UE
L’esperto: l’elezione di Macron è uno spartiacque per la Francia (e per la UE)
La Francia ha un nuovo presidente, il centrista Emmanuel Macron. L’Europa tira un sospiro di sollievo, così come la maggior parte dei francesi. Abbiamo voluto commentare la storica notizia con un profondo conoscitore del sistema politico francese: Riccardo Brizzi, docente di storia contemporanea all’Università di Bologna, nonché visiting professor presso la Sciences Po Lyon e l’Università di Bamberg. Ecco cosa ci ha detto.
Professore, i francesi hanno eletto un nuovo presidente, il centrista Macron. Per la Quinta Repubblica, il 7 maggio è una data spartiacque…
Si, lo è, e per varie ragioni. In primo luogo, l’ingresso di Macron all’Eliseo rappresenta, con tutta probabilità, l’impresa elettorale più sorprendente nella storia della Quinta Repubblica. Dodici mesi fa nessuno pronosticava che l’allora ministro dell’economia del governo Valls (che il 6 aprile aveva lanciato il movimento “En Marche!”) potesse giocare un qualche ruolo nella corsa all’Eliseo. E invece, dopo una spettacolare campagna, a soli 39 anni, è diventato il capo dello Stato più giovane negli ormai sessant’anni di vita della Quinta Repubblica.
Ancora, per la prima volta un centrista entra all’Eliseo, rifiutando di schierarsi lungo la tradizionale frattura politica sinistra-destra che ha caratterizzato per due secoli la storia politica d’Occidente, e in particolare quella francese (dalla Rivoluzione francese in avanti, secondo quella che Siegfried definiva la linea di frattura tra «mouvement» e «résistance»).
Un presidente anomalo, bisogna riconoscerlo…
È un presidente senza un partito alle spalle, e ha trionfato in un contesto elettorale che è stato un vero tsunami per il sistema partitico francese. La tradizionale dinamica bipartitica, già fortemente logorata negli ultimi anni dal consolidamento del Front National, è uscita con le ossa rotte dal voto: per la prima volta nella storia delle presidenziali nessuno dei due partiti che dal 1958 in poi hanno strutturato la vita politica è riuscito a mandare un candidato al ballottaggio; socialisti e repubblicani hanno totalizzato complessivamente, al primo turno, un modesto 26%, contro il 56% del 2012 e il 57% del 2007.
Che tipo di presidente sarà, a suo avviso?
Sarà un presidente che avrà, prima di tutto, il difficile compito di riconciliare i francesi con la politica, al termine di una campagna elettorale caratterizzata da una diffusa volontà di “rottura” radicale con il sistema. Mai nella storia delle presidenziali, dal 1965 ad oggi, le estreme avevano conquistato, sommate, un numero così significativo di consensi al primo turno. Infatti se ai voti ottenuti dai due principali candidati radicali (la Le Pen a destra e Mélenchon a sinistra) si sommano quelli dei candidati minori (i due trozkisti e Dupont-Aignan) si sfiora il 48%. Circa un elettore su due ha rifiutato, dunque, la tradizionale logica dell’alternanza, preferendo l’alternativa radicale. Compito del neo-eletto Macron sarà quello di restituire legittimità alla funzione presidenziale (logorata da due mandati di presidenti profondamente impopolari) e al contempo riavvicinare i francesi alla politica.
E per quanto riguarda il suo programma?
Cercherà di dar prova di dinamismo sin da subito, inaugurando una serie di cantieri già annunciati: in primis la riforma del codice del lavoro (proseguendo lungo la strada aperta dalla legge El Khomri), che sarà all’insegna della decentralizzazione e della semplificazione burocratica per chi fa impresa; poi, una moralizzazione della vita pubblica (tema diventato centrale dopo i casi Fillon e Le Pen), cioè niente impieghi fittizi ai familiari dei politici, niente regimi pensionistici speciali, la riduzione di un terzo dei parlamentari, e casellario giudiziario immacolato per chi fa politica (a parte condanne minori e multe); ancora, tenterà di rilanciare il progetto europeo e il ruolo della Francia in Europa…
Di quello ne parliamo tra un attimo. E l’hi-tech? In fondo le startup e gli imprenditori dell’economia digitale lo hanno sostenuto con forza.
È un altro fronte importante. Cercherà di colmare il gap digitale, non a caso ritiene che «il digitale sia uno strumento della democrazia»… Punta su una completa digitalizzazione della burocrazia e delle pratiche amministrative entro il 2022, vuole sostenere l’alfabetizzazione informatica per privati e PMI, e chiede la creazione di un fondo europeo di 5 miliardi per incentivare lo sviluppo di startup europee ICT, nonché di un mercato unico del digitale in Europa. Infine, vuole rilanciare l’istruzione, in particolare la scuola elementare.
Questi i propositi. Ma tra il dire il fare c’è di mezzo il mare.
Certo, il contesto sarà un ostacolo. Da un lato la complessa situazione politico-parlamentare non garantisce, a differenza del passato, unità d’intenti dietro il neo-eletto presidente; dall’altro la situazione economico-sociale è difficile… le tensioni allo stabilimento Whirlpool di Amiens ne sono state, per esempio, una conferma.
La Le Pen è stata battuta, non sconfitta. Cosa accadrà ora al FN?
La Le Pen perde, e la sconfitta di certo brucia, perché tutti i sondaggi al primo turno le attribuivano più voti, specialmente dopo i successi elettorali del FN negli ultimi tre anni (si ricordi che dalle Europee del 2014 in poi il Front si era affermato come il primo partito di Francia). Insomma, la qualificazione della Le Pen per il ballottaggio ha avuto il sapore di una mezza delusione, a differenza di quanto accadde nel 2002, quando Le Pen padre superò i socialisti e approdò al secondo turno, dove fu sconfitto da Chirac.
Detto questo, la Le Pen ha ottenuto un risultato significativo: per la prima volta nella storia francese l’estrema destra ha superato, al primo turno di un’elezione presidenziale, la soglia del 20%. Ancora, la dinamica del «tutti eccetto Le Pen» (alias «sbarramento repubblicano») si è dimostrata molto meno partecipata e più fragile del 2002: basti pensare a Mélenchon, che non ha dato indicazioni di voti, o a Dupont-Aignan che l’ha sostenuta, o ancora ai trasferimenti di voto tra i due turni, che le hanno permesso di incrementare sensibilmente la percentuale di suffragi (nel 2002 il padre non aveva superato il 18% al secondo turno).
Bisogna inoltre considerare il probabile ingresso di una pattuglia frontista all’Assemblea nazionale in occasione delle prossime legislative. Da questo punto di vista la campagna della Le Pen tra i due turni è servita, più che a convincere gli indecisi, ad accreditarla come principale candidata dell’opposizione. Ciò lascia intendere che fino alle legislative non si muoverà granché all’interno del FN; poi, in base all’esito del voto, potrebbero aprirsi nuovi scenari (soprattutto in caso di un esito deludente…).
Macron è un europeista. Ma che Europa vuole?
Macron, tra i pretendenti all’Eliseo, era l’unico candidato schiettamente europeista. L’unico a vedere nella UE la soluzione, e non il problema. Una bella novità, in un paese attraversato (da almeno quindici anni) da un elevato euroscetticismo (che si è palesato non solo il 29 maggio 2005, ma anche durante la presidenza di Hollande, ad esempio con la nomina di Fabius come ministro degli esteri). In una campagna presidenziale caratterizzata dal ritorno in forze di idee sovraniste, Macron è stato il solo a sottolineare un fatto: la Francia non può affrontare, da sola, gran parte dei temi in agenda (migranti, terrorismo, trattati commerciali, cambiamenti climatici); allo stesso tempo occorre però che la Francia torni protagonista in Europa.
A mio parere la vittoria di Macron contro l’erede della Francia nera, portabandiera del ripiegamento nazionale, potrebbe restituire a Parigi protagonismo sulla scena europea e conferirle iniziativa politica, anche se ovviamente nessuno si aspetta miracoli da un paese in una situazione ancora piuttosto critica dal punto di vista economico.
Cosa propone Macron all’Europa?
Due cose. In primo luogo, il recupero del tandem franco-tedesco, con un ritorno alle radici del progetto comunitario per bilanciare la guida troppo tedesca degli ultimi anni; ancora, una UE a più velocità, con un nucleo europeo forte caratterizzato da una maggior integrazione economica, fiscale e di welfare (a questo riguardo, propone la creazione di un ministro dell’economia comune), e un nucleo più ampio, a 27, in grado di cooperare su temi come l’energia, la sicurezza e via discorrendo.
Quest’elezione è una buona notizia per l’Italia, a suo parere?
Al netto di chi cerca di strumentalizzare il successo del giovane centrista a fini di politica interna, sì, per il nostro paese Macron era probabilmente il candidato migliore. E questo sia per quanto riguarda i temi di natura economico-finanziaria, sia per quanto concerne il tema dei flussi migratori; Macron lo ha riconosciuto: lasciare sola l’Italia ha tradito la solidarietà europea. Il nuovo presidente ha sostenuto la necessità di una gestione delle politiche di asilo coordinata a livello europeo, e ha attaccato i paesi del gruppo di Visegrád: chi non accetta di partecipare alla gestione dell’emergenza migratoria non ha accesso ai fondi strutturali.
Foto in copertina: Pablo Tupin-Noriega CC
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