole 24 Ore: la domanda di finanziamento al fondo ESM. Se tra un anno Tsipras mostrerà di essere in pari con il programma, allora la BCE potrà usare l’OMT, o comunque ogni speculatore dovrà mettere in contro la discesa in campo della BCE, e la Grecia potrà tornare sul mercato. Allora, Tsipras avrà mostrato una strada nuova all’Europa, e un principio: più che chi scrive i piani della politica, conta chi li governa.

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