Giustizia
La tutela effettiva del debitore in ogni stato e grado del processo
Meritevole di trattazione è la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea (C-49/14 del 18-02-2016), nella quale vengono ripresi concetti che dovrebbero, già da tempo, essere stati assimilati nel panorama giurisprudenziale nazionale.
Il tema è la tutela del consumatore, vessato dalla presenza nei contratti stipulati, da clausole abusive, usurarie e – pertanto – nulle.
Ma facciamo un breve passo indietro.
Qual era lo spirito innovativo con cui il Legislatore comunitario, con la Direttiva 93/13, volle imporre a tutti gli stati membri una più stringente ed efficace tutela nei confronti dei consumatori? La volontà era quella di garantire che, in qualsiasi momento in cui fosse necessario mettere in discussione la validità e l’efficacia delle previsioni contrattuali, la sottoscrizione di clausole ovvero la mancata tempestiva opposizione/contestazione del contenuto delle stesse, da parte del consumatore, non costituisse preclusione tale da vanificare ogni possibile intervento da parte del giudice nazionale.
Riprendiamo, in particolare, il contenuto dell’art. 7 della suddetta Direttiva: “Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”.
Il problema si è recentemente proposto in ordine all’attuazione pratica di tali principi. Il giudice nazionale, infatti, a causa delle preclusioni previste dal sistema nazionale in tema di decreto ingiuntivo non opposto e quindi – a tutti gli effetti – titolo esecutivo, non aveva gli strumenti per esercitare un controllo sulla validità di clausole inserite in un contratto, ancorché ciò fosse previsto dalla Direttiva comunitaria.
La Corte di Giustizia Europea, chiamata a dare una pronuncia pregiudiziale, riprendendo un provvedimento analogo reso nella causa C‑618/10 del 14.06.2012, chiarisce, contro ogni ragionevole dubbio, quanto debba estendersi il controllo e la verifica sulla validità contrattuale, da parte del giudice nazionale.
Orbene, la Corte statuisce come un sistema nazionale che preveda come: “il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non sia competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole… è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13”.
La Corte ribadisce, infatti, come la tutela effettiva del consumatore può essere garantita solo a condizione che: “il sistema processuale nazionale consenta, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento o di quello di esecuzione dell’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole inserite nel contratto di cui trattasi”.
Orbene, sono evidenti le implicazioni pratiche di tale illuminata decisione. Fino ad oggi, nel nostro Ordinamento, non è previsto che il giudice dell’esecuzione – in presenza di titolo esecutivo (es. decreto ingiuntivo non opposto tempestivamente) possa operare un sindacato diretto sulla validità di determinate clausole contenute nel contratto già oggetto di preventivo esame. Invero, se il nostro diritto recepisse quanto stabilito a livello comunitario, al privato, che subisce l’esecuzione forzata nella maggior parte dei casi promossa da Istituti di credito e finanziarie, non potrebbe essere precluso il diritto alla contestazione di clausole nulle e/o vessatorie.
Infatti, secondo la Direttiva 93/13, anche se la procedura di espropriazione è giunta alla fase della vendita, è sempre ammissibile un sindacato sulla validità del contratto, che deve invece poter essere rilevata – anche d’ufficio – in ogni fase del procedimento. In caso in cui a seguito di tale verifica sussistano validi motivi per ritenere il contratto o talune delle clausole stipulate abusive, l’esecuzione dovrà essere sospesa per consentire al giudice ogni accertamento.
In altre parole: osta alla corretta attuazione delle Direttive comunitarie, la normativa nazionale che limita, preclude e riduce la tutela del consumatore – “limine litis” o in ogni stato e grado del processo – di fronte alla presenza di clausole nulle e/o vessatorie.
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