UE
Il comando alla politica, costi quel che costi: ecco la scommessa di Tsipras
«Siamo quattro pensionate sole. Non abbiamo figli né cani. Prima ci hanno ridotto le pensioni, la nostra unica entrata. Poi avevamo bisogno di un dottore per farci prescrivere le medicine, ma i dottori erano in sciopero. Quando, finalmente, siamo riuscite ad avere la prescrizione, in farmacia ci hanno detto che non danno le medicine perché la mutua è in debito e quindi avremmo dovuto pagarcele con le nostre pensioni ridotte. Allora abbiamo capito che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società. Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Risparmierete sulle nostre quattro pensioni e vivrete meglio»
Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni è uno spettacolo di due attori-autori, Daria Deflorian e Antonio Taglierini, che ha vinto, a dicembre 2014, il premio Ubu, il più prestigioso premio teatrale italiano. Il testo si sviluppa intorno all’immagine del quadruplo suicidio che apre L’Esattore (2011) di Petros Markaris. L’adattamento teatrale si incunea delicatamente nel tempo che attende il suicidio, dilatandolo nella rappresentazione scenica. Quel tempo bloccato incarna il fallimento greco e la condizione più generale della nostra crisi. La scena non va né avanti, in assenza di soluzioni, né indietro, dove troverebbe solo un’inutile retorica; non le rimane che di scavare nelle insicurezze crescenti delle persone. Così sembra la Grecia dall’avvento della crisi: dal futuro fosco, in attesa di rotolare ancora come la pietra di Sisifo. Con il 300% di emigrazione in più rispetto al 2009, spesso giovane e qualificata; con un tasso di disoccupazione che avrebbe dovuto essere quest’anno del 16% e invece è del 25% (quella giovanile oscilla intorno al 50%).
Del resto c’è pure la constatazione che il gioco dei bilanci greci è stato un gioco sporco, e che un quarto del paese fino al 2009 era dipendente dello Stato: un’architettura difficile da sostenere, le ramificazioni delle responsabilità troppo estese. “Lo stato greco è l’unica mafia al mondo che è riuscita a fare bancarotta”. Così si confessa l’Esattore, quando verrà infine scoperto, per giustificarsi di aver ucciso (con la cicuta) i grandi evasori che affossano il paese.
Domenica a un paese stanco tocca la scelta: continuare con le politiche di austerità, che agli occhi di molti hanno inchiodato il paese in una spirale senza uscita (anche se nel 2014 la Grecia è tornata ad avere un avanzo primario); o imbarcarsi in un nuova avventura, gonfia di promesse, a cui pochi credono, e piena di incognite, che si intravedono invece bene all’orizzonte.
Non è infrequente che la Grecia si scomponga per noi italiani in un incastro di metafore. Per stare al gioco, allora, osservare le elezioni greche ricorda un’altra scena del romanzo di Markaris. Le inchieste dell’investigatore Kostas Charitos, negli anni del primo memorandum della Troika, si susseguono al ritmo delle manifestazioni di ogni componente sociale, che comprimono ed esasperano il traffico già pesante di Atene. Quando la macchina del poliziotto, dai vuoti viali transennati sbuca nella centralissima piazza Omonia, passa in un attimo da un deserto alla giungla. Il traffico torna a urlare, mentre un paio di turisti vomitati dalla metro guardano atterriti il caos:
“Saranno tedeschi” commenta il mio autista. “Da cosa lo hai capito?”
“I francesi e gli italiani sono più abituati a queste cose. I tedeschi, invece, vanno subito nel pallone. Hanno paura che ce li mangiamo. Non hanno capito che noi non mangiamo gli stranieri. Ci mangiamo tra di noi»
Si mangiano tra loro, un po’ come noi. Pare che alla fine voteranno Tzipras per uscire dalla perenne stanchezza della crisi, e per scalzare gli oligarchi. Ma ci sono molti interrogativi.
Il glorioso stadio del Panathinaikos, che una volta ospitava anche le partite della nazionale greca, sorge nel pieno della città, appena inerpicandosi a nord dalle parti del Licabetto, la collina dei lupi. D’un tratto tutto diventa verde e bianco, mentre spuntano trifogli sulle saracinesche e sui muri crepati. La porta 13 dello stadio Leoforos ospita una delle tifoserie tra le più calde d’Europa, di quelle che davvero fanno da dodicesimo uomo. Forse per questo il locale lì affianco si chiama Baraonda. Sono con un amico al pranzo elettorale di Patto Sociale, un piccolo partito nato nel 2012 da una scissione a sinistra del PASOK, e che ora, per le prossime elezioni, è diluito all’interno di Syriza. Patto Sociale non ha candidati in lista, e nelle scorse elezioni non era arrivato all’1%, ma punta a giocare un ruolo nell’interlocuzione tra Banca greca e BCE, grazie alla sua fondatrice Louka Katseli, inglese fluente, PhD a Princeton e professoressa a Yale, capo dipartimento all’OCSE, ex ministro dell’Economia e poi del Lavoro con Papandreou. E’ la moglie di Gerasimos Arsenis, governatore della Banca di Grecia ad inizio anni ’80 e anche lui più volte ministro (Economia e Difesa). Fa capolino l’onnipresente economista-star Yannis Varoufakis, giramondo autore di The Global Minotaur, appassionato autore di videoarte e di installazioni. Al tavolo centrale c’è pure Costas Poulakis, più compuntamente marxista, del nocciolo originario di Syriza, di quelli che c’era quando un’epoca fa (cioè 5 anni) Syriza aveva percentuali poco più che da prefisso telefonico. Ora le percentuali da prefisso telefonico le hanno gli altri, che gli portano in dote la borghesia di sinistra, le competenze e i contatti, e lui si guarda intorno, tra le luci soffuse e le bottiglie di Bacardi alle pareti nerolaccate, un po’ orgoglioso e un po’ a disagio, ma nasconde a stento la gioia di chi è a un passo dal sogno di una vita. E’ un buon punto d’osservazione per capire le prospettive e i travagli di Tzipras alla vigilia delle elezioni.
Se Tzipras vincerà contro i liberalconservatori di Nea Dimokratia del premier in carica Samaras, nella rivincita della doppia elezione del 2012, se riuscirà a formare un esecutivo, la sfida sarà anche quella di governare le diverse correnti, e maneggiare i programmi in subappalto alle fazioni – che prevedono spese, aumento dei salari e taglio delle tasse – elaborati con ammiccamento elettorale. Resisteranno all’assalto di tutti gli altri, pronti ad offrirgli le loro classi dirigenti, in un atto estremo – pensano i malevoli – di gattopardismo? O, se si vuol capovologere la domanda: potranno far ripartire l’economia, intercettare la ripresa e traghettare il paese fuori dalla crisi, chiudendosi in sé, nella fedeltà dei vecchi compagni?
La chiave è qui, nella possibilità dell’ibridazione tra chi ha le competenze e chi incarna il nuovo. Certo c’è il carisma, anche euromediterraneo, di Tzipras, e forse qualcosa in più. Il complicatissimo gioco delle fazioni interne, l’equilibrio istituzionalizzato tra centralismo e correntismo, è nel DNA di Syriza e prima ancora di Synaspimos, il partito da cui sgorga. La scintilla della speranza potrebbe sopravvivere insomma, ma nasce dalla foresta di rami e rametti della vecchia politica.
Eppure c’è fibrillazione, qui come nel resto della città, pur essendo uno scontro già visto. E’ una fibrillazione che un po’ ammorbidisce la scafata visione della politica dei greci. Questi ‘nuovi’ arrivati, si dice, non hanno avuto il tempo di compromettersi; non con le oligarchie, non con gli interessi stranieri, non con l’FMI. Ben pochi credono alle promesse, ma certo non potranno essere ricattati, perché non si sono ancora seduti al tavolo della corruzione. E almeno potranno restituire la speranza di prendere in mano il nostro futuro.
Passa da qui la nuova Europa? Se anche lo vorrà, potrà essere lui, Tzipras, a ricattare la burocrazia di Bruxelles e Francoforte? L’impressione è che se anche la Grecia avesse un’arma, l’Europa si è già attrezzata per disarmarla; Tzipras è la scommessa non tanto per ribaltare il tavolo, quanto per riallineare democrazia politica e sovranità economica. Per capovolgere le gerarchie che la crisi pareva aver reso inscalfibili. Da qui l’inedito schieramento europeo di supporto, da Podemos alla sinistra PD a Marine Le Pen.
Tra le due sovranità ci sono i quasi 250 miliardi ricevuti in 5 anni, e soprattutto la decisione sul pagamento dei loro interessi. Rimane nell’aria una scommessa sulle scommesse dei mercati.
Dal Licabetto o dal Partenone Atene la vedi dall’alto ed è un serpente sterminato di case che invade l’Attica. «La Grecia è uno sconfinato manicomio», diceva Konstantinos Karamanlìs, il leader che traghettò nel 1981 la Grecia in Europa, ma pensava ad Atene.
Un manicomio dove si gioca accanitamente a tavli (una sorta di backgammon). Nelle piazzette di Monastiraki, i venditori di mobili usati e cianfusaglie sono chini sulla tavola reale, impegnati in interminabili partite. Al turista pigro sembra che le transazioni economiche debbano attendere il rollìo dei dadi e lo scarto delle pedine. Secondo Roger Caillois ci sono due modi principali di classificare i giochi; come agon o come alea, competizione per merito o azzardo della fortuna. L’agon è responsabilità morale e competizione, l’alea è abbandono al destino. Il tavli, come pure molti giochi di carte, è l’esempio della compresenza dei fattori: la creazione di condizioni artificiose dove far scontrare talento e caso. C’è chi dice che sembra quasi il capitalismo finanziario.
E’ curioso il rapporto che stringe qui il rapporto tra gioco e lavoro in un Paese su cui da tempo pende la spada di Damocle del moral hazard. Ora l’azzardo, almeno quello politico, i greci vogliono riprenderselo, ma la puntata è meno spregiudicata di quello che poteva sembrare qualche mese fa.
C’è chi invece ci scommette davvero sulla Grecia, e una delle scommesse più concrete viene dall’Italia, dal suo stesso parallelo. A Salonicco ha aperto da due anni Sitael Hellas che ha l’obiettivo di ri-attrarre in Grecia almeno una parte di quei finanziamenti comunitari che l’ESA dà all’industria spaziale. Sino ad oggi la Grecia era contribuente dell’ESA senza vere industrie che potessero beneficiarne; nella sede di Salonicco gli ingegneri greci si occupano di propulsione elettrica per uso spaziale. Investimento, occupazione, innovazione.
La Sitael ha la sua casa madre in Puglia e fa alta tecnologia e innovazione in senso strettissimo, verrebbe da dire vertiginoso: microelettronica per sistemi areospaziali e satelli miniaturizzati per un vasto spettro di applicazioni. Nel suo settore è leader mondiale ed è presente con la sua tecnologia sulla sonda Curiosity nell’esplorazione di Marte. I satelliti miniaturizzati – scopro inoltre – sono un mercato in fortissima espansione, e contendono lo “spazio” del più vasto mercato aerospaziale ai grossi player statali. Sitael è parte di un gruppo – la Angelo Investments – che tra aerei (Blackshape) e diagnostica per treni (Mermec) costituisce una delle più belle eccezioni al de profundis intonato per il Sud. Non è un caso che chi punta sulla Grecia abbia già vinto una grossa scommessa nel nostro meridione.
Guardare la terra dal punto di vista dei satelliti presenta diversi innegabili vantaggi. Di umiltà in primo luogo, e contemporaneamente di ambizione. Ma mostra anche la prossimità di un Mediterraneo a vocazione spaziale, che copre il tratto di mare da Bari a Salonicco. La Grecia e il nostro Sud sono molto vicini, ad esempio nei tassi di disoccupazione e di emigrazione giovanili, come pure nel pericolo di rimanere invischiati in un destino che sembra scontato. La vicenda Sitael ci suggerisce forse un modo per sfuggirvi, per non rimanere nella trappola che vede, nella migliore delle ipotesi, turismo e agroalimentare come uniche vie. Tornare a puntare sul capitale umano, sul ritorno dei giovani di talento – me ne parla uno di questi, che dopo Pisa e Parigi è tornato a Monopoli – messi nella condizione di diventare motori di innovazione.
Se Tzipras vincesse le elezioni riprenderà il pallino della politica in mano, e potrà forse (forse) contare su un asse di governi, a partire da quello Renzi, per avere qualche supporto nell’alleviare le misure dell’austerità; ma le sue ricette economiche nel medio periodo non sembrano – agli occhi dei suoi stessi elettori – poter modificare l’economia greca. Certo neppure lo hanno potuto le misure di austerità, che hanno agito su fiscalità e occupazione, messo in sesto i conti pubblici, scalfendo di sfuggita le molte cause del ritardo produttivo greco.
Appare certo però che rinunciare all’innovazione sarebbe rinunciare al futuro, e alla fiducia. Alla fine dell’Esattore, Markaris tira un sospiro di sollievo solo a metà: «I figli dei greci non conosceranno giorni migliori, ma almeno potranno lottare per giorni non peggiori». Markaris è saggio, dall’alto dei suoi 78 anni a cavallo del Bosforo, sui confini d’Europa. Eppure no, bisogna dargli torto: si lotta sempre per giorni migliori. La giovinezza è un rischio da correre.
(Foto tratta da Flickr, Asteris Masouras, Creative Commons)
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