Clima
L’Italia e altri paesi Ue bloccano la Nature Restoration Law
Se n’era parlato tanto, della Nature Restoration Law e della sua agognata, quanto discussa, approvazione da parte del Parlamento europeo. Era il dodici luglio scorso, l’Europa veniva da mesi di continui allagamenti e piogge (qualcuno forse ricorda, dell’alluvione in Emilia Romagna) e le proteste di gruppi ambientalisti come Fridays for Future e Ultima Generazione riempivano le piazze delle città, insieme alle prime pagine dei giornali.
Il messaggio – ora come allora avvalorato, in Italia e nel mondo, dagli studi e dai dati resi noti dagli esperti – era chiaro: il tempo è scaduto, occorre intervenire; la crisi climatica è, ormai, a tutti gli effetti un’emergenza, e, se gli Stati non si impegneranno ad agire per contrastarne gli effetti, le ulteriori drammatiche conseguenze di quella che veniva per la prima volta definita “l’era dell’ebollizione globale” non tarderanno ad arrivare.
Di qui, la necessità dell’adozione di una nuova, più efficace, normativa europea per contrastare gli effetti del climate change in tutta l’area UE; da quest’esigenza, appunto, la Nature Restoration Law. Andando a inserirsi nella strategia per il ripristino e la salvaguardia della biodiversità approvata dalla Commissione UE già nel 2022 (trattasi del c.d. “Pacchetto natura), la “Legge europea per il ripristino della natura” veniva pensata come provvedimento vincolante, che stabiliva precisi obblighi in capo agli Stati chiamati a garantire, entro il 2030, il ripristino di almeno il 20% delle superfici terrestri e acquatiche a rischio nei propri territori.
Recuperare gli ecosistemi, tutelare le aree rurali, ricostruire almeno 25000 km di fiumi e riqualificare l’agricoltura aumentando gli stock di carbonio: questo si chiedeva, allora, ai governi e alle imprese dell’area UE, che erano chiamati a trovare un compromesso tra i propri interessi economici e la necessità di frenare il progressivo deterioramento della biodiversità europea – costantemente minacciata dalle attività umane, come veniva riportato, per una percentuale dell’81% del totale.
Così, a seguito di accesi dibattiti tra S&D e conservatori, la legge veniva approvata, nel luglio 2023, dal Parlamento europeo: con 336 voti favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti, la NRL riceveva una prima approvazione grazie alla spinta ricevuta da parte di centristi, sinistra e verdi, per poi venire definitivamente adottata, a seguito dell’ultimo round di negoziazioni tra i rappresentanti di governo svoltosi anch’esso davanti al Parlamento UE, il 27 febbraio scorso. A quel punto, l’esito della norma pareva scontato: come tutti gli altri provvedimenti adottati dall’Europa ai sensi delle procedure previste dal diritto UE, infatti, la legge avrebbe di li a poco passato il vaglio, sostanzialmente formale, del Consiglio europeo, per poi infine approdare, in tempi relativamente brevi, nei territori degli Stati Parte – pronta a essere finalmente messa in pratica, attraverso provvedimenti ad hoc, dalle autorità nazionali.
Ma, evidentemente, così non è stato.
Nonostante il ruolo di “pura formalità” teoricamente attribuito al voto della legge davanti al Consiglio europeo (alla luce del lungo e partecipato iter negoziale davanti al Parlamento europeo, del resto, la legge era ormai data per approvata pressoché da tutti) , infatti, il 22 marzo scorso (data in cui si celebrava, peraltro, la Giornata mondiale per la tutela dell’acqua e della sua biodiversità) da Bruxelles arrivava la notizia che il voto conclusivo per l’adozione definitiva della Nature Restoration Law davanti al Consiglio che era stato previsto, e più volte annunciato, per il 25 marzo, non si sarebbe tenuto, ma che al contrario esso sarebbe stato rimandato, senza ulteriori precisazioni, “a data da destinarsi”.
E questo perché?
Perché, continuavano da Bruxelles, a pochi giorni dal voto finale per l’approvazione definitiva dell’agognata legge si era verificato qualcosa di imprevisto: senza annunci ne’ spiegazioni, i rappresentanti di governo di alcuni Stati membri chiamati a votare per l’adozione del provvedimento avevano ritirato, davanti al Consiglio, l’appoggio alla legge funzionale al provvedimento per ottenere la maggioranza necessaria all’approvazione – andando a impedire, così, di fatto, alla norma di diventare, finalmente, realtà. Quanto agli Stati responsabili, senza troppa sorpresa si era trattato di Polonia, Svezia, Olanda, Finlandia e, anche, Italia.
Capitanati dall’Ungheria di Orban (da sempre, manifestamente, contrario all’adozione di qualsiasi provvedimento a tutela di ecologia e ambiente), del resto, fin dal 2022 questi paesi avevano fatto di tutto per impedire che Nature Restoration Law venisse approvata – e questo schierandosi, fin dai primi passi dell’iter parlamentare, tra le file degli astenuti e, più frequentemente, dei contrari. E questo avveniva, rispettivamente, nelle prime votazioni del luglio 2023 e durante le seconde del febbraio scorso; in una e nell’altra occasione, infatti, la stampa aveva riportato come i rappresentanti di detti Stati avessero da subito manifestato la propria contrarietà alla NRL definendola un’“eco-follia” – scomunicando tra l’altro i c.d. ‘franchi tiratori’ del PPE che, nei due turni di votazione, con le proprie posizioni controcorrente avevano permesso che la legge venisse fino a quel momento approvata fino ad arrivare, appunto, allo stop di qualche settimane fa.
Stop che, su ammissione degli stessi esponenti dei governi interessati, è arrivato come diretta conseguenza, tra l’altro, della crescita dal sentimento di “ostilità green” in progressiva espansione nell’area UE alla luce delle proteste degli agricoltori che ultimamente hanno interessato, a partire dalla Germania, tutti i paesi dell’Unione (tra le richieste dei manifestanti l’abbassamento del prezzo del gasolio, la revisione dei limiti ai pesticidi e la modifica, in generale, di quanto previsto per l’agricoltura da Patto verde europeo e PAC) – sentimento questo cavalcato, in Italia come altrove, dagli esponenti dell’Europa conservatrice che avevano dichiarato, sin dalla fase iniziale del fenomeno, di sostenere gli agricoltori “contro le politiche inappropriate proposte dagli ‘eco-fanatici del Green Deal’”.
“E’ una fortuna che la Nature Restoration Law non sia passata, perché si tratta di un provvedimento irresponsabile e troppo incentrato sulla tutela dell’ambiente a scapito di sicurezza alimentare, infrastrutture, energia e trasporti” aveva dichiarato l’eurodeputato olandese Bert-Jan Ruissen all’indomani del rinvio dell’approvazione della legge – mentre dichiarazioni simili venivano rilasciate, anche nella medesima occasione, anche da parte di diversi esponenti del Governo Meloni. Se infatti nessun commento era arrivato, all’indomani dello stop di marzo, dal Ministro per l’ambiente e per la sicurezza energetica Picchetto Fratin, nei giorni successivi all’affondo della NRL erano stati molti i politici della nostra destra ribadire la propria contrarietà all’adozione del discusso provvedimento (alla “follia ideologica risultato dell’ipocrisia dell’Europa green” aveva fatto riferimento, già in occasione della prima votazione, un agguerrito Matteo Salvini, mentre di “farneticazioni della sinistra” e “rischio di danni enormi” avevano parlato, rispettivamente, i ministri Francesco Lollobrigida e Antonio Tajani) – capitanati, del resto, dalla stessa Giorgia Meloni che, a fronte del montare delle proteste degli agricoltori anche nelle principali città italiane, negli ultimi tempi aveva più volte dichiarato la sua volontà di “difendere, ora come mai, la nostra agricoltura dai diktat in materia di natura e ambiente imposti dalle autorità UE”.
E tutto ciò, evidentemente, nonostante le sempre più numerose evidenze scientifiche che sono state portate, nel corso dei mesi, a supporto dell’adozione della NRL a beneficio di biodiversità e sicurezza degli Stati UE (qui il riferimento è agli studi di associazioni quali Cambiamo Agricoltura che hanno evidenziato come, anche per quanto riguarda il sostegno all’agricoltura e la tutela dei produttori, l’adozione di provvedimenti UE come Farm to Fork e Biodiversità 2030 -anch’essi parte del Green deal europeo- sarebbe di fatto piuttosto vantaggiosa per gli agricoltori e gli allevatori dell’area UE) – nonché nonostante la lettera aperta con la quale 147 tra scienziati e associazioni avevano chiesto, anche alla luce delle più recenti notizie in materia sia politica che ambientale, al governo di Giorgia Meloni di riconsiderare la posizione recentemente assunta dall’Italia in merito all’adozione (o meglio, alla mancata adozione) della sofferta quanto necessaria legge europea per il recupero della natura.
Questo perché, ricordavano – e ricordano, tuttora – i sostenitori della legge, quella per il ripristino della natura nell’Unione Europea è una legge necessaria, e non solo dal punto di vista del recupero di flora e fauna e della ricostituzione dell’ambiente – ma anche, a maggior ragione, in termini economici. Come era stato stimato dalla Commissione europea già nella prima fase di valutazione del potenziale impatto della legge sugli Stati UE, infatti, “i benefici monetari possibilmente derivanti dal ripristino degli habitat prioritari dell’Unione Europea derivanti dall’approvazione della Nature Restoration Law si stimano a circa 1.860 miliardi di euro, con costi stimati a circa 154 miliardi di euro” – ciò si tradurrebbe, circa, in un guadagno netto di 1.706 miliardi di euro – , e l’ammontare dei ricavi diretti complessivi per le comunità locali potrebbe arrivare, grazie alla riqualificazione delle zone rurali prevista dal provvedimento, a circa 200-300 miliardi di euro all’anno. Per non parlare poi, come riportato dall’Ipbes, dell’impatto positivo che il provvedimento avrebbe, con il suo obiettivo di ripristinare l’81% degli habitat presenti sul territorio dell’Unione, sui ricavi e i guadagni delle aziende agricole e sulla filiera agroalimentare, nonché su tutto il settore dei trasporti: “Il ripristino degli ecosistemi è un investimento sul futuro”, era stato allora affermato dal docente di Sostenibilità ambientale Roberto Danovaro da anni al lavoro sul piano di ripristino degli habitat messo a punto dall’UE.
Tutto ciò, a maggior ragione, in vista delle elezioni europee dell’8 e del 9 giugno: come è stato ricordato da molti proprio in questi giorni, infatti, queste votazioni rappresentano, sia le politiche “green” messe in atto negli ultimi anni dall’Unione Europea che per il più recente governo di Giorgia Meloni, il primo reale banco di prova in cui esse verranno giudicate dai cittadini, ed è in base agli esiti di questo voto che, in entrambi i frangenti, decisioni importanti verranno prese per il futuro.
A oggi, le negoziazioni per la Nature Restoration Law sono ancora aperte e, volendo, c’è ancora tempo per cambiare idea.
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