UE

La ‘seconda patria’ delle Nazioni nel web. Un pensiero per Giorgio Napolitano

20 Maggio 2015

L’ISIS, il moltiplicarsi dei richiedenti asilo, le vittime dei barconi, i tentativi di fuga dall’Italia stroncati alle frontiere, le ‘prigioni’ in cui gli scafisti libici tengono i disperati che aspettano di partire, sono solo alcune delle immagini che si sono definite nell’immaginario collettivo negli ultimi mesi. Ogni giorno il dibattito in Rete si alimenta di voci che denunciano lo stato dei centri di accoglienza in Italia – #accoglienza, #rifugiati – e delle risposte da dare per offrire un destino chiaro ai #migranti. Ogni giorno viene spiegato il fallimento della missione “Triton” e la debolezza della sua efficacia rispetto alla tanto vituperata operazione “Mare Nostrum” – #stopmarenostrum. Ogni giorno una ondata di emozione, commozione, indignazione e rabbia popola la Rete, sulla scia di parole chiave spesso lanciate come campagne da partiti politici – #noinvasione, #stopinvasione, #bastasbarchi. Con quali effetti? Di certo, uno è – non il solo, certo – quello di aver riportato l’Europa al centro del dibattito pubblico e privato in Italia. Una rinnovata centralità nelle arene televisive, in cui è possibile individuare una continuità e una discontinuità rispetto al passato.

La continuità è rintracciabile nella definizione al pubblico di una Europa deus ex machina dei problemi nazionali e locali. Con una novità. All’esigenza del #celochiedelEuropa, hashtag con cui si accompagnano principalmente invettive contro il peso dell’austerity, le decisioni della Troika, i vincoli del patto di stabilità e altro, si è aggiunto un nuovo piano del rifiuto – un ipotetico #celonegalEuropa – che si riferisce: al rifiuto di rinegoziare in modo significativo gli accordi di Dublino, che prevedono la possibilità di richiedere asilo solo nel paese di arrivo; alla sostanziale inazione a livello internazionale nei confronti dei paesi da cui provengono i migranti e, in particolare, la Libia; l’indisponibilità a condividere con l’Italia il problema dell’accoglienza delle centinaia di migliaia di persone che arrivano in Italia solo perché si tratta della costa europea più vicina. L’Europa resta una ‘matrigna’, che impone regole senza insegnare la solidarietà tra i suoi figli, necessaria perché quelle regole siano applicate con efficacia ed equità. L’immagine è quella di una Italia lasciata sola, di amministratori locali non messi nelle condizioni di gestire l’emergenza, di cittadini costretti a convivere con le conseguenze che la cattiva gestione dell’immigrazione comporta (delinquenza, degrado urbano ecc.). Un contesto in cui cresce l’idea che, in fin dei conti l’Europa ce lo deve.

L’elemento di discontinuità è che l’Europa non è più descritta esclusivamente come quella dei palazzi di Bruxelles. L’Europa che ‘nega’ è, infatti, quella dell’Austria che rimanda in Italia i migranti, che sono riusciti a passare la frontiera, ed è quella di Gran Bretagna, Svezia e Irlanda che dicono no alla distribuzione per quote di 20.000 profughi arrivati in Italia. E, ancora, l’Europa che ‘nega’ è anche quella della Germania, che non si rifiuta ma esprime perplessità in merito alle decisioni che andranno prese sulle future ondate di migranti, e quella di Ungheria, Spagna e Francia, che, non negando la necessità di una strategia europea per la distribuzione, frenano sulle cifre. Lo ha detto bene Emma Bonino a “Piazza Pulita” il 18 maggio: quello che emerge è “l’egoismo delle nazioni”. Nazioni, dunque. Non Bruxelles, ma Parigi, Madrid, Londra, Dublino, Stoccolma e Budapest. Nazioni che non mostrano la lungimiranza di vedere che il destino di ognuna di loro è inesorabilmente legato a quello della ‘seconda patria’ europea, come ha amato chiamarla Giorgio Napolitano.

L’analisi, che proprio l’ex Presidente ha fatto nel corso degli anni, riflette questo quadro e riconosce la necessità di uscire dall’egoismo e puntare sulla solidarietà, sulla base della consapevolezza del legame indissolubile tra l’unità nazionale e l’unità Europea. Parlare di Nazioni suona come un primo – piccolo – passo verso una rappresentazione dell’Europa ‘plurale’, meno legata ai palazzi e più orientata alle persone che in quei palazzi lavorano e ai cittadini, che quelle persone rappresentano. Di certo, rappresenta uno spunto per iniziare a osservare se qualcosa sta cambiando nel modo in cui si parla dell’Europa, pur nel più generale contesto di polarizzazione e radicalizzazione del dibattito che i toni da campagna (permanente) rendono ancora dominante.

Nota: Per un approfondimento sul linguaggio di Napolitano rimando a una riflessione, con cui ho avuto il piacere e l’onore di partecipare al numero di Paradoxa, Una storia presidenziale (2006-2015), curato da Gianfranco Pasquino e presentato al Senato il 20 maggio 2015.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.