UE

Lo spettro della Grexit è il cavallo di Troia nelle mani di Tsipras

17 Aprile 2015

Dopo 16 anni, la permanenza della Grecia nell’Eurozona pare giunta al finale. Il Governo di Alexis Tsipras, che sta perdendo credibilità e consensi non solo all’estero, ha iniziato a mettere le mani avanti e, pur senza mai parlare esplicitamente, ha lasciato intendere che potrebbe venir meno agli impegni finanziari internazionali. L’enfasi posta dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis sulla priorità del pagamento preoccupa gli investitori esteri e controparti istituzionali. Ma soprattutto dimostra come i colloqui a Washington non stiano andando per il verso giusto.

La probabilità del concretizzarsi dell’incubo Grexit (l’uscita dall’unione monetaria) sale al 40% nelle medie dei sondaggi ed aumenta esponenzialmente alla retorica dei colloqui Grecia-UE che caratterizzano questa settimana. Tra i Paesi periferici che affronteranno una tornata elettorale nei prossimi mesi, come Spagna e Portogallo, prevale un atteggiamento intransigente verso i greci. La stessa posizione è espressa dai Paesi nord europei. Nella stessa Germania, il 52% degli intervistati si è dichiarato favorevole all’uscita della Grecia dall’Eurozona. Uno scenario che non trova però gradimento né a Bruxelles né a Francoforte – in quanto l’uscita di un paese solleverebbe dubbi sulla tenuta e più in generale sull’irreversibilità dell’unione monetaria – né al Fondo monetario internazionale.

A Washington, dove proprio ieri si è aperta l’assemblea annuale del Fondo, il  consigliere alle Finanze Jose Vinals ha parlato chiaro, escludendo la Grexit dalle ipotesi di lavoro dell’Fmi: «Il nostro scenario base è che la Grecia continua a essere parte dell’Area euro, in linea con quanto il governo greco ha indicato». Ma se queste sono le posizioni ufficiali, è noto che lo spettro della “Grexit”, mai nominata, venga usata come un cavallo di Troia per riuscire a fare breccia nella posizione delle controparti. Secondo Die Zeit, i tedeschi starebbero già lavorando a un’ipotesi di default pilotato sul debito, ma con permanenza nell’unione monetaria. Anche se smentita, quest’ipotesi non è poi tanto remota né impossibile da gestire. L’appuntamento cruciale è il 24 Aprile, quando è atteso l’ok dell’Eurogruppo al piano di riforme, mentre un report di HSBC pone l’accento sui rimborsi (2,5 miliardi di dollari) che Atene dovrà fare di maggio e giugno verso il Fondo Monetario Internazionale e sulla necessità da parte dell’UE di prevenire la fuga di capitali già sperimentata in questi mesi che metterebbe il sistema bancario greco in ginocchio. Va comunque rilevato che lo spettro di un default da 330 miliardi di euro su un debito per lo più già in mano alla BCE per adesso ha lambito solo marginalmente gli spread sui titoli governativi europei.

Intanto, il declassamento del rating sul debito greco deciso da Standard & Poor’s (CCC+ o selective default, ossia solo verso alcuni creditori), pone la Grecia allo stesso livello del tormentato Venezuela. Il rendimento sui titoli governativi greci sono saliti oltre il 12,5% sulla scadenza a 10 anni, con un picco del 26,5% sul titolo a 3 anni. Ma a differenza che in Venezuela, ad Atene non c’è petrolio e non ci sono nemmeno i soldi dei cinesi e dei russi ad aiutare. Il rischio sempre più concreto è che a pagare il prezzo di questo interminabile e inconcludente braccio di ferro sarà la popolazione e l’economia reale della Grecia.

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