UE
L’Italia declassata. Rischio Fallimento?
L’Agenzia internazionale di valutazione del credito e rating, la Fitch Ratings (la più piccola delle tre grandi agenzie di rating, rispetto a Moody’s e di Standard & Poor’s. Fitch, che opera in 30 Paesi, con due quartier generali, a New York e a Londra) , è una società specializzata in ricerche sul rischio paese e aziende nei mercati emergenti ed ha reso noto, che i rischi dell’Italia, sono aumentati, per: la debolezza e l’instabilità del governo; per la presenza di partiti politici euroscettici; la debilitazione delle banche italiane che accrescono i rischi al ribasso per l’economia e le finanze pubbliche, con l’insoddisfacente meccanismo di riduzione, dei crediti deteriorati e la debole redditività.
La Fitch, sostiene che “Il persistente peggioramento fiscale dell’Italia – scrive Fitch – il ripiegamento del consolidamento, la debole crescita economica e la conseguente mancata riduzione dell’elevato livello del debito delle amministrazioni pubbliche hanno lasciato più esposizione ai potenziali shock avversi. Ciò è aggravato da un aumento del rischio politico e dalla debolezza continua del settore bancario che ha richiesto un intervento pubblico previsto in tre banche a partire da dicembre”.
Queste, le ragioni per le quali, l’agenzia internazionale ha abbassato il rating dell’Italia, da BBB+ a BBB, due gradini sopra il grado speculativo .
Le previsioni di una debole crescita economica e la mancata riduzione del debito pubblico, sono parametri che fanno valutare, il belpaese, come più esposto al rischio “Fallimento”, in merito alla riduzione dell’elevatissimo livello del debito pubblico, il che “espone maggiormente il Paese a potenziali shock sfavorevoli” e prevede un aumento del Pil dello 0,9% nel 2017 e dell’1,0% nel 2018.
I dati numerici, evidenziano come l’Italia cresca in maniera fiacca.
E’ davvero possibile che l’Italia si ritrova ai livelli di affidabilità simili a quelli del Sud Africa? Un percorso al declassamento che ha il suo inizio nel 2003 e che si è ulteriormente rafforzato a partire dal 2011, con le pressioni sui titoli di debito pubblico e la contestuale crisi istituzionale, che ha favorito l’avvento del susseguirsi dei cosiddetti governi tecnici.
La colpa del segno meno è anche dell’irrisolutezza del problema dei non performing loans o Npl e del sistema bancario italiano?
Invero il 19 aprile, il Fondo Monetario, con Tobias Adrian, capo del dipartimento mercati dei capitali, rappresentante della Fmi, ha ancora una volta sollecitato l’Italia, che rispetto al sistema bancario europeo, – che si ricorda ha un peso di circa mille miliardi di euro in NPL, – ha un alto livello di fragilità e debolezza delle banche legato ai crediti deteriorati.
Secondo il Fondo, il governo e le banche italiane devono sbrigarsi a ridurre il volume dei crediti deteriorati degli istituti di credito, con un’ operazione di consolidamento e riduzione dei costi.
Ci sono troppe offerte di prestazioni bancarie , nonché reti e filiali di banche con una base di costi elevata. Il risultato è un alto costo dei servizi bancari, che non fa bene all’economia italiana. Consolidamento, riduzione dei costi, soluzione del problema degli Npl: queste tre cose insieme renderanno il sistema bancario più efficiente e più sicuro.
Solo con questa determinazione degli NPL , accompagnata da una maggiore vigilanza delle società bancarie, che dovranno al più presto “pulire” i propri bilanci, l’economia italiana ha possibilità di una fattiva ripresa.
Come riuscire a far ripartire l’Italia?
Eppure alcuni passi in avanti sono stati compiuti, pensiamo alla fusione delle popolari e al Fondo Atlante; ma purtroppo, non sembra sufficiente, è probabile che sarà necessario, per alcune banche, un aumento dei capitali o la fuoriuscita dal mercato per quelle più deboli e soprattutto la cancellazione dei crediti inesigibili. È un percorso impervio, ma necessario, alla fine qualcuno dovrà pagare il conto. Queste banche comunque hanno bisogno di altri interventi di ristrutturazione funzionante.
Sta nei fatti, che del più recente arretramento dell’Italia, si erano già visti i segni, quando agli inizi del 2017, l’agenzia Dbrs ( del Canada) aveva rimosso l’ultima A, e la penisola italiana è così passata da “A-low” a “BBB high.
Il declassamento, derivante, sia di una crescente incertezza rispetto alla capacità politica «di sostenere gli sforzi per riforme strutturali», sia della «continua debolezza del sistema bancario, in un periodo di fragilità della crescita» ha avuto inevitabili conseguenze, sul rapporto delle garanzie, richieste, dalla BCE alle banche italiane . Tutto ciò ha comportato l’aumento della cosiddetta trattenuta della Bce sui titoli di Stato italiani, dati in pegno dalle banche quando chiedono liquidità.
Risulta, però interessante, la prospettazione, socio-politica-economica, fatta dall’agenzia di rating con un articolo di James McCormack Global Head of Sovereigns at Fitch Ratings, che lancia un monito, quello di adottare politiche, per il futuro, che diano un ruolo positivo all’immigrazione.
Gli immigrati, potrebbero incidere sulle dinamiche di crescita delle economie di prima industrializzazione. L’articolo in questione, mette in guardia i governi, dall’adottare misure o provvedimenti, che potrebbero essere in grado di limitare il fenomeno, positivo, dell’immigrazione, con catastrofiche previsioni per un futuro molto incerto, considerato l’invecchiamento delle popolazioni e con il conseguente declino dei popoli in età lavorativa e l’aumento tassi di dipendenza (la popolazione di coloro che fino a 14 anni e oltre 65 anni rispetto a quelli in età lavorativa).Un certo numero di mercati emergenti – ma certamente non tutti – affrontarenno le tendenze opposte, con alti tassi di fertilità che porteranno alla rapida crescita delle popolazioni in età lavorativa”.
“Migrazione: un potenziale Win-Win”
“Entro il 2050, la popolazione in età lavorativa del mondo è previsto un aumento del 26%. Nelle economie avanzate ( “paesi ad alto reddito” in termini ONU), la popolazione in età lavorativa diminuisce del 5% con l’immigrazione, e il 15% a meno. Caso-base le prospettive di crescita a lungo termine sono già impegnative, e sarebbe ancora più debole se diminuisce immigrazione”
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