UE

L’Europa fa la dura ma è già pronta ad allentare le condizioni sul debito greco

26 Gennaio 2015

La vittoria in Grecia di Alexis Tsipras è stata salutata,  anticipata, con una raffica di avvertimenti. Dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann, dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, ma anche da personaggi come Benoît Coeuré, membro francese del board della Bce («Tsipras deve ripagare il debito, sono queste le regole del gioco») , o ancora il presidente dell’Eurogruppo Jeroem Dijsselbloem («non sembra esserci grande supporto per la riduzione del debito greco»), o anche il direttore generale del Fmi Christine Lagarde («nessun trattamento speciale per la Grecia»), hanno fatto tutti la voce grosse.

Il messaggio sembra insomma univoco: Tsipras si scordi che parte del debito greco (175% del Pil) possa essere semplicemente cancellato.  Se questa è la superficie, appena si lascia l’ufficialità, appare chiaro che gli europei in realtà sono ben consci che non si può più rinviare una soluzione per l’enorme problema del debito greco il cui servizio continua a soffocare l’economia greca. Un tema sul tavolo dei ministri economici e finanziari dei 19 paesi dell’euro questo lunedì (anche se decisioni arriveranno solo in febbraio), ma da tempo anche nelle cancellerie europee. Anche perché dei 317 miliardi di euro di debito, sono rimasti nelle mani dei privati secondo ultimi calcoli appena il 17% del totale, il resto sono debiti con stati membri, Fmi, Bce, Ue in genere.

Certo, oggi l’Eurozona ha difese molto più forti che nel 2010, grazie anche e soprattutto alla Bce, e lo scenario di un “Grexit” fa molto meno paura. E tuttavia a Bruxelles prevale il sentimento che lasciare naufragare la Grecia resta uno scenario altamente pericoloso, anche perché nessuno si sente di escludere possibili effetti “contagio” su paesi vulnerabili come è anche l’Italia. Non c’è molto tempo, perché il programma di aiuti alla Grecia scade il 28 febbraio, e per l’ultima tranche non è ancora ultimato il lavoro della Troika, visti i dissensi con il governo di Atene e poi le elezione. In caso di mancato accordo dal primo marzo l’Ellade potrebbe ritrovarsi senza soldi per pagare pensioni, sussidi, stipendi pubblici e via dicendo

Ecco perché le cancellerie soprattutto dei principali Stati Ue ma anche la Commissione Europea si stanno spremendo le meningi per trovare il modo per allentare la pressione del debito sulle casse di Atene senza ufficialmente parlare di cancellazione. La via sembra essere quella di un rinvio delle scadenze del debito greco e/o un’ulteriore riduzione degli interessi. Lo stanno facendo capire – significativamente – gli stessi che bocciano senza appello l’ipotesi di cancellazione di parte del debito. Ascoltiamo Coeuré della Bce: «Non c’è spazio per azioni unilaterali in Europa, ma questo non esclude una discussione, ad esempio, sulla riprogrammazione del debito» greco. Ancor più colpisce il ministro delle Finanze finlandese Alexander Stubb – Helsinki è sempre stata tra i più “falchi” soprattutto nei confronti della Grecia (pretese degli asset pubblici a garanzia della propria quota di crediti ad Atene): «Non condoneremo i nostri prestiti – ha detto arrivando a Bruxelles questo lunedì per l’Eurogruppo – ma siamo pronti a discutere un’estensione del programma di aiuti o le scadenze del debito».

Lo scenario, in verità, è in discussione da tempo. Già nelle conclusioni dell’Eurogruppo del 27 novembre 2012 si affermava che, in determinate condizioni, sarebbe possibile estendere le scadenze e ridurre i tassi del debito ellenico. Ora – al di là delle lunghe diatribe sul reale impatto per Atene – è chiaro che allungare i tempi di rimborso, senza compensazioni attraverso maggiori interessi (si parla anzi di ridurli ulteriormente) , è di fatto una forma di ristrutturazione del debito sotto falso nome. Il vantaggio? Sarebbe molto più vendibile alle opinioni pubbliche di paesi come Germania, Finlandia o Olanda. E in casa propria Tsipras potrebbe cantare vittoria. La vera questione sarà la formula da adottare.

Del resto, la questione va ben oltre. Un po’ ovunque in Europa – persino a Berlino (soprattutto dal lato socialdemocratico della coalizione al governo federale) – c’è la consapevolezza che dopo cinque anni di austerity – a dispetto delle statistiche che vedono l’economia in ripresa – il paese è allo stremo. Come del resto, secondo alcune stime, circa il 90% dei 252 miliardi di euro in prestiti d’emergenza ottenuti dalla Grecia dal 2010 è servito a ripagare debiti, solo circa il 10% è finito in misure di aiuto alla popolazione. Del resto la vittoria di Tsipras dà man forte al partito europeo anti-austerity, un movimento che ha già portato nell’Ue un cambio di umori e di accenti, a cominciare dalla Commissione di Jean-Claude Juncker che è riuscita a escogitare un modo per allentare il patto di stabilità e ha già annunciato che il vecchio modello Troika – troppo duro e troppo poco democratico – andrà superato. Continuare così, insomma, non è possibile. Chissà che non venga fuori qualcosa di davvero interessante. Per tutti.

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